CHI CONOSCE IL "BISCOTTO" LO TEME

In un’Italia di scommesse e partite truccate la lezione della Spagna che agli Europei batte la Croazia, consentendo la nostra qualificaz...

In un’Italia di scommesse
e partite truccate la lezione
della Spagna che agli Europei
batte la Croazia,
consentendo la nostra qualificazione,
embra giungere da un mondo alieno



E adesso, finita la parentesi-sbornia europea, tutto come prima… Oppure meglio? O magari ancora peggio? Mentre in Spagna, Inghilterra e Germania ci si chiede se i rispettivi campionati saranno ancora dominati dai vari Real, United e Bayern, in Italia il carrozzone di Serie A, B e C ricomincia a muoversi trascinandosi dietro altre domande. Ad esempio se il portiere e capitano della Nazionale, Gianluigi Buffon, spenderà ancora un milione e mezzo in puntate fatte dal tabaccaio sotto casa. Oppure se ricchi campioncini di squadre come Lazio e Atalanta escogiteranno nuovi sistemi di collegamento con quelle bande del malaffare che gestiscono traffici di denaro esorbitanti collegati al 2-2 o al 3-3 di una qualche partita, apparentemente marginale, del calendario professionistico. Perché così ci rivelano le varie, nuove indagini della magistratura italiana su imponenti giri di scommesse clandestine, organizzati con la complicità di decine di professionisti dei massimi campionati nazionali.
Certo che gli italiani, anzi, “noi italiani”, dobbiamo suscitare una ben strana sensazione all’estero. Chissà cosa pensano di noi? Quanti luoghi comuni si mescolano in un variopinto cocktail di tinte forti, e odori non del tutto gradevoli? Nulla come il calcio fa deflagrare questo vortice di accuse, preconcetti e frasi fatte. Ne abbiamo avuto l’ennesima riprova lo scorso mese di giugno, durante gli Europei di calcio, svoltisi in Polonia e Ucraina. Dove per l’ennesima volta – come già successo agli Europei di Roma’80 e ai Mondiali di Berlino 2006 – la squadra azzurra si è presentata sulla scia di storie criminose, fatte di partite truccate e risultati preconfezionati, che non hanno uguali negli altri Paesi di cui narra la storia del pallone.

Gli altri non possono provare simpatia per noi
E poi abbiamo il coraggio di indignarci se gli altri ci guardano con un misto di disgusto, insofferenza, e ovviamente invidia, dato che questo campionato così corrotto e grottesco esprime comunque una nazionale temuta, imprevedibile, composta da atleti come un Balotelli, un Cassano o un Di Natale. Forse sarebbe più opportuno farsi domande come quelle di prima, mettendo a fuoco una certa qual immagine di (pericolosi) alieni che ormai ci caratterizza nel calcio mondiale. Dove da ormai trent’anni continuiamo a essere competitivi ai massimi livelli, ma sempre portandoci dietro questo pesante fardello di impresentabilità.
Non a caso - episodio di sconcertante unicità nella storia dello sport - il presidente della Fifa, che sarà pure un non irreprensibile Joseph Blatter, ma resta la massima autorità del calcio mondiale, dopo la finale di Berlino vinta contro la Francia si rifiuta di premiare gli azzurri campioni del mondo (con pieno merito). Non a caso la candidatura avanzata dall’Italia per ospitare gli Europei del 2016 è stata prontamente bocciata dalla Uefa ancora nel 2010. E, sempre non a caso, nei bellissimi stadi polacchi e ucraini di questi campionati continentali, alla grande e multicolore festa del tifo partecipavano migliaia, a volte decine di migliaia, di tifosi di ogni dove, compresi quelli di Paesi consapevoli di essere venuti a fare le comparse, come Svezia e Irlanda, a patto che non fossero italiani. Perché dal Nostro Paese, dove non è certo la crisi economica a frenare le irrefrenabili passioni dei suoi abitanti, per sostenere gli azzurri sono partiti in così pochi che le telecamere della Rai riprendevano in primo piano sempre le stesse facce, e faticavano a proporci immagini d’assieme popolate solo da connazionali con bandiere tricolori.

Il malessere profondo che svuota i nostri stadi
Tutti segnali del malessere profondo che avvolge da troppo tempo lo sport più amato e praticato da noi italiani. Che, adesso, agli albori di una nuova stagione già segnata da classifiche piene zeppe di penalizzazioni e punti interrogativi, siamo nuovamente invitati a prendere posto davanti a uno spettacolo diretto male da autorità inadeguate alla gravità della situazione, e recitato ancora peggio da molti atleti più o meno in malafede nel non saper distinguere fra sport e gioco, competizione e trucco sistematico, valori comuni e disvalori privati. Un ruolo di spettatori in cui ci troviamo sempre più a disagio, vittime di meccanismi così radicati e reiterati da portarci a diffidare di tutto, e ad arrenderci a un fatalismo nichilista di segno totalmente opposto alla sana passione popolare su cui il calcio fonda la sua storia e le sue fortune.
A questo proposito, sempre tornando agli scorsi Europei, la nota e stucchevole storia del “biscotto” la dice lunghissima sulle condizioni in cui ci ritroviamo. Con la squadra azzurra reduce dal doppio 1-1 rimediato contro Spagna e Croazia, siamo andati avanti per quattro, estenuanti giorni ad agitare lo spettro di questa combine che, nota in gergo come “biscotto”, sulla base di un 2-2 fra spagnoli e croati, ci avrebbe eliminato dai quarti di finale, a prescindere da ogni nostro risultato vincente ottenuto contro l’Irlanda. Vero che otto anni fa, in Portogallo, così andò contro Svezia e Danimarca, molto probabilmente accordatesi per il pareggio che ci buttò fuori dal torneo. Ma è altrettanto autentica l’isteria collettiva da cui siamo stati tutti contagiati in modo avvilente e parossistico prima del match decisivo: giocatori, tifosi e commentatori. Come a voler dire al mondo, “dato che in Italia va sempre così, e di biscotti abbiamo fatto tutti indigestione in Serie A e B, perché sperare nella sportività dei nostri avversari?”.
Praticamente nessuno era in grado di immaginare quanto poi è avvenuto. E cioè che la Spagna, campione del mondo e d’Europa in carica, ha semplicemente voluto vincere contro la Croazia per difendere innanzitutto la propria immagine, e nel contempo il proprio primo posto nel girone, riuscendoci a cinque minuti dalla fine con il gol che l’ha qualificata ai quarti assieme all’Italia.
Una verità semplice, che si chiama sport, e si esprime in valori come lealtà, fedeltà alla bandiera, trasparenza. Ovvie meraviglie di cui in Italia, e non solo negli stadi, si è da tempo immemorabile perso memoria. Gli spalti sempre più vuoti degli stadi italiani sono da tempo un campanello d’allarme che nessun piccolo o grande trionfo azzurro riesce più a far tacere.

Stefano Ferrio

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