Paolo, giocatore di calcio
di Elena Giordano Mittente Paolo, giocatore di calcio Destinatario Papà-allen...
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di
Elena Giordano
Mittente
Paolo,
giocatore di calcio
Destinatario
Papà-allenatori
Cari
papà pseudo-allenatori-coach-motivatori (il mio escluso), sono un ragazzo di 17
anni, gioco a calcio da quando ne
avevo 6. In
tutto questo tempo mi sono allenato due volte a settimana e giocato la
partitella del sabato o della domenica. Papà
mi ha puntualmente accompagnato agli allenamenti, e la mamma ha con pazienza lavato calzoncini, calze, maglia&C.
inzaccherate di fango ed erba. Quando sono diventato grande mi sono arrangiato
da me, ma i genitori mi hanno seguito da lontano.
Ecco:
sono un ragazzo normale, ma
ringrazio di avere dei genitori speciali.
Che non hanno preteso che io diventassi un campione a tutti i costi. Che non si
sono sgolati insultando l’arbitro durante le partite; che non mi hanno
obbligato ad allenarmi controvoglia. Che non sono rimasti delusi accorgendosi
che sono bravo sì, ma che non diventerò mai El Shaarawy. Che mi
hanno sempre ricordato che un conto è lo sport, un conto è la vita vera, quella dove ci sono gli amici, lo studio,
la parrocchia.
Questa
per me è la normalità, ma per tanti miei coetanei no. Quante volte ho sentito
genitori dire le peggio cose anche ai loro figli, magari perché erano stati
lasciati in panchina, come se la “colpa” fosse loro? Quante volte compagni di
squadra hanno rinunciato a uscire,
ad andare alle feste, per il “dio allenamento”? Quante volte sono rimasti indietro a scuola, con
rendimenti pessimi, perché la testa era immersa solo nella sfera pallonara?
Un
conto è giocare. Un conto è rovinarsi per il gioco: perché voi adulti non
capite? Cosa prova un adolescente che si sente solo ripetere: “Devi vincere,
essere il più bravo”, e non ci riesce?
Cari
papà e care mamme, noi non siamo i
vostri giocattoli. Abbiamo una testa che pensa, abbiamo desideri, cose che
ci piacciono e altre che ci fanno paura. L’agonismo non è lo strumento con il
quale fare crescere i vostri figli: è una brutta bestia che fa diventare le
persone infelici.
È
davvero così difficile lasciare in pace i figli? Parlo a nome dei calciatori e
degli sportivi in generale, ma anche
dei musicisti o delle ballerine: coltivate il nostro talento,
ma fate in modo che questo non ci sotterri. E non ci venite a raccontare che la
nostra generazione non è disposta al sacrificio. Vi chiediamo solo di
ascoltarci, per capire se la strada che avete scelto per noi è davvero quella
più adatta alla nostra personalità.
Non è difficile: se non lo sapete voi, che siete i genitori…
Paolo
Contatti
La
tentazione di diventare dei campioni è fortissima: fino a dove siete disposti a
spingervi per trasformarvi nei primi? A cosa siete disposti a rinunciare?
Quello a cui state rinunciando merita di essere lasciato da parte?
Come
riuscite a dialogare con i genitori? Capite i sogni che loro hanno nei vostri
confronti? Sono come quelli che avete voi? Parlate mai di quando “diventerete
grandi”?