Quale Europa vuoi?

dossier di Graziano Chiura - Giovanni Godio - Elisa Murgese - Davide Colombini Quale Europa vuoi? Alla vigilia delle elezioni europ...

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di Graziano Chiura - Giovanni Godio - Elisa Murgese - Davide Colombini

Quale Europa vuoi?
Alla vigilia delle elezioni europee, la costruzione di un continente unito appare fragile.
Accanto ai tanti risultati positivi, cresce anche un forte scontento, accentuato dalla crisi economica: moneta vulnerabile, disoccupazione, perdita di lavoro, immigrazione... E aumentano i partiti che vogliono staccarsi dall’Ue. Quali esiti?



Europa sì 
Europa no
Le elezioni europee sono importantissime per delineare il progetto di una nuova Europa. Ma il rischio di compromettere l’unità europea e la solidità dell’euro è alto. In seguito alla crisi che stritola il nostro continente dal 2007 so-no emerse tutte le fragilità della costruzione europea. Fino ad allora, l’opinione pubblica aveva una visione positiva nell’Unione europea pari al 57%, mentre oggi si è ridotta al 30%.
Sono molte le cause di tale disaffezione, ma al primo posto viene evidenziata la vulnerabilità di una moneta priva di uno Stato e senza politica. Inoltre il tessuto industriale europeo stremato dalla sfida imposta dalla globalizzazione è in fase di ripresa, ma resta ancora elevata la disoccupazione. Molti lavoratori europei, a causa dell’innovazione tecnologica e del trasferimento delle aziende in zone dove costa meno produrre, hanno perso il lavoro o hanno subito una riduzione salariale. Molti giovani, sebbene preparati e motivati, non riescono a trovare lavoro a causa delle mancate riforme economiche.

Visioni opposte
Il mix europeo per uscire dalla crisi, composto da politiche a favore della stabilità e da riforme strutturali finalizzate a favorire la crescita e l’occupazione, vanno nella direzione giusta, ma procedono con troppa lentezza a causa dell’opposizione delle forze conservatrici interne agli Stati europei.
Questa ricetta lenta ma efficace è contestata dai populisti e dai nazionalisti, che soffiano sul fuoco della crisi per ottenere consensi. Il rischio in queste elezioni è di dover vedere più che un confronto tra due o più modelli di Europa, una sfida nelle urne tra le forze filo-europeiste e le forze anti-europeiste.
È innegabile che le forze euroscettiche populiste e nazionaliste mirano a indebolire l’Europa e a relegarla in una posizione di subalternità nei confronti delle grandi potenze.
Mentre le forze filo europee, se si troveranno in difficoltà, dovranno coalizzarsi per continuare a portare avanti il progetto europeo, mirato a realizzare un’Europa unita, dotata di una moneta forte che possa competere con gli Stati Uniti e la Cina.

Le forze in campo
Le differenze nelle scelte economiche e politiche, tra popolari e socialisti sono state finora molto limitate. Il confronto è sempre stato tra conservatori e progressisti. In particolare i popolari e i socialisti, dopo le elezioni di settembre del 2013 in Germania, per sostenere il governo si sono dovuti coalizzare e individuare un percorso per uscire dalla crisi.
La ricetta implica una politica di rigore nel tenere i conti in ordine per potere poi affrontare lo sviluppo economico. Questa impostazione, formulata per tenere unita l’Europa e rilanciarla, è temperata però dalla flessibilità.
Il premier italiano Matteo Renzi, segretario del Pd entrato a far parte del Partito socialista europeo, ha chiesto di negoziare con la Commissione europea su alcuni punti per avere margini di manovra in modo da favorire la crescita.
Renzi intende fare le riforme strutturali, rivedere la spesa pubblica e rispettare il vincolo del tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil, dunque seguire le regole stabilite per poi tentare di attenuarle o rivederle (modifiche dei Trattati con tutti i firmatari) nel semestre di guida italiano, che inizia a luglio del 2014.
Parte del partito socialista, del resto, non condivide con la sinistra di Tsipras, la politica di rigore (conti in ordine, tagli agli sprechi, riforme strutturali) finora imposta dalla Commissione europea. Preferirebbe che lo sviluppo fosse sostenuto con un aumento del debito pubblico finalizzato a finanziare investimenti e a creare crescita.
Alleanza dei socialisti e dei democratici (Asde) ha indicato il tedesco Martin Schulz come candidato alla presidenza della futura Commissione. Se non dovesse avere i numeri la lista Tsipras, che non è contro l’Europa e l’euro, ma desidera profonde modifiche, potrebbe sostenerlo purché non si formi un accordo tra Asde e Ppe. Mentre il Partito popolare europeo democratici europei (Ppe) ha indicato il lussemburghese Jean-Claude Juncker.
Il terzo gruppo più grande al Parlamento di Strasburgo è Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (Alde) che tendenzialmente condivide con il Ppe l’impostazione europea tedesca. Il Partito popolare europeo ritiene che prima di alleggerire l’austerità, ogni Stato deve realizzare le riforme, tagliare le spese e abolire i privilegi per favorire la ripresa economica senza creare altro debito.
I popolari in Spagna, convinti europeisti, stanno provando a risanare il Paese. In Italia i popolari che sostengono lo sforzo di risanamento del premier Renzi sono il Ncd di Alfano, l’Udc di Casini e i Popolari per l’Italia di Mauro. La differenza più marcata tra i popolari e i socialisti risiede però nei valori.
È indicativo il caso della bocciatura a dicembre del 2013 da parte dei popolari (e dell’astensione di alcuni esponenti cattolici del Pd) della risoluzione presentata dalla deputata del partito socialista portoghese Estrela sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi. Il testo considerava l’aborto un diritto, chiedeva agli Stati di limitare il diritto all’obiezione di coscienza e di rendere obbligatoria l’educazione sessuale di Stato, negava ai Paesi di decidere in materia di educazione e di salute riproduttiva.
Con il voto degli eurodeputati viene sconfitta una visione dirigista su temi delicati come la vita, l’educazione e il ruolo della famiglia che vanno affidati agli Stati, dunque viene confermata la validità del principio di sussidiarietà nella costruzione dell’intero edificio comunitario europeo.


Partiti nazionalisti,
populisti ed euroscettici
Il contagio nazionalista nell’Unione europea è in corso, ma con differenti scenari. Nel Regno Unito gli scozzesi, che si sentono più europei che britannici, sono chiamati a decidere con un referendum il 18 settembre di quest’anno sulla creazione di uno Stato scozzese. Sostenuti da abbondanti risorse petrolifere e attratti dai vantaggi offerti dall’eurozona (offerta valida per chi ha i conti in ordine), gli scozzesi, desiderano staccarsi da Londra, ma sono ancora incerti.
Del resto questa decisione rappresenta più un problema per il premier conservatore britannico David Cameron che per gli scozzesi. Cameron non è tanto preoccupato per il referendum dell’indipendenza della Scozia sostenuto da Alex Salmond, leader dello Scottish National Party, ma per il referendum che ha dovuto indire entro la fine del 2017 sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Ue. Un’iniziativa presa per contenere l’avanzata del partito britannico nazionalista United kingdom independence party (Ukip) di Nigel Farage, dato nei sondaggi per le europee al 20%, che vuole l’uscita degli inglesi dall’Ue.
In caso di una vittoria dei “sì”, anche se gli scozzesi dovessero dire di “no” nel referendum di settembre del 2014, diverrebbe automatico il loro distacco da Londra. A quel punto la Scozia verrebbe accolta dall’Ue. Mentre, nel caso di voto favorevole a settembre del 2014, l’entrata della Scozia nell’Ue sarebbe molto ardua. Intanto, perché tutti i 28 Stati europei dovrebbero essere d’accordo. Poi, oltre alla contrarietà di Londra che perderebbe ingenti entrate fiscali, potrebbe non essere d’accordo anche Madrid, perché teme l’indipendenza della Catalogna. Infine si creerebbe un precedente che potrebbe moltiplicare gli Stati nell’Ue.
In Italia la Lega Nord di Matteo Salvini, formazione autonomista ed euroscettica, data al 4,5%, vuole un referendum per uscire dall’euro. Poi vi sono altre forze nazionaliste come il partito (in parte populista) di Forza Italia di Silvio Berlusconi, presente nei popolari europei, dato al 21%, e la destra no-euro dei Fratelli d’Italia.
In Francia il Front National dell’estrema destra guidata da Marine Le Pen, dato al 23%, potrebbe divenire il primo partito alle europee. In Olanda il Partito per la libertà, antieuropeo e islamofobo di Geert Wilders, è dato al 20% e insieme al Front National francese intende formare un nuovo gruppo nel prossimo Parlamento europeo.
Inoltre in molti Stati europei sono presenti partiti di destra e di estrema destra anti-Bruxelles e anti-immigrati che raccolgono ampi consensi: in Svezia i nazionalisti di Sweden Democrats (10%), in Belgio Interesse fiammingo (12%), in Austria il Partito della Libertà (22%), in Finlandia il partito dei Veri Finlandesi (15%).
Si stanno poi affermando partiti populisti che non sono né nazionalisti né xenofobi come in Germania Alternative für Deutschland, al 7%, e in Italia il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, dato al 21%. Infine tra le forze di sinistra euroscettiche si collocano in Grecia il Partito comunista greco (Kke) e in Svezia La Sinistra, e in Olanda il Partito Socialista (Sp). Tutte cercheranno di ostacolare l’integrazione europea.
Se verranno confermate con le elezioni queste percentuali, l’Unione europea sarà a rischio. Il futuro dei giovani è però legato all’Europa e solo loro con il voto possono confermare il progetto europeo, disinnescare i contrasti, esprimersi per una casa comune solida e solidale. <

Voci d'Europa

Martin Schulz
Ne vale la pena?
«Per noi europei, un’Unione di sole regole ha perso la capacità di raccontarsi, di entusiasmare e di far guardare al futuro con ottimismo». Ma «per alcuni dei nostri vicini, dove lo stato di diritto è flagellato dall’arbitrarietà, l’Unione rappresenta un’ancora di giustizia e libertà cui aggrapparsi». Insomma, che cos’è mai questa nostra Europa, oggi? Perché votare per l’Europarlamento il 25 maggio?
Lo abbiamo chiesto a Martin Schulz, autore delle righe che abbiamo appena citato e presidente del Parlamento europeo dal 2012. Nato nel 1955, tedesco, sposato e con due figli, prima di diventare deputato dell’Unione ha fatto il libraio. DN lo ha contattato a Bruxelles, una delle due sedi parlamentari dell’Ue.

Presidente Schulz, perché un giovane dovrebbe votare alle europee di questo mese?
Credo sia importante che i giovani vi partecipino perché vedo nell’Europa non solo il loro futuro, ma anche la dimensione in cui hanno avuto la fortuna di crescere. Votare significa sentirsi parte di una comunità e dare il proprio contributo per orientarne le azioni.
Le politiche europee hanno oggi un impatto forte sulla nostra vita di tutti i giorni, ed è importante che i giovani esprimano la propria idea di Europa attraverso lo strumento fondamentale che i sistemi democratici mettono a disposizione dei cittadini: l’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento.
Oggi tutti i cittadini possono decidere quale orientamento dare all’Europa, grazie alla presenza di candidati alla presidenza della Commissione da parte delle principali famiglie politiche. Un’occasione da non perdere per tentare di democratizzare ulteriormente l’Europa.



Ma che cosa fa oggi l’Ue per i giovani?
Il Parlamento europeo li sostiene attraverso azioni che hanno l’obiettivo di facilitarne la mobilità e combattere la disoccupazione. Penso in particolare al recente e innovativo sistema Garanzia giovani, per favorire l’avvicinamento dei ragazzi al mercato del lavoro. Ma anche all’istituzione del programma Erasmus+, l’impegno per l’erogazione di maggiori risorse in ricerca e sviluppo, e il mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali.

Nel suo libro Il gigante incatenato (Fazi Editore), lei scrive: «In quale Europa vogliamo vivere? Vorrei tanto discutere di questi temi». Noi la prendiamo in parola: ci dice com’è l’Ue che vorrebbe? E perché si dovrebbe lavorare per un vero «governo europeo», controllato da un «nuovo Parlamento europeo»?
La mia idea di Europa è una dimensione politica sempre più solidale e integrata, dove i cittadini sono posti al centro del sistema e si sentono protagonisti della vita democratica dell’Ue. Credo che i tempi siano maturi per guidare l’Europa in questa direzione, anche ampliando il ruolo del Parlamento europeo, che è direttamente eletto dai cittadini e rappresenta dunque l’istituzione centrale della democrazia europea. Per questo ritengo sia importante aumentarne il ruolo nel controllo politico sull’operato della Commissione, dando così maggiore peso e impatto alla volontà popolare.

E com’è l’Ue di oggi, secondo lei?
È innanzitutto una realtà inclusiva fondata su basi democratiche, nonché il miglior progetto in campo per dare alle future generazioni l’opportunità di vivere in una società dove sono garantite le libertà fondamentali e i diritti civili.

Il maggiore editore italiano ha pubblicato un libro sull’euro invitando ad uscirne per «ricominciare da capo, dalla nostra moneta, dalle nostre istituzioni di nuovo sovrane, dai nostri bilanci, dai nostri Parlamenti». La moneta unica ci ha resi «tutti più poveri», insieme ad una lista di «sprechi», la «scarsa democrazia» e la burocrazia dell’Ue...
Sono un grande sostenitore della moneta unica, che credo uno dei più importanti traguardi dell’Unione. Non solo l’euro ha semplificato la circolazione di persone e merci sul territorio europeo rappresentando un segno tangibile dell’Unione, ma ha anche contribuito a ridurre le speculazioni inflazionistiche e le instabilità monetarie. Il problema non è l’euro, ma la mancanza di una comune politica economica, fiscale e finanziaria. <

Giuseppe De Rita
«In Europa
non ci sappiamo stare»
L’Italia è il terzo contribuente dell’Ue. Fra 2007 e 2013 l’Italia le ha versato in tutto circa 106 miliardi di euro e ha ricevuto accrediti per 65 miliardi: quindi il nostro contributo netto è stato di 41 miliardi. Ma questo squilibrio, osserva lo studio del Censis Dare e avere con l’Europa, risente anche della nostra (scarsa) capacità progettuale e gestionale dei contributi europei: fra 2007 e 2013 abbiamo impiegato solo il 53% dei fondi a noi destinati nei programmi finanziati dai diversi fondi strutturali di derivazione comunitaria e nazionale.
«Il fatto è che noi italiani in Europa non ci sappiamo stare – commenta con DN Giuseppe De Rita, presidente del Censis – . Ci crediamo più europeisti degli altri, rivendichiamo più peso politico. Ma alla fine non sappiamo né stare nei processi organizzativi e decisionali, né contrattare e discutere».
Meglio andarsene, allora, come chiede qualcuno? «No. Io continuo a pensare che in Europa bisogna imparare a starci. Non con il vecchio ragionamento che un Paese disordinato come il nostro dev’essere riordinato dall’esterno: “Entriamo in Europa, ci metteranno in riga”. Un grave errore, questo, da parte di chi non credeva nella capacità italiana di far da soli.
Piuttosto, c’è una motivazione dinamica: l’Europa ci serve per crescere con tutta la realtà europea, per stare nella competizione internazionale ed essere membri di una grande potenza mondiale. Non di una scuola per corrigendi».
Anche se l’Ue ci costa più di quanto poi ci dà indietro? «La colpa di questo non è dell’Europa, è colpa nostra! Non sappiamo trovare le strade giuste. Un Paese come la Spagna si è preso tanti di quei soldi perché ha capito come funzionano i meccanismi su cui bisognava lavorare». <

Guoda Lomanaite
La voce della giovane Lituania
DN ha contattato a Vilnius, dove vive, Guoda Lomanaite una giovane ragazza di 28 anni. Si occupa di comunicazione istituzionale in una banca ed è vicepresidente dello European Youth Forum, il Forum europeo della gioventù, la “piattaforma” che unisce a Bruxelles 99 organizzazioni giovanili del continente (fra cui anche il Forum nazionale dei giovani italiani).

Guoda, voterai per l’Europarlamento?
Certo che sì. Eleggere persone che ti rappresenteranno è fondamentale. E la cooperazione nell’Ue influisce sempre di più: non votare vuol dire ignorare il proprio futuro.

Ciò che l’Ue fa per i giovani è sufficiente, secondo te?
Se lo sia o meno è una questione... filosofica, su cui si può stare a discutere. Certo potrebbero essere migliorati i modi con cui noi giovani siamo coinvolti nel prendere le decisioni. Devono entrare come principio, e non solo a livello dell’Ue, dove lavora lo Youth Forum, ma anche nei singoli Paesi membri, per esempio riconoscendo pienamente i consigli giovanili nazionali (per dire, in Spagna il governo ha appena deciso di chiudere il suo) e a livello locale, municipale, dove si decidono tante cose che ci riguardano.

Tre anni fa hai guidato nel tuo Paese una campagna per la partecipazione giovanile alle elezioni. Oggi un po’ in tutta Europa stanno crescendo i partiti anti-europeisti (vedi a marzo in Francia). Accade anche da voi, che nell’Ue siete entrati solo nel 2004?
Purtroppo anche la Lituania non è stata risparmiata da un trend di retorica nazionalista. C’è molta manipolazione populistica e quest’anno è particolarmente evidente: con un referendum è partita una proposta di legge per impedire agli stranieri di comprare terreni lituani.

Perché la gente dà retta a questa deriva?
Non lo fa per convinzione o per scarsi livelli di istruzione, ma perché vede ancora l’Ue come qualcosa di staccato dalla vita di tutti i giorni. Si fa ancora poco per mettere in evidenza il vantaggio reale, ogni giorno, di stare nell’Ue attraverso il suo supporto economico e le sue politiche nel campo dell’istruzione, della sicurezza, delle infrastrutture, dell’ambiente. <



La minaccia inglese
La spinta nazionalista di Ukip – il partito indipendentista inglese – potrebbe essere quella che traghetterà l’Inghilterra alle elezioni europee di maggio. Secondo un sondaggio del quotidiano The Independent, il partito di Nigel Farage supera in uno scatto finale tutti gli altri, conquistando il 27% degli elettori.
Lontani i giorni in cui l’Ukip si attestava a percentuali ininfluenti alle urne; ora il 26% dei Labour e il 25% dei Conservatori (oltre al misero 14% del partito liberaldemocratico) guardano preoccupati un movimento politico che sta diventato trainante di sondaggio in sondaggio.
Per chi si chiedesse quale sia il cavallo di battaglia del partito indipendentista, i suoi sostenitori – senza dimenticare una chiara vocazione contro immigrati e omosessuali – griderebbero che l’Ukip sta combattendo una proprio battaglia per l’uscita dell’Inghilterra dall’Europa.
 
Sette inglesi su dieci
sono euroscettici
Tematiche, quelle portate avanti dagli euroscettici, che sembrano far presa sui cittadini della regina. Il 61% degli inglesi, infatti, dipinge l’Europa come una sanguisuga che sta prosciugando le finanze e la qualità della vita del Regno Unito. Risultato immediato, più della metà degli inglesi spera in una vittoria delle forze euroscettiche alle prossime elezioni di maggio.
A rivelarlo è l’ultimo sondaggio di Ipsos MORI – il secondo centro di analisi statistica più grande del Regno Unito – che sottolinea come per il 67% dei britannici l’Unione Europea sia la scelta sbagliata.
A rincarare la dose, sei inglesi su dieci ritengono che i tagli alla spesa pubblica imposti dall’Unione abbiano portato a un danno per l’economia d’Oltremanica. Dati alla mano, gli euroscettici della regina infittiscono un esercito di quasi il 70% degli inglesi. Tra questi, il 28% vorrebbe uscire dall’Europa mentre il 40% vuole limitarne i poteri.
Sul fronte opposto, solo un misero campione di elettori – che supera di poco il 13% – sventola la bandiera dell’Unione come panacea per i disagi economici del Paese.

I partiti europei
Il panorama dei partiti politici britannici non riflette il grado di euroscetticismo rilevato nell’elettorato, ma durante lo scorso anno non sono mancati decisi segnali in tal senso. Uno di questi è stata l’approvazione, a luglio 2013, da parte del parlamento inglese, di un referendum sull’Unione Europea da tenersi entro quattro anni. L’iniziativa è partita dal principale partito di governo, quello Conservatore, che da sempre ha una posizione moderatamente euroscettica.
La mossa è stata interpretata da molti come un tentativo, da parte del primo ministro David Cameron, di recuperare l’elettorato conservatore perso alle elezioni locali di quell’anno e finito nelle mani di Ukip che raccolse il 23% dei consensi a fronte del 25% dei conservatori.
Il Partito Liberal Democratico e quello Laburista (rispettivamente, il centro e il centro-sinistra del parlamento inglese) sono invece europeisti come i loro cugini dell’Unione: i progressisti francesi, Spd 
tedesco, i socialisti spagnoli e il Partito Democratico italiano. Come dimostra l’ultima dichiarazione di Ed Milliband – il nuovo leader laburista – che recentemente si
è detto contrario al referendum contro l’Europa.

L’immigrazione al primo posto
Chi fosse abituato ai dibattiti italiani fra europeisti ed euroscettici, si stupirà nel vedere come nel Regno Unito i temi infuocati siano decisamente diversi da quelli presenti sui media italiani.
Mentre in Italia è messa in discussione la moneta unica, i vincoli di bilancio e in generale le rigidità dell’Eurozona, in Inghilterra – che negli anni Novanta decise di tenersi in tasca la sua sterlina – il dibattito è in gran parte concentrato su altri temi. Tra questi, in primo piano, l’immigrazione proveniente dall’Unione Europea.
Secondo Nigel Farage, leader dell’Ukip, il forte afflusso di migranti provenienti dall’est (principalmente bulgari e rumeni), sta danneggiando l’economia britannica. Un fenomeno, quello dell’immigrazione, che nel 2013 ha registrato un aumento del 33% rispetto all’anno precedente, passando da 149mila a 209mila individui.
Nei discorsi di Farage, i migranti sono definiti colpevoli di appropriarsi dei sussidi di disoccupazione e dei benefici economici che sarebbero destinati agli inglesi. Per questo motivo il partito spinge per un’uscita dall’Unione Europea che permetta al Regno Unito di poter regolare l’immigrazione a proprio piacimento, senza delegare poteri a Bruxelles.

Alleanze europee
Ancora sono incerte le alleanze che l’Ukip stringerà nel nuovo parlamento europeo dopo maggio. Ad oggi, a Bruxelles i deputati nazionalisti inglesi sono nel Gruppo Europa della Libertà e della Democrazia (The Europe of Freedom and Democracy Group), insieme alla Lega Nord e ad altri piccoli partiti nazionalisti di tutta Europa.
La grande novità della nuova legislatura sarà probabilmente il ruolo giocato dal Front National, il principale partito euroscettico francese. La leader del movimento, Marine Le Pen, si è già espressa favorevolmente nei confronti del partito inglese, ma Nigel Farage non ha ancora preso posizione sui colleghi francesi. La Lega Nord di Matteo Salvini, invece, ha già dato il suo appoggio preventivo al Front National.

E nell’attesa che a Bruxelles il gioco delle parti arrivi a conclusione, dal Regno Unito i partiti euroscettici sembrano essere sempre più forti, e marciare fiduciosi verso il cuore dell’Europa. <

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