editoriale Muro di Berlino

editoriale                                          di Valter Rossi                                                 Venticinque anni fa a...

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        di Valter Rossi                                             

   Venticinque anni fa avevo venticinque anni. Era la notte del 9 novembre. Una notte storica per Berlino e per il mondo intero. 
Avrei voluto essere là, quando la storia sembrava cambiare mentre cadeva il simbolo concreto e feroce di tutto ciò che impedisce agli uomini di incontrarsi e vivere in pace.
    Mi vedevo tra quei 50.000, in quel fiume di folla in festa che dall’Est entrava per la prima volta nell’Ovest, attraversando “la striscia della morte” tra le ali dei Berlinesi che li accoglievano battendo le mani. Avrei unito le mie mani alle loro in un interminabile applauso.

    Avrei riabbracciato anziani parenti che da ventotto anni aspettavano che quella porta venisse aperta, e giovani che della libertà e dell’Occidente avevano solo sentito parlare come un ricordo lontano che trasforma in oro anche ciò che solamente luccica un poco, abbaglia e stordisce.
    Avrei salutato con gentilezza la Volkspolizei, la “Polizia del Popolo” che troppe volte era stata costretta a sparare su gente inerme, obbedendo a ordini di Grandi che avevano rivelato la loro piccolezza e crudeltà. Li avrei abbracciati e chiamati “fratelli” e avrei pianto con loro.
    Mi sarei arrampicato e seduto là sopra, perché dall’alto le prospettive cambiano, le distanze diminuiscono e la terra, le persone e le cose diventano un tutt’uno, un’incredibile mix di colori, forme e suoni.
    Avrei cantato e brindato, ballato e pianto in mezzo a sconosciuti, sognando un mondo migliore a portata di mano, in cui confini e lingue non significassero più distanza ma ricchezza, non sospetto ma incontro, non odio e dolore ma conoscenza e consolazione.
    Avrei voluto impugnare un piccone, o meglio guidare un Bulldozer e scagliarmi contro quelle lastre, sbriciolarle, con la stessa forza della storia, che non avanza a velocità costante, ma in un colpo può cancellare decenni di immobilismo e barriere.
    Avrei potuto urlare la parola “libertà” con tutta l’aria che avevo nei polmoni e mi sarei sgolato ripetendo all’infinito “Mai più!”. Avrei inciso ovunque il mio nome per ricordare a chi sarebbe venuto, ignaro e distratto che io c’ero, quella notte in cui il mondo si vedeva cambiare. 
    Avrei voluto essere là, vicino a quel Muro.

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