L’amore è la magia più affascinante

Cinema di Paolo Morelli Maghi e imbroglioni n el nuovo film di Woody Allen L’amore è la magia più affascinante Esiste la magia?...

Cinemadi Paolo Morelli


Maghi e imbroglioni nel nuovo film di Woody Allen
L’amore è la magia più affascinante
Esiste la magia? Forse no, ma tra illusioni e scetticismo, l’amore imprevedibile e inaspettato tra i due protagonisti trionfa come l’unica realtà che sa ancora stupire.

  Oramai da parecchio tempo siamo abituati, ogni anno, ad andare al cinema per vedere un nuovo film di Woody Allen. Secondo l’autorevole sito web americano Box Office Mojo, in totale, le sue opere hanno incassato 575 milioni di dollari, con una media di 14 milioni ciascuna.
Pilastro del cinema mondiale, il regista statunitense torna sul grande schermo, nel 2014, con una pellicola ambientata nel Sud della Francia, Magic in the Moonlight.

La trama
Siamo nel 1928, un illusionista inglese, Stanley, conosciuto nei suoi spettacoli con il nome d’arte di Wei Ling Soo, che ne nasconde la vera identità, viene ingaggiato da un suo vecchio amico per smascherare una medium e dimostrarne gli scopi fraudolenti ai danni di ricchi personaggi della Costa Azzurra. Nei panni di Stanley Crawford, l’illusionista, c’è un serioso Colin Firth, Premio Oscar per Il discorso del re (Regno Unito, 2010).
Stanley è un professionista affermato nel campo dell’intrattenimento, capace di realizzare trucchi di “magia” piuttosto complicati e soprattutto assolutamente indecifrabili per l’epoca. La giovane medium, Sophie, interpretata da Emma Stone, toccante protagonista di The Help di Tate Taylor (Usa, 2011), non intenerisce affatto Stanley, sebbene riesca a colpirlo indovinando alcuni particolari della sua vita privata.

Illusioni e prospettive
La camera di Woody Allen, un vero marchio di fabbrica del regista americano, costruisce intorno ai due personaggi principali una panoramica emozionante dei luoghi e dei paesaggi francesi della fine degli anni ’20. Ma è un’illusione cinematografica che racconta, a sua volta, un’altra illusione, vista però da due prospettive diverse, quella di Stanley, che dichiaratamente lavora con trucchi e messe in scena, e quella di Sophie, che sugli inganni ha costruito la propria professione.
Eppure, all’interno di questa enorme illusione, qualcosa di vero esiste. Perché il “vestito” indossato dagli esseri umani ogni giorno nasconde in realtà emozioni e sentimenti reali. Proprio questo si rivela essere coinvolgente per Stanley e per Sophie, che finiscono con l’innamorarsi l’uno dell’altra, nonostante entrambi siano consapevoli del fatto che lei sia, in realtà, una ciarlatana.

Critica fredda
La critica ha accolto questo film con freddezza. L’accusa che si rivolge a Woody Allen è quella di vivere una sorta di parabola discendente. Nonostante il successo di Blue Jasmine dell’anno scorso, pare che il regista abbia perso un po’ di smalto, forse per il fatto di girare un film all’anno (un po’ troppo per avere sempre cose da dire). In una recensione pubblicata sul quotidiano britannico The Guardian, il critico cinematografico Peter Bradshaw critica la ricostruzione dei luoghi mostrati dal film, definiti come “poco realistici” rispetto a quello che sarebbe dovuto essere nell’epoca. Però è proprio Woody Allen a mostrare la realtà attraverso la visuale dei personaggi, non della camera da presa, con una idealizzazione continua del paesaggio, sempre molto ovattato e, in certi casi, poco attinente con la realtà.
A volte “la fa troppo facile”, per usare un modo di dire, ma se l’intento del regista non è quello di raccontare una storia credibile ma di mostrarne un singolo passaggio, allora può accadere che alcuni aspetti vengano volutamente tralasciati.

L’influenza della magia
Non bisogna dimenticare che la magia ha da sempre una grande influenza su Woody Allen, molto attratto dagli effetti che l’illusione ha sulle persone. Come si legge nel pressbook di Magic in the Moonlight: «Woody Allen è rimasto affascinato dalla magia sin dall’adolescenza e da allora la magia ed i prestigiatori sono apparsi spesso nei suoi lavori. Molti dei suoi altri film, in particolare Zelig, La rosa purpurea del Cairo, Midnight in Paris, intrecciavano in maniera stravagante le loro storie e gli argomenti, proprio come succede nella nuova commedia romantica, Magic in the Moonlight». Tra la magia e Woody Allen esiste un legame molto forte. «Negli anni ’20 – spiega il regista – i medium spirituali erano molto seguiti. Erano presi molto sul serio anche da gente famosa, come ad esempio Arthur Conan Doyle (il papà di Sherlock Holmes, ndr). Succedeva ogni tipo di avvenimento, come mostre di fotografie create ad arte che lasciavano la gente sbigottita, anche le sedute spiritiche erano molto comuni».
Probabilmente, l’idea del personaggio interpretato da Colin Firth, l’uomo che “smaschera” i medium, arriva da Harry Houdini, uno dei più grandi maghi degli anni ’20, solito partecipare alle sedute per rivelare i trucchi dei presunti chiaroveggenti. Pare però che la reale motivazione di Houdini fosse quella di scoprire se la comunicazione con i morti fosse davvero possibile, non aveva un intento denigratorio.

Un protagonista
scettico e noioso
Il personaggio del film, invece, è uno scettico di natura, che non crede affatto alla possibilità di comunicare con l’aldilà. «Stanley è una persona razionale – spiega Woody Allen –, intelligente e con una mente scientifica, quindi è gratificato da ciò che lui considera stupidità delle persone ingenue ed il loro sfruttamento».
Un personaggio accusato dalla critica di essere troppo noioso. «Lui è altezzoso – chiarisce Colin Firth –, critico, cinico e arrogante. Ha una smisurata opinione del proprio intelletto. Come specialista nell’arte dell’illusionismo, è diffidente verso qualunque cosa spirituale, mistica od occulta. È orgoglioso nel contraddire le persone che giurano di aver visto qualcosa di veramente magico durante le sedute spiritiche».
Poi l’attore scherza: «Credo che questa sia la prima volta che interpreto un personaggio veramente antipatico. Sono sicuro che il pubblico vorrà tirarmi una torta in faccia. Il modo in cui lui si presenta così sprezzante nei confronti degli altri farà pensare che dovrei abbassare la cresta».

La vita vera
Il rapporto tra Stanley e Sophie si rafforza nel conflitto, perché l’illusionista mette di continuo alla prova la giovane medium, che si dimostra una donna di grande intuito, in grado di indovinare i lati caratteriali delle persone che incontra, scavando nelle vicende private di ognuno. Non una vera chiaroveggente, ma un’attenta e sensibile osservatrice.
Questa caratteristica, inconsciamente, rende Stanley dipendente da lei. «Sophie sa che può scioccare Stanley di continuo – spiega Emma Stone – e questo le dà potere. Penso anche che lei lo trovi affascinante e, per questo motivo, dia il via a una sorta di presa in giro infantile». Il gioco si rivela il fulcro della trama che, con il passare dei minuti, abbandona la magia per raccontare i sentimenti. Woody Allen sposta l’attenzione dello spettatore verso la vita vera, senza che quasi se ne accorga.
E alla fine, come già si poteva intuire, si scopre che la magia, in realtà, non esiste. Ma esistono persone che si incontrano, si piacciono, che stringono rapporti e che passano del tempo insieme, persone le cui vite vengono influenzate dalle vite di altre persone, in maniera del tutto imprevedibile e inaspettata.

Non è questa, forse, la vera magia? <

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