Il coraggio di dire basta!

attualità di Elisa Murgese Quanto silenzio dietro ogni femminicidio Il coraggio di dire basta! Sono ancora troppi i casi di vi...

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di Elisa Murgese

Quanto silenzio dietro ogni femminicidio
Il coraggio di dire basta!
Sono ancora troppi i casi di violenza sulle donne e di omicidi imputati alla follia amorosa. Per fermare le violenze occorre anzitutto spezzare un circolo di silenzio intorno alla donna e ridarle fiducia.

   In Italia una donna su tre ha subito almeno una forma di violenza. L’11% abusi sessuali. Per chi si lascia impressionare dalle cifre, ogni anno 120 donne sono uccise in maniera violenta. Il decreto contro il femminicidio è stato approvato poco più di un anno fa, a ottobre 2013, mentre qualche anno fa lo stesso termine “femminicidio” non rientrava neppure nel nostro vocabolario. Ma la violenza contro le donne è iniziata ben prima che si scegliesse un nome per definirla, visto che in Italia il femminicidio è la causa principale di morte tra le donne tra i 14 e i 45 anni. E la percentuale più alta di questa forma di violenza si registra al nord: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto.
Eppure, prevenire la violenza sulle donne, fare fronte comune in Europa e nel mondo contro questi orribili atti di violenza, si può. «Questi delitti hanno dinamiche molto simili tra loro, anche se si verificano in contesti diversi, perché il fenomeno è trasversale a tutte le classi sociali», racconta Maria Grazia Giacomazzi, vicepresidente provinciale del Centro italiano femminile (Cif) di Padova.
Troppo spesso, quindi, sono delitti annunciati, preceduti da anni di maltrattamenti sessuali nonché psicologici e fisici, ma anche economici. Anni di richieste di aiuto andate a vuoto. Spesso, frutto di silenzi e complicità. Ed è proprio spezzando questo circolo di silenzio attorno alla donna (e a involontaria copertura del carnefice), che si può arrivare a fermare le violenze. «Non si deve voltare la testa da un’altra parte, non si può non volerne sapere quando le circostanze annunciano un rischio che può trasformarsi in qualcosa di irreparabile», continua Maria Grazia Giacomazzi.
Sono quindi le donne a non dover accettare comportamenti aggressivi, ma sono soprattutto le persone che le circondano che potrebbero aiutarle a vedere in faccia il loro carnefice. «Dai racconti fatti da donne scampate ad un possibile tentato omicidio, si capisce che questi uomini cambiano secondo uno schema uguale a se stesso. Inizialmente seduttivi e amorevoli, poi esigono attenzione esclusiva mettendo in atto strategie che isolano la partner da altre relazioni, la mortificano nella sua autostima, la insultano, la picchiano e la tengono sotto ricatto tra minacce e richieste di perdono». In alcuni casi, poi, si può arrivare anche alla morte.

Alla base del maltrattamento c’è la paura
La maggior parte delle violenze più gravi, quelle che si concludono in un omicidio, per esempio, si scatenano proprio quando la donna cerca di riprendersi la propria vita. Il carnefice «cerca di eliminare il tentativo della partner di esercitare il proprio diritto di individuo, di tornare a essere qualcosa di più che una discarica per le emozioni intollerabili del compagno», spiega Benedetta Guerrini, psichiatra della Società psicoanalitica italiana e consulente del Centro contro la violenza alle donne e ai minori di Firenze. Spesso, alla base di questi atti violenti, c’è «la paura di qualcosa o di qualcuno. Da un punto di vista psicoanalitico – continua Guerrini – la paura è un’emozione potente che, se non sufficientemente bilanciata nei primi anni di vita, può arrivare a minacciare l’integrità stessa di un individuo, e “colonizzare” le sue relazioni affettive».
Maltrattare qualcuno, poi, significa proiettare la propria empatia (ovvero la capacità di mettersi nei panni di un’altra persona) sulla parte di se stessi più debole e impaurita che è come se trovasse giovamento nel vedere il partner “soffrire, supplicare, dibattersi”, racconta la psichiatra Guerrini. Gli uomini che esercitano violenza sulle donne, infatti, «dopo questi episodi provano uno strano stato di tranquillità, un repentino calo di tensione, una calma che è il risultato della riuscita distruzione dell’indipendenza psichica della donna» che finisce per essere il veicolo dei processi proiettivi patologici del suo partner, conclude la psichiatra.

Nella mente dell’aggressore
Un femminicidio, quindi, difficilmente è figlio di quel che spesso i giornali chiamato un “improvviso raptus di follia”. È invece la logorante ultima tappa di un rapporto violento che, conferma la vicepresidente di Centro italiano femminile (Cif) di Padova, non avviene quasi mai senza segni e avvisaglie.
Ed è proprio su questi segnali premonitori che lavorano al Cif, dove è attivo un luogo di confronto non solo per lei, ma anche per lui. «Offriamo questo spazio alle donne vittime di violenza perché possano ragionare sul grado di coinvolgimento nel maltrattamento che le minaccia. Perché possano interrogarsi su ciò che hanno fatto o hanno evitato di fare per inciampare nella violenza del loro partner».
Ma l’esperimento più importante è anche quello che vede l’ascolto del polo maschile della coppia, quegli uomini che sono già stati violenti verso la propria compagna, o potrebbero diventarlo.
«Gli uomini violenti non devono precipitare ulteriormente in un mondo chiuso e senza prospettiva – continua Giacomazzi, ricordando che quando si agisce in modo aggressivo vuol dire che qualcosa nella nostra vita è andato storto, – e allora si è portati a ritenere che lo sarà per sempre. Ma non è così».

Si deve aumentare la consapevolezza, quindi, e creare una rete di aiuto «che preveda la collaborazione tra sistema educativo, lavoro, istituzioni e associazioni. Le vittime devono sapere che non sono sole». <

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  1. 21 gennaio 2015
    Alla redazione di DN dimensioni@dimensioni.org
    Esprimo queste riflessioni dopo aver letto l'articolo di attualità Il coraggio di dire basta, del gennaio 2015.
    La violenza è un fenomeno complesso che riguarda tutti, specialmente i minori, categoria più a rischio in assoluto. Ma si converrà che spesso il tema chiama in causa gli autori di articoli che dividono l’opinione pubblica senza informare correttamente. Quando si parla di violenza è in gioco molto più che una semplice differenza di vedute e sensibilità. Ma, limitandosi alla cronaca, si finisce per alimentare la paura e la suggestione, due stati d'animo che ci fanno accettare il male con rassegnazione e senso di impotenza. Il recente crescere del fenomeno, pone sullo sfondo una società ambigua. Vista dal di fuori sembra popolata da rispettabili cittadini, dall’aspetto impeccabile. Alcuni, nel segreto delle loro caverne, si trasformano invece in mostri dediti all’uso di droghe, in gruppi occulti che rappresentano vere e proprie officine del male.
    Le vittime: bambini, donne. E, poiché è facile strumentalizzarli, essi rimangono intrappolati in un contesto familiare cinico ed egoista. Sono lo scudo di una società ipocrita e malata che talvolta finge di proteggerli all’interno di strutture sociali apparentemente efficienti, ma che, nella realtà, si rivelano del tutto inadeguate e, direi, ancor più traumatizzanti. Così i piccoli vengono strappati di mano a qualche blando rappresentante di una famiglia lacerata e ormai dissolta.
    Trovo del tutto inadeguato liquidare il problema della violenza inventando spicciole giustificazioni psicologiche. Quando c’è da salvare una generazione, è urgente abbandonare le parole per passare ai fatti. Una collettività che vive su due livelli è capace di nascondere realtà di crimini e perversioni dentro cui le istituzioni non vogliono indagare. Quante volte chi denuncia una situazione di pericolo non viene ascoltato? Molte donne hanno perso la vita perché nessuno le ha protette. Basterebbe qualche intercettazione, qualche pedinamento per evitare l’epilogo finale tale e quale a tanti altri già noti.

    RispondiElimina
  2. Come definireste le persone che convivono con i violenti? Paurose o codarde? Tutt’altro. In realtà hanno già constatato che non ci sono vie di fuga, né alleanze che salvano.
    Più spesso la nostra è una società che ha deciso di non ascoltare la loro voce. Perché esse interrogano le nostre coscienze assonnate o indifferenti. In risposta, ci si volta altrove o si scaricano fardelli di responsabilità addosso alle stesse vittime, ritenute ingiustamente responsabili di non sapersi opporre a quella forma di violenza opprimente e persecutoria.
    Altre volte ci rapportiamo in maniera ipocrita verso i più deboli, collocandoli fuori dal nostro sguardo, in comunità “protette”, dove, anziché vivere al riparo e al sicuro dagli aggressori, i malcapitati sperimentano altra violenza. Ed è realmente accaduto in una comunità vicina a Firenze, dove minori bisognosi di cure sono invece stati sottoposti ad un vero e proprio sistema di torture e abusi, degno di un campo di concentramento nazista o stalinista. Non se ne parla volentieri né dell'inferno del Forteto, né di altri “inferni” accaduti nel capoluogo toscano “culla di una violenza sibillina e inaudita”.
    Come cittadini, come esseri umani, è nostro compito opporci all’operato di gruppi criminali e violenti. E’ necessario bandire l’omertà, smascherare l’informazione menzognera, al servizio dei poteri forti. Un genere di informazione che condiziona negativamente i ragazzi portandoli, dapprima ad accettare inconsapevolmente alcune forme di violenza, poi a divenirne schiavi come vittime o come carnefici.
    La nostra società ha dimostrato carattere di fronte a fenomeni di corruzione o di terrorismo. Lo abbiamo visto in molte occasioni. Ma, al contrario, è fragile e incapace di muovere un dito di fronte a episodi gravi quali la pedofilia, il satanismo, la tratta di bambini e donne divenuti oggetti di schiavitù e morte.
    Chi infligge la sofferenza al prossimo, specie a degli indifesi, per il gusto di vederli soffrire, non può essere considerato un essere umano. Amare la morte e la distruzione significa sfidare Dio e frapporsi tra Lui e quella realtà di Vita e di Amore che è il suo Regno.
    Umiliare, sottomettere, distruggere, infangare i più deboli: i gruppi di potere perverso quali i satanisti, detengono queste armi con cui tentano la distruzione dei singoli e poi delle intere società. Agiscono nell’oscurità e in maniera subdola, perché hanno paura della Luce e della verità. Ed è per questo che noi, al contrario, non dobbiamo avere paura di contrastarli. Ovunque, possiamo portare il nostro piccolo contributo, anche solo la nostra presenza e qualche buona parola di opposizione alla violenza.
    La Donna e il Bambino sono da sempre i principali alleati dell’Autore della Vita. Due persone speciali e predilette dal Dio della bontà. Entrambi rappresentano la porta e la radice di salvezza dell’umanità. Ragione per cui sempre dovrebbero essere tutelati, anche perché amati da una società che può finalmente dirsi civile. Solo nel grembo di questa umanità ristabilita può infatti perpetuarsi il dono gratuito di un’esistenza dignitosa.
    G.C.

    G. Corsi

    RispondiElimina
  3. Riportiamo un interessantissimo intervento che ci è giunto in redazione e che condividiamo:

    Alessia Sorgato, avvocato cassazionista penalista milanese, con master in Criminologia ad indirizzo vittimologico, autore di “Giù le mani dalle donne”, redattore della “Casa dei Diritti” del Comune di Milano e punto di riferimento delle principali Onlus dedicate agli abusi su donne e minori, riporta un decalogo sulle cose più importanti da sapere in situazioni di violenze su donne e minori
    Lo sapevi che?
    1) Se una donna continua a subire violenze e abusi solo perché non ha una propria autonomia economica, può chiedere e ricevere il patrocinio dello Stato, che le assegnerà un avvocato specializzato in materia sostenendo per lei ogni spesa processuale;

    2) Un comportamento di sistematica violenza economica perpetrata da un marito nei confronti della moglie, privandola del minimo e necessario sostegno economico, può entrare nel novero dei maltrattamenti e quindi costituire reato;

    3) Chiunque sia testimone di una violenza (come un vicino di casa), soprattutto quando essa sia protratta nel tempo, può denunciare la situazione alle forze di Polizia, con la certezza di mantenere nei confronti di vittime e carnefici l’anonimato;

    4) Le denunce utilizzate unicamente come forma di “rimprovero”, nei confronti di un uomo violento, e poi ritirate, su richiesta del maltrattante “pentito”, non sono mai risolutive.

    5) La remissione di querela da parte di una vittima, nei casi che la legge considera talmente gravi da far procedere d’ufficio o considerare irrevocabile la querela stessa , può non essere avvallata dall’autorità giudiziaria, che proseguirà nell’iter processuale indipendentemente da eventuali ripensamenti della diretta interessata;

    6) Anche la rete può essere un contesto per attuare molestie. Oggi il legislatore considera il così detto cyber stalking come una forma aggravata della categoria degli “atti persecutori”. Le forze dell’ordine specializzate in cyber stalking fanno capo alla Polizia Postale;

    7) La diffusione tramite e-mail, Facebook e altri social network e canali web di immagini compromettenti, informazioni private, dati personali di terze persone, può facilmente configurarsi come un reato di “diffamazione aggravata”;

    8) Camuffare la propria identità on- line, ai fini di recare danno o adescare una persona di minore età è punibile penalmente con reclusione fino a un anno;
    Anche la sola detenzione di materiale pedopornografico, ovvero contenente immagini e video erotici con soggetti di minore età, costituisce reato;

    9) E’ considerato reato, includibile nella categoria “atti di violenza sessuale”, non solo lo stupro, ma anche il palpeggiamento o la coercizione al bacio;

    10) Essendo decaduto il principio del “debito coniugale” è denunciabile anche un marito che obbliga la moglie a “concedersi” o ad accettare modalità di rapporto sessuale non volute.

    RispondiElimina

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