La Divina Commedia 2.0

di Ilaria Beretta Intervista a Fabio Ferri, editor multimediale La Divina Commedia 2.0 Quando le novità tecnologiche e gli antich...

di Ilaria Beretta


Intervista a Fabio Ferri, editor multimediale
La Divina Commedia 2.0
Quando le novità tecnologiche e gli antichi saperi
si fondono e si integrano in modo armonico, l’arricchimento è reciproco. Nuove strade di studio
e conoscenza si aprono anche per i giovani.

Andare all’Inferno con un clic, ma solo per arrivare «a riveder le stelle»… Dopo quasi 700 anni la Divina Commedia si scopre un libro, anzi un e-book di nuova generazione. Sì, perché «nel mezzo del cammin di nostra vita…» Dante si ritrova su un tablet ad alta definizione. A traghettare il Sommo Poeta al 2.0 sono stati il big informatico Apple e la nostrana Mondadori, insieme nei panni di un Caronte senza remi ma con tastiera. E nel viaggio verso il Paradiso dell’hi-tech non c’è Virgilio ma Fabio Ferri, giovane editor multimediale della casa editrice milanese che ci guida nella “selva oscura” dell’interattività.
Ferri, la Divina Commedia online: perché?
Le case informatiche stanno investendo molto nell’educazione. Google ha lanciato la piattaforma Classroom che permette di fare lezioni interattive in classe. Due anni fa Apple ha creato Author, un software per fare libri multimediali su iPad. Cercava editori per riempire di libri il suo servizio e in Italia ha trovato noi.
Sì, ma perché proprio Dante? 
Ho voluto io la Divina Commedia. È il libro che tutti “devono” leggere a scuola ed è l’inizio della letteratura italiana: quindi si parte da qui. Ma si tratta anche di un testo difficile per la lingua, per i temi e i riferimenti di cui è infarcito. Per esempio, la nostra casa tramite l’editrice Le Monnier pubblica l’edizione della Commedia curata dagli italianisti Umberto Bosco e Giovanni Reggio, prestigiosa ma molto austera.


E qual è la soluzione?
Il commento linguistico, il controllo delle fonti e del testo vanno salvaguardati, ma per arrivare alla sua profondità bisogna prima rendere accessibile il resto allo studente di oggi. Ormai parecchi editori rendono disponibile online la Divina Commedia, però si tratta di e-book da sfogliare; bisogna fare qualcosa in più, adeguare il linguaggio.
Esempi, please…
La nostra Commedia comprende gli strumenti consueti di sintesi, parafrasi, audio-letture di un attore, note sul lessico, focus per temi, critiche linguistiche... Ma poi ci sono anche le chicche innovative: ad esempio un quiz a risposta multipla evita che il compito in classe finisca in una bolgia... Invece, per mantenere la metafora del “viaggio” lo schema delle tre cantiche è disegnato come la mappa del metrò, le cartine sono geo-referenziate e rimandano in automatico a GoogleMaps.
Figuriamoci: ai miei tempi (e non sono poi tanto vecchio!) in classe c’era un vecchio planisfero su cui non era segnata neanche la Jugoslavia: spiegare diventava un’impresa… Oggi c’è GoogleMaps, sarebbe folle non sfruttarlo: i ragazzi confondono Avignone con Avellino, perché non dargli una mano con gli strumenti che usano ogni giorno? Creeremo anche rimandi tra le cantiche dell’immenso poema: per ora non si può tecnicamente, ma ci stiamo lavorando.

E poi tante foto, scommetto… Che ruolo hanno le immagini in un e-book per la scuola?
Beh, oggi persino le grammatiche di latino sono a colori… Logico che l’estetica sia enfatizzata, però ricordiamoci che le immagini sono didattica già di per sé. La Commedia stessa ha influenzato l’arte per secoli e ripescare illustrazioni dantesche poco note non è solo decorazione: è cultura vera e propria.
La ricerca iconografica è stata accuratissima: in copertina per esempio abbiamo messo gli schizzi di Salvador Dalì, fatti su incarico del Governo italiano per un anniversario dantesco; un lavoro in parte censurato perché troppo estroverso, dunque molto raro.
Dante hi-tech offrirà quindi qualcosa di diverso dal solito?
Sì, integrando la lettura con riferimenti culturali contemporanei farà capire che il poema interessa anche la vita d’oggi. Noi spieghiamo la lussuria collegandoci a un film del regista Ang Lee o l’ostica ignavia con una canzone del gruppo rock Marlene Kuntz. Dante diventa vicino, alza il volume della voce. Un po’ la medesima operazione fatta da Roberto Benigni, che leggendo la Commedia in piazza ha rivelato a un certo pubblico la ricchezza umana e universale del testo.
Non si rischia però di diventare dispersivi, aggiungendo tanti materiali così diversi?
No, la materia è sempre selezionata. Fare un libro educational significa usare il bilancino: bastano poche cose scelte per allargare gli orizzonti. Bisogna saper dividere gli spunti stimolanti dallo tsunami di informazioni che rischia di soffocare una vera conoscenza: il dramma dei giovani iperconnessi di oggi.
Infatti in America c’è appena stata un’inversione di tendenza, perché pare che il tablet a scuola non funzioni.
Bisogna usarlo nella giusta misura. Negli Usa ci sono state forme di invasamento: l’idea che i libri non servano più perché si trova tutto su internet si è rivelata una profezia sbagliata... Su Internet ci sono contenuti di qualità e altri no, ma un ragazzo non ha la capacità critica di scegliere. Il libro ha un vantaggio, cioè il ragionamento lineare e consequenziale. L’aut aut tra libri e digitale è inutile: la didattica dev’essere mista.
Sta dicendo che non si può convertire tutto in digitale?
Il multimediale non è una bacchetta magica. Sono contro all’all digital, cioè non credo che i libri debbano sparire: una tecnologia che funziona ancora dopo secoli e in certi ambiti è insuperabile. Ad esempio, per studiare la tettonica a zolle o capire la conquista dell’America saltare da un sito all’altro non serve: molto meglio un buon libro. La multimedialità tuttavia si può permettere alcune cose che la carta non riesce a fare, e d’altra parte il digitale perde quando scimmiotta la carta. È la simbiosi che porta frutto.
E se invece nelle classi italiane ci fosse una corsa al tablet?
In parte è già successo qualche Ministro dell’Istruzione fa. Ma gli italiani sono gente di buon senso: al di là dei proclami sui giornali, saranno i docenti ad adeguare il digitale alla realtà. La nostra scuola ha molti difetti, ma la qualità dei suoi insegnanti è l’àncora di salvezza. Giro parecchio nelle scuole e sono tanti i professori che fanno un uso saggio degli strumenti interattivi.
Quindi niente divorzio tra carta e multimediale?
Vivremo ancora anni di transizione. Dopo 5 secoli siamo tornati agli inizi della stampa. Allora non si sapeva cosa stesse succedendo, si facevano investimenti (proprio come oggi col digitale), ma non si sapeva come sarebbe finita. L’editoria è in difficoltà, ma il digitale è solo una parte del problema; chi legge su carta lo fa anche in digitale: la verità è che non si legge abbastanza.
E qualche valore aggiunto nell’elettronica?
Penso ai ragazzi dai bisogni speciali, come i dislessici o gli ipovedenti, per i quali le tecnologie sono strumenti inclusivi. Ora possono ingrandire la font o ascoltare in cuffia la didascalia delle immagini. Non a caso i pionieri del digitale nella scuola sono stati proprio alunni in difficoltà coi loro insegnanti.
L’editor multimediale è un mestiere nuovo: come ci è arrivato?
Ho scoperto il digitale per curiosità. Il mio curriculum era all’apparenza quanto di più lontano dalla modernità: ho fatto Lettere classiche e poi un dottorato in Filologia bizantina, però all’università ho capito che l’informatica mi facilitava. Nel 2004, quando ho scritto la tesi, i caratteri greci sul pc funzionavano a singhiozzo. Così mi sono appassionato e durante il dottorato insegnavo ai miei professori come usare il multimediale negli studi umanistici.
In pratica si è inventato il lavoro…

Esatto, la mia figura non esisteva; solo adesso hanno avviato master per formare questa professionalità, come quello di Arezzo dell’Università di Siena, dove insegno. Si tratta di far dialogare la parte tradizionale dell’editoria con il digitale e con le scuole, perché al centro ci sono ancora i contenuti, però serve familiarità con il lessico informatico tecnico. Il mio mestiere nasce da questo bisogno, sul campo. Sembra un paradosso: da un lato il mondo ci spinge alla specializzazione, dall’altro servono figure di collegamento. Oggi sta ritornando la figura di chi sa mettere insieme competenze diverse; i greci antichi lo chiamavano polimata. Visto che la filologia bizantina non l’ho dimenticata? <

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