L’inferno delle spose bambine

di Elisa Murgese L’inferno delle spose bambine Anche nella civile Europa si consuma il dramma di innumerevoli matrimoni in cui ...

di Elisa Murgese


L’inferno
delle spose bambine
Anche nella civile Europa si consuma il dramma di innumerevoli matrimoni in cui le spose sono bambine o poco più. Troppe volte si chiudono gli occhi di fronte ai diritti negati dell’infanzia.

«Ho pensato diverse volte di uccidermi. Ero solo una bambina, ma avrei preferito togliermi la vita piuttosto che sposare un uomo che aveva il doppio della mia età».
Il (tentato) matrimonio forzato di Tasleem Mulhall non si è consumato in uno sperduto villaggio dell’Asia, ma in una città della moderna Inghilterra. Tra pressioni psicologiche e rimpatri forzati, quello delle spose bambine è infatti un fenomeno molto comune in tutta Europa, soprattutto nei Paesi che hanno un alto tasso di migranti.

Anche in Italia obbligate a sposarsi
Abuso sessuale. Abuso fisico. Abuso mentale. Sono queste le violenze che subiscono le ragazze che anche in Italia sono costrette a diventare spose. Alcune rischiano persino di venire uccise, se rifiutano di prendere come marito uno sconosciuto in terra lontana. Un fenomeno difficile da fermare perché in genere «le vittime non si rivolgono alla polizia per paura di penalizzare i propri genitori – spiega Nazia Khanum, autrice di un rapporto sui matrimonio forzati –. Tra le ragazze, casi di automutilazione e suicidi sono all’ordine del giorno». Di loro si legge in qualche raro articolo di cronaca.
Come Shahnaz Begum, uccisa a sassate in provincia di Modena dal marito per aver difeso la figlia che si opponeva a un matrimonio imposto. Anna (nome di fantasia), segregata dal padre in una cantina a Bologna; celebre la frase del genitore: «Da qui uscirai o pakistana o morta». Si è letto anche di Adila che bevve dell’acido muriatico per opporsi al matrimonio combinato con un connazionale.

Un’associazione per denunciare e salvare
la presidente di Trame di Terre Tiziana Dal Pra
Ma di Shahnaz, Anna e Adila in Italia ce ne sono molte, spiega l’associazione Trama di Terre, fondata nel 1997 a Imola. Questa Onlus ha gestito il primo rifugio italiano per donne scappate dai matrimoni forzati. Oltre al rifugio, è stata attivata una rete di protezione per le donne vittime di maltrattamenti. «Uno dei problemi principali è proprio il fatto che ancora non esistono delle cifre ufficiali», racconta la presidente di Trame di Terre Tiziana Dal Pra. Ed è merito proprio dell’associazione di Imola se si ha una prima stima reale dei matrimoni forzati in Italia, visto che Trame di Terre nel 2008 ha raccolto 33 casi nella sola Emilia Romagna. «Le testimonianze riguardano ragazze marocchine, pakistane e indiane – continua Dal Pra –. Solo un caso si è concluso con il suicidio di una donna indiana avvenuto a Carpi nel 2006, mentre in almeno otto casi sono state perse le tracce della vittima». Un progetto che, purtroppo, lo scorso anno si è fermato per mancanza di fondi. «Vorremmo rivolgerci al ministero delle Pari opportunità – precisa la presidente di Trama di Terre –. Ora stiamo seguendo autonomamente alcuni casi, ma servirebbe un piano nazionale per portare avanti il progetto».

Nozze celebrate all’estero e fatte riconoscere in Europa
Una strategia diffusa tra i genitori che vogliono costringere la loro figlia al matrimonio è portarla al Paese d’origine, che sia Pakistan, Marocco o Yemen, e farla convolare a nozze in un remoto villaggio. Poi, al ritorno in Europa, sarà solo una formalità fare registrare il matrimonio dal governo dove la famiglia ormai risiede.
Perché in Italia, per esempio, i matrimoni con minorenni sono vietati ma manca completamente un quadro legislativo utile a contrastare questo fenomeno. Il fatto che quasi sempre le nozze sono celebrate all’estero, infatti, è un escamotage che permette di aggirare la legge e intrappolare la ragazza che, una volta tornata in Europa, non sarà sottoposta a nessun controllo per capire la validità del consenso alle nozze. «Sappiamo di essere solo all’inizio di un percorso complesso e poco esplorato in Italia – continua la presidente di Trama di Terre –. Per questo vogliamo porre all’attenzione della politica italiana questo tema, portando il nostro contributo, frutto del lavoro sul campo fatto negli ultimi cinque anni. La prima necessità è quella di riconoscere i matrimoni forzati come una delle forme di violenza contro le donne».

Ultima speranza: un cucchiaino all’aeroporto
Nel Regno Unito, dove il fenomeno dei matrimoni forzati è maggiormente monitorato che in Italia, parte del lavoro delle Ong consiste nel dare consigli alle future spose bambine su come evitare di essere portate dai loro genitori fuori dal Regno Unito per obbligarle a sposarsi con uno sconosciuto.

Una delle strategie consigliata alle piccole vittime è quella di nascondere un cucchiaino metallico nelle mutande: questo porterà il metal detector dell’aeroporto a suonare e, non trovando nulla nelle tasche della minore, obbligherà la sicurezza aeroportuale a perquisire la ragazza in un’area sicura. Qui, lontana dal padre, la minore potrà raccontare del timore di stare per essere obbligata a sposarsi. «Questi trucchetti saranno necessari fino a che il governo non renderà il matrimonio forzato un reato penale», racconta Tasleem Mulhall dal Regno Unito. Una battaglia che il premier inglese David Cameron non sembra volere portare avanti. E che l’Italia non ha ancora iniziato, preferendo lasciare le sue bambine ancora con pochi aiuti. Per non dire, nessuno.

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