Anche Dio va al cinema

Anche Dio va al cinema La “settima arte” nasceva 120 anni fa.  “Dimensioni Nuove” festeggia questo importante anniversario focalizzan...

Anche Dio va al cinema

La “settima arte” nasceva 120 anni fa. 

“Dimensioni Nuove” festeggia questo importante anniversario focalizzando l’attenzione su quei film che si sono intrecciati con la fede.



È tempo di festeggiamenti per il cinema, che ha soffiato 120 candeline sulla sua torta di compleanno. E dal 1895 al 2015 ovviamente tante cose sono cambiate nel mondo del grande schermo. La settima arte è passata dalle pellicole di celluloide al formato digitale, dagli ingenui filmati dei fratelli Lumière, inventori del cinema, ai capolavori di tanti registi che hanno emozionato milioni di persone.
Non c’è genere che non sia passato... davanti a una macchina da presa, dal western al giallo, dalla fantascienza al comico. Dimensioni Nuove, per celebrare l’importante anniversario, ha scelto di focalizzare l’attenzione sui film che si sono intrecciati con la fede. Una selezione, per forza di cose, parziale ma, pensiamo, comunque stimolante per approfondire l’argomento.


Gesù superstar


Il rapporto tra cinema e fede si è concretizzato in produzioni cinematografiche di straordinaria intensità, non solo per i contenuti forti trasmessi, ma anche per la potenza delle immagini e delle inquadrature. E in determinati film, entrati a far parte del patrimonio artistico dell’umanità, proprio Gesù ne è il protagonista assoluto. Anzi una superstar. La grandezza, la complessità, la dimensione umana e divina del suo messaggio e della sua stessa vita terrena sono state trasposti in diversi film.
Jesus Christ Superstar, uscito nel 1973, diretto da Norman Jewison, che riproponeva il musical omonimo con qualche piccola variante, interamente cantato con brani rock e girato in Israele, ottenne un grande successo di pubblico, anche se non mancarono polemiche e contestazioni da parte della Chiesa.
La storia di Gesù, condensata all’ultima settimana della sua vita prima della crocifissione, fu liberamente interpretata, non rispecchiando l’autenticità del messaggio evangelico. Tuttavia, mise comunque in potente risalto la figura carismatica del Cristo, la cui divinità era messa in dubbio e in contrasto con il controverso, e pur accattivante, personaggio di Giuda. Entrambi gli attori, che impersonavano rispettivamente Gesù e Giuda, cioè Ted Neeley e Carl Anderson, per la loro efficace e suggestiva interpretazione, furono candidati al prestigioso Golden Globe nel 1974.
In una caratteristica ambientazione hippie, tre personaggi in questo film fanno la parte del leone: Gesù, Giuda e Maria Maddalena. Tutto si gioca intorno alla combattuta figura di Giuda, il quale non comprende e non approva come agisce Gesù in mezzo alla gente, la cui crescente popolarità potrebbe sfruttare meglio per contrastare il dominio romano, invece di perder tempo a predicare.
Maria Maddalena, una prostituta invisa a tutti, della quale Gesù prende sempre le difese, sembra essere l’unica che lo consoli e lo comprenda. Si è infatuata del Cristo e non sa come esternare il suo sentimento (di qui il famoso brano I don’t know how to love him). Una scena del film, quando Gesù e i discepoli sono riuniti insieme per celebrare la Pasqua, riproduce fedelmente, per un istante, il dipinto dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci.

Il Cristo dei Vangeli

Di tutt’altro spessore il Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli.
Girato nel 1977 come sceneggiato televisivo, ma con tutte le caratteristiche di una trasposizione da kolossal cinematografico, ebbe una larghissima risonanza internazionale. Quasi ogni anno viene riproposto a Natale o a Pasqua nelle tv del mondo.
Il Gesù, interpretato dall’attore Robert Powell, rispecchia con una grande potenza espressiva, in modo molto toccante e suggestivo, le pagine dei Vangeli, sino a risultare, però, forse, più oleografico che davvero intriso di un autentico messaggio religioso. Ma le straordinarie scene di massa e la grande bravura degli interpreti (tutti attori famosi dell’epoca) hanno fatto sì che questo prodotto televisivo-cinematografico sia considerato il più riuscito ritratto di Gesù nella storia del cinema e delle fiction televisive. 
Di particolare rilievo, invece, è stato il Gesù che aveva diretto per il grande schermo Pierpaolo Pasolini: Il Vangelo secondo Matteo (1964), una rivisitazione in chiave laica del testo evangelico. Fu una vera e propria provocazione intellettuale che scosse il mondo della cultura, la Chiesa e lo stesso pubblico di spettatori. Pur risultando molto fedele ai contenuti e alle ambientazioni esposte nel Vangelo di Matteo, il film, interpretato da attori non professionisti e con comparse di genuina estrazione contadina provenienti dalle regioni del Sud Italia, è permeato da una sensibilità profondamente umana, ma sembra riflettere più problematiche sociali e ideologiche anziché tematiche spirituali e religiose vere e proprie.
L’ispirazione al Vangelo di Matteo sarebbe stata strumentale al regista per dare una lettura poetica e personale della vita e dell’esperienza di Cristo sulla terra, con una connotazione fortemente laicista, priva di sfumature esplicitamente religiose.

Passione e tentazione

Senz’altro singolare è stato La passione di Cristo di Mel Gibson.
Fu prodotto nel 2004 e girato in Italia, prevalentemente a Matera, in Basilicata, con un cast di attori quasi tutti italiani. Il regista e noto attore Mel Gibson, basandosi sui suggerimenti fornitigli da biblisti e teologi di fama, curò ogni particolare di questo film, incentrato in modo molto marcato sull’estrema sofferenza provata da Gesù nel momento del suo arresto presso l’Orto del Getsemani, al processo davanti a Pilato, durante la terribile flagellazione, lungo il suo calvario fino alla crocifissione e la morte.
Le scene risultano di una particolare crudezza, talmente impressionanti che in America il film fu vietato ai minori di 17 anni. Emerse che lo stesso papa Giovanni Paolo II, nel vederlo in prima assoluta, rimase molto impressionato ed espresse un parere favorevole, ma pare si trattasse solo di una promozione pubblicitaria montata ad arte. La Curia romana diede subito una smentita circa le presunte dichiarazioni del pontefice.
Molte riprese del film si richiamano alle visioni di una mistica cattolica tedesca, Anna Katharina Emmerick, vissuta tra il XVIII e il XIX secolo, che lasciò un suo diario dove riportò tutta l’esperienza dolorosa di Cristo come l’aveva colta nelle sue visioni mistiche. La peculiarità di questo insolito lungometraggio su Gesù è che per dare un tocco di maggiore realismo alle scene, tutti gli attori parlano in aramaico (anche se approssimativo, essendo vaghe le testimonianze rimaste di questa lingua in Palestina) o in latino, le stesse lingue parlate al tempo di Gesù secondo la Tradizione: non era infatti previsto il doppiaggio, ma solo i sottotitoli nelle lingue moderne.
Un film che, nonostante la efferatezza delle immagini, o proprio grazie a esse, ha coinvolto tutti, attori e spettatori, sul piano emotivo più profondo, suscitando anche conversioni, mentre si giravano le riprese sul set, come infatti è successo all’attore Pietro Sarubbi che impersonava Barabba. Può sembrare eccessivo, ma l’attore che aveva la parte di protagonista, James Caviezel, nell’interpretare il Cristo sofferente, era sempre accompagnato da un sacerdote e, durante le pause della lavorazione, recitava il rosario per meglio entrare nel ruolo.
Notevole è stato anche il supporto robotico e digitale attraverso il quale l’interprete di Gesù veniva sostituito da un manichino robot a lui somigliante, fatto muovere da un elaborato impianto di animazione elettronica per rendere le immagini di dolore ancora più di effetto, efferate e scioccanti, come spasimi, uscite di fiotti di sangue e improvvisi sussulti nervosi delle braccia e della testa.
Le scene della flagellazione e della trafittura dei chiodi sulla croce sono state rese di un realismo esasperante, grazie a un accurato intervento di make up sul corpo dell’attore (dorso, palme delle mani e piante dei piedi) e a una strumentazione digitale d’eccellenza. 
La rappresentazione di immagini terrificanti, volte a raffigurare con estrema efferatezza il tremendo maltrattamento lacerante subito da Gesù durante il suo calvario, è stata considerata eccessiva, oltre il limite della perversione, e non ha ricevuto consensi unanimi da pubblico e critica. Malgrado le polemiche suscitate per certe inquadrature di violenza inaudita, sospettate addirittura di una morbosità maniacale, il film vinse l’Oscar l’anno dopo. 
Un ennesimo film su Gesù che destò un certo scalpore è stato L’ultima tentazione di Cristo, diretto nel 1988 da Martin Scorsese. La sceneggiatura trae spunto dal romanzo postumo L’ultima tentazione di Nikos Kazantzakis, scrittore greco scomparso alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. Piovvero anche in quest’occasione critiche, polemiche e contestazioni sulla trama e la conduzione del lungometraggio, considerato da più parti irriverente, e per questo addirittura boicottato.
Il Gesù voluto dal regista – come anche nel romanzo da cui traeva ispirazione – si pone del tutto all’opposto dell’immagine dogmatica e dottrinaria propria della Chiesa. Infatti è un Cristo molto umanizzato, pieno di dubbi, che cede alle debolezze della carne, vive di insicurezze, interiormente tormentato, una figura paradossale che contrasta in modo netto con il Gesù descritto dai quattro evangelisti, ma che risponde a una visione ancora una volta laica della missione del Figlio di Dio. Di cui si evidenziano i bisogni umani, senza cogliervi il minimo indizio di un mistero divino.
La visione di questi film epocali su Gesù mostra un tentativo di interpretazione appassionata e stimolante del Cristo dei Vangeli da parte del regista di turno, che rispecchia le problematiche e i risvolti sociali o ideologici contemporanei, ma da una prospettiva etica quasi sempre laica, talvolta eterodossa, quando non conforme e consona alla Tradizione e alla dottrina della Chiesa.
Le pellicole risultano poi, il più delle volte, frutto di un’operazione estetica e culturale volta a mettere a nudo differenti sfumature e sensibilità a livello sia di emozioni e sentimenti, sia di contraddizioni e perplessità intorno al trascendente, ponendo in discussione e in chiave critica le ragioni stesse della fede e le convenzioni religiose, con l’intento quasi di aggirarle o eluderle, ma senza escluderle mai del tutto.

Una Bibbia... kolossal
La storia del cinema annovera tra i suoi capolavori alcuni film che narrano in modo straordinariamente coinvolgente storie tratte dalla Bibbia stessa. Una riproduzione cinematografica fedele all’Antico Testamento è stata La Bibbia, film uscito nel 1956 e diretto da John Huston. Vi sono riportati i primi 22 capitoli della Genesi (dalla creazione di Adamo ed Eva al sacrificio di Isacco).



La caratteristica di queste immagini sta nella loro potenza evocativa, dovuta agli effetti speciali dell’epoca davvero impressionanti e alle scenografie molto ricche e grandiose, di modello hollywoodiano, anche se il film fu girato in gran parte in Italia, oltre che in Egitto e in Israele.

Un diluvio di effetti speciali

Un’altra pellicola che si caratterizza ancora per gli effetti speciali, grazie a tecniche artigianali ingegnosissime che utilizzavano trucchi ottici e congegni meccanici appositamente studiati e fabbricati, è I Dieci Comandamenti, un kolossal statunitense del 1956, diretto da Cecil B. DeMille e vincitore del premio Oscar l’anno successivo, con un cast formato da grandi attori dell’epoca, come Charlton Heston nella parte di Mosè e Yul Brynner nelle vesti del faraone.
Viene narrata appunto la storia di Mosè e della fuga dall’Egitto (Libro dell’Esodo), e la trama è frutto di una scrupolosa attinenza alle Sacre Scritture, ma anche al Corano e ad altri documenti storici antichi. Non mancano, tuttavia, degli errori e delle incongruenze, dovute più a ragioni di montaggio e sceneggiatura che al rispetto preciso dei contenuti biblici.
Le scene del rovo ardente da cui Mosè ode la voce di Dio, del bastone in mano ad Aronne che si trasforma in serpente, delle sette piaghe che colpiscono l’Egitto fino alla morte dei primogeniti, della divisione delle acque del Mar Rosso, del dito di Dio che con il fuoco scrive i comandamenti sulle Tavole marmoree della Legge, ecc. sono tutte il risultato di trucchi cinematografici artigianali stupefacenti. Scene che lasciarono di stucco il pubblico e a esse si ispirò lo stesso Steven Spielberg, diventato poi un maestro in questo genere di inquadrature.
Trucchi che oggi fanno sorridere se paragonati, per esempio, al recente Noah (2014), incentrato sull’episodio del diluvio e dell’Arca di Noè, scritto, diretto e prodotto da Darren Aronofsky, con Russell Crowe che interpreta il protagonista biblico. Al di là degli straordinari effetti speciali ottici, che sono il prodotto di un’elaborazione digitale elettronica, la storia narrata tende a differenziarsi molto dal contenuto esatto dell’Antico Testamento, ma ne conserva pienamente lo spirito e il messaggio, che oltre a essere profondamente religioso, ha un forte impatto emotivo sullo spettatore per le implicanze etico-ambientali proposte nel film. 

Il clero di celluloide
Tanti film hanno come protagonisti preti e suore. Di loro si esplorano non solo la corrente spirituale che li anima, ma anche il lato umano, le fragilità interiori, i momenti di crisi e smarrimento vissuti, nonostante la fede e l’abito che portano.
Tralasciando la famosissima e frizzante Sister Act, sulle suore si può citare il lungometraggio Fuori dal mondo (1999), diretto dal sociologo Giuseppe Piccioni, con Margherita Buy nella parte di suor Caterina. Qui si focalizzano i sentimenti profondi che sorgono in una donna che ha risposto a una chiamata religiosa di fronte al senso della vita e alle sue ripercussioni interiori e relazionali con il mondo esterno, provocatogli dall’aver trovato per caso un neonato abbandonato in una culla.
Un altro film con al centro delle suore che fa parte della storia del cinema a pieno titolo è La storia di una monaca (1959), regia di Fred Zinnemann e interpretato da Audrey Hepburn nei panni di una suora che matura con sofferenza la decisione di abbandonare la sua congregazione. Tratto da un romanzo della scrittrice americana Kathryn Hulme, la pelllicola si ispira alla storia vera della suora belga Marie Louise Habets, ex religiosa della congregazione di Carità di Gesù e Maria.

Tra impegno e risate
Sul fronte dei sacerdoti, sono molti i film che narrano la vita di preti martiri. Un esempio per tutti è Alla luce del sole, uscito nel 2005 e diretto da Roberto Faenza. Una pellicola di denuncia sociale, che ripercorre i passi di don Pino Puglisi, interpretato da Luca Zingaretti, fino al suo omicidio per mano della mafia.
Altre produzioni cinematografiche descrivono, invece, i preti in modo ironico e ilare, seppur con un taglio volutamente superficiale. È il caso del recente Si accettano miracoli, firmato da Alessandro Siani. Nella commedia il parroco don Germano, interpretato da Fabio De Luigi, è alle prese con un falso miracolo, che provocherà equivoci e guai fino al lieto fine.
In questo filone, va sicuramente citata la serie dei lungometraggi di successo con l’attore comico francese Fernandel nei panni di Don Camillo, il prete immortalato dalla penna dello scrittore Giovannino Guareschi, sempre in conflitto con il sindaco comunista Peppone, interpretato da Gino Cervi. Quei film (negli anni Cinquanta del secolo scorso) sono lo specchio di un’epoca e di un’Italia ormai superata, ma l’umorismo che ne scaturisce è senza tempo e il messaggio religioso ed etico che trasmettono è davvero genuino.

Tra dramma e commedia
Sul versante opposto, quello drammatico, è significativo Il dubbio (2008), scritto e diretto da John Patrick Shanley, adattamento cinematografico dell’omonima opera teatrale, che affronta il problema degli abusi sessuali, cui la Chiesa sta cercando di porre rimedio in modo risolutivo. Il tema trattato è la sospetta omosessualità di un insegnante sacerdote, che avrebbe adottato comportamenti morbosi con i suoi studenti.
Tra gli altri film in cui il ruolo del prete emerge in primo piano si possono citare La Messa è finita di Nanni Moretti (1985), che descrive con una certa intensità emotiva il travaglio interiore di un sacerdote che non riesce a comunicare e condividere le ragioni profonde della sua fede; Io, loro e Lara (2010) diretto e interpretato da Carlo Verdone, che ripropone il leitmotiv della crisi di fede, anche in chiave umoristica e leggera, ma senza tralasciare aspetti etici e umani toccanti e per nulla marginali; Se Dio vuole (2015) in cui si fa stridente il rapporto tra un cardiochirurgo decisamente ateo e mangiapreti, interpretato da Carlo Giannini, e un sacerdote (Alessandro Gassmann), che con il suo carisma di prete da strada ha suscitato nel figlio del medico specialista la vocazione religiosa.
I due si scontrano fino a che la grande umanità e la fede concreta e incarnata nel quotidiano del sacerdote non persuadono il padre ateo a provare rispetto per la stessa vocazione sacerdotale.
Il film ha molteplici risvolti da commedia, volti a prendere di mira luoghi comuni e stereotipi borghesi sulla figura del prete, ma consentono al contempo allo spettatore di osservare da una diversa prospettiva la vocazione religiosa.

Santi ed eroi
Nel fare un breve accenno a film che ritraggono biografie di santi e martiri della storia della Chiesa, con rappresentazioni fedeli alla tradizione agiografica, corredate di interpretazioni che in fondo non tradiscono l’autentico messaggio evangelico, si possono menzionare quelle relative al poverello d’Assisi, come Francesco giullare di Dio (1950) di Roberto Rossellini, Fratello sole, sorella luna (1972) di Franco Zeffirelli. O, ancora, il Francesco di Liliana Cavani (1989), impersonato da Mickey Rourke, in cui la persona del santo viene indagata nell’intimo del suo spirito, per cercare di conoscere le ragioni profonde del suo cambiamento radicale di vita, determinato da un misterioso e imperioso richiamo di Dio, del Cristo dei Vangeli.
Altri lungometraggi, come Bernadette Soubirous (1943) diretto da Henry King, Giovanna D’Arco (1999) firmato da Luc Besson, o il film-tv Sant’Agostino (2010) interpretato da Alessandro Preziosi e con la regia di Christian Duguay, ripercorrono in modo intenso e profondo il cammino di ricerca spirituale di queste grandi figure iconografiche della Chiesa, pur con qualche riserva sulla scelta di alcune inquadrature o sulla rappresentazione non sempre autentica del risvolto più propriamente religioso che li caratterizza.
Certi avvenimenti della storia della Chiesa vengono inoltre raccontati con un forte rilievo drammatico, ma profondamente realistico, da grandi film di successo come The Mission (1986).
Nel cast, svetta Robert De Niro nella parte di uno dei missionari gesuiti che decidono di prendere le difese degli indios Guaranì del Sud America, imbracciando addirittura le armi, anche ponendosi in contrasto con la Chiesa e i regni di Spagna e Portogallo nel XVI secolo.
Coinvolgente Uomini di Dio (2010), che ripropone in maniera precisa e documentata l’esperienza tragica dei sette monaci cistercensi trappisti rapiti in un monastero di Tibhirine in Algeria. Uccisi dai terroristi islamici nel 1996, la trama si basa anche sugli stessi scritti lasciati da alcuni monaci martiri.

C’è anche il fantasy

Riscuote infine un largo consenso di pubblico un filone religioso-fantasy in cui prevale una dimensione cosmologica, magica, fatata, marcatamente accentuata dalla lotta tra il bene e il male, al di là delle convenzioni o confessioni religiose da cui non trarrebbero necessariamente uno spunto diretto.
In tal senso, ha visto trionfare nei cinema film tratti da grandi romanzi fantasy di scrittori tutti britannici: John Ronald Reuel Tolkien con la trilogia de Il Signore degli Anelli, trasposta in tre kolossal sotto la regia di Peter Jackson (2001, 2002, 2003); Joanne Rowling, autrice della saga di Harry Potter, da cui sono stati tratti otto titoli diversi dal 2001 al 2011; Clive Staples Lewis, il più ispirato alle tematiche cristiane con i sette romanzi della serie Le Cronache di Narnia, di cui tre finora arrivati sul grande schermo tra il 2005 e il 2010.<

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