Una farfalla sulla bici

persone di Elisa Murgese Quando lo sport va oltre ogni limite Una farfalla sulla bici Anna Mei, record mondial...



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di Elisa Murgese



Quando lo sport va oltre ogni limite

Una farfalla sulla bici

Anna Mei, record mondiale di permanenza su pista, racconta il proprio impegno per far conoscere una rara patologia:

i bambini farfalla. Una causa che motiva gli sforzi di una vita.



  Lo sport unisce. Sui campi da calcio, nelle piscine olimpioniche o tra le piste da running, “lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla”. E nella definizione data a inizio Novecento dal fondatore dei Giochi olimpici, Pierre de Coubertin, si percepisce quanto ogni sforzo atletico sia anche una questione mentale, una spinta, che alcuni sportivi hanno scelto di dedicare alla lotta contro le malattie rare. Come Vincenzo Nibali, ciclista vincitore del Giro d’Italia 2013 e del Tour del France 2014, che da anni pedala per destinare fondi alla ricerca contro la distrofia muscolare di Duchenne e Becker, una malattia rara che porta alla paralisi degli arti.

La nuotatrice olimpica Federica Pellegrini, invece, ha posato per il calendario 2016 dell’Associazione Ipertensione Polmonare Italiana onlus, malattia degenerativa poco conosciuta che colpisce soprattutto le donne. Una scelta che a Genova fa superare perfino le rivalità del derby, visto che Genoa e Sampdoria Calcio, avversarie sul campo, sono insieme supporter dell’associazione malattie rare “Mauro Baschirotto”.

Professionisti che hanno dedicato il loro volto a una causa.



Una carriera dedicata

Diverso è votare un’intera carriera sportiva a far conoscere una malattia rara. Lo sa bene Anna Mei, record mondiale di permanenza su pista. Una battaglia di mille chilometri combattuta in sella alla sua bici dopo 35 ore, 11 minuti e 6 secondi. Una sfida che la 48enne di Milano ha deciso di vincere per i bambini farfalla, bimbi affetti da una malattia genetica rara (epidermolisi bollosa) che rende la loro pelle estremamente fragile come la ali di una farfalla, coprendosi di vesciche e ustioni a un semplice sfregamento.

Per fare conoscere questa patologia, la biker a novembre 2015 ha percorso 4mila giri di pista al velodromo bresciano di Montichiari. Obiettivo dichiarato: andare oltre il gesto atletico, liberandosi di tutti gli sponsor, per sostenere le associazioni Debra e Sport nel cuore.

«Ho fatto solo quel che era giusto fare – racconta Anna Mei a Dimensioni Nuove –. Il mio record non l’ho fatto da sola: ognuno aveva un compito durante quelle 36 ore, come organizzare la logistica e occuparsi del pranzo, per esempio. Il mio dovere era quello di pedalare e, come tutti, l’ho fatto nel migliore dei modi».

Record conquistato nel weekend, a inizio settimana la 48enne milanese era già tornata in classe, dietro una cattedra alle scuole primarie di Santo Stefano, a Lecco. Le sue materie? Storia, geografia, informatica e immagine. Ma da quest’anno, ecco la nascita anche di alcuni laboratori. «Con i bambini più piccoli voglio creare gadget da vendere a sostegno dei bimbi farfalla – continua la biker – mentre alle scuole medie mi hanno chiesto di motivare adolescenti che, a detta dei loro insegnanti, sono apatici e con poca volontà».



Anna Mei
La forza per pedalare 35 ore

Secondo la ciclista da record, la chiave è spingere ognuno a trovare il proprio talento. «Dio ha un disegno su tutti noi, ma certe volte ci fa vivere situazioni che ci fanno arrabbiare. Abbiamo tutto il diritto di arrabbiarci con Dio, anche Gesù lo ha fatto. Ma non dobbiamo mai dimenticare che anche la nostra sofferenza rientra nei suoi piani».

Quando non riusciva più a stare seduta e le gambe sembravano abbandonarla, Anna Mei pensava a loro, a quei bimbi affetti da epidermolisi bollosa, costretti a fare i conti con medicazioni e bendaggi quotidiani. «Qualche giorno prima del record una ragazza farfalla mi ha detto di soffrire anche mentre dorme. E nei momenti di massimo dolore, questa giovane 24enne dice a se stessa “Io sono più forte” – ricorda la 48enne milanese –. Era questa sua frase a darmi coraggio giro dopo giro: se loro riescono a portare la croce della sofferenza ogni giorno, io dovevo riuscire a sopportare il male per soli mille giri di pista».



Spese ingenti e poca ricerca

Una malattia rara, l’epidermolisi bollosa, orfana di cure e ricerca, per cui diagnosi e trattamento possono essere difficoltosi, non solo per una scarsa conoscenza medica, ma anche per il mancato interesse delle case farmaceutiche a fare ricerca per medicinali usati da pochissime persone. Sono quindi le famiglie a pagare i costi economici e sociali di assistenza. Cifre non indifferenti che, secondo un’indagine di Regione Lombardia del 2012-2013, arrivano a toccare la soglia dei 2.500 euro l’anno. Somme che non sempre le famiglie riescono a sostenere: ecco quindi scendere in campo parenti e amici (11%), associazioni di volontariato (1,6%) ma anche istituti di credito (6,7%).

Dedicare una carriera sportiva a questa causa, quindi, significa dare un sostegno concreto alla ricerca. Una lotta, che la ciclista spera ora di portare avanti in Europa. «Vorrei partecipare alla Coppa del mondo, una 24 ore in sella alla bici», racconta Anna Mei immaginando una nuova raccolta fondi alle porte, sempre con addosso la maglia con le farfalle.



La forza di ogni giorno

«I feedback più importanti li ho dalla gente comune – continua la ciclista da record –. C’è chi, in esaurimento nervoso, mi ha visto pedalare dicendomi di avere un motivo in più per lottare. Altri, mi hanno detto che, prima di vedermi, non avevano mai pensato di potere aiutare gli altri non con il denaro, ma mettendo il proprio talento al loro servizio. Bisogna sempre darsi una seconda chance e credere in qualcosa».

Ed è proprio questo misto di fede e passione ad averla portata nel 2013 a fare il Cammino di Santiago in bici o ad averla spinta a pedalare fino alla Madonna di Medjugorje per poggiare, ai suoi piedi, la farfalla che le aveva donato la mamma di un bimbo malato di epidermolisi bollosa. «I bambini farfalla mi hanno dato una nuova vita mostrandomi la forza con cui affrontano ogni giorno. Sono loro i miei veri insegnanti». Uno spirito sportivo che partecipa sempre dello spirito religioso. Mentre le lotte, in ospedale come su campi da gioco e piste, continuano. Nella speranza, un giorno, di vincere entrambe queste gare. <

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