TTIP: è il commercio, bellezza!

dossier di Giovanni Godio TTIP: è il commercio, bellezza! UE e USA stanno da tempo cercando un accor...



dossier

di Giovanni Godio



TTIP:

è il commercio,

bellezza!

UE e USA stanno da tempo cercando

un accordo commerciale di vaste proporzioni.

Che solleva preoccupazioni e allarmi.




Un trattato

in bianco e nero



TTIP: dicesi di sigla ignota ai più, che alcuni pronunciano titìp e altri titiaipì, all’inglese. Sta per Transatlantic Trade and Investment Partnership, ovvero Partenariato transatlantico su commercio e investimenti, ed è un accordo che l’Unione Europea tratta dal 2013 con gli Stati Uniti.

Cecilia Malmström
A un lato del tavolo c’è il commissario UE per il Commercio, oggi la svedese Cecilia Malmström con una squadra di negoziatori e specialisti, dall’altro il rappresentante degli USA per il Commercio Michael Froman, anche lui con tanto di team. Obiettivi dichiarati: facilitare il commercio di beni e servizi fra le due sponde dell’Atlantico, abbattendo dazi doganali, burocrazia e restrizioni agli investimenti, e mettendo a punto nuove norme per rendere «più agevole ed equo» esportare, importare e investire oltreoceano.

Michael Froman
La sigla sarà ignota ai più, ma la posta in gioco è immensa: il più grande accordo bilaterale commerciale mai negoziato nella Storia, perché le economie degli USA e dell’UE fanno insieme quasi la metà del PIL globale (il 46%) e circa un terzo dei flussi commerciali del pianeta.

Il termine del negoziato non si sa: a quanto pare la Commissione Europea contava di arrivare a una bozza di accordo per la fine del 2015, ma le trattative sono tutt’altro che concluse.

Già, a quanto pare. Perché il negoziato è condotto in una sostanziale segretezza. «Solo a fine 2014 l’Ombudsman europeo su pressione della società civile e dei cittadini europei ha imposto alla Commissione Europea di rendere più accessibili i documenti. Si è ottenuta la pubblicazione dei documenti di posizionamento dell’UE, ma non i testi negoziali veri e propri, su cui si gioca la vera trattativa».

Questa precisazione è di “Stop TTIP Italia”, la campagna di società civile che, in rete con analoghe iniziative europee, chiede dal 2014 di fermare il negoziato. E non solo per la questione di metodo relativa alla segretezza, bensì per una nutrita batteria di questioni di merito. Che non interessano solo grandi e piccoli investitori, grandi piccoli produttori, grandi e piccoli commercianti, ma tutti noi cittadini d’Europa (e d’America).

«Il TTIP è qualcosa di più di una semplice trattativa di liberalizzazione commerciale. È l’ennesimo attacco frontale che vede lobby economiche, governi e poteri forti accanirsi su quello che rimane dei diritti del lavoro, della persona, dell’ambiente e di cittadinanza dopo anni di crisi...»: la “piattaforma” della campagna “Stop TTIP” va giù dura. Ma poiché non ci si può fermare agli slogan da volantino, urge dossier sulle posizioni in campo.



La Commissione UE: PIL, prosciutti & qualità

Un punto fermo: il TTIP di per sé non esiste ancora. Abbiamo solo trattative che conosciamo a metà, una documentazione ufficiale parziale e un’architettura generale fatta di 24 capitoli suddivisi in tre parti: “Accesso al mercato”, “Cooperazione in campo normativo” e “Norme”.

Tuttavia, secondo la Commissione Europea, se l’accordo sarà concluso e ratificato le ricadute economiche positive saranno numerose: «Il TTIP potenzierebbe gli scambi commerciali in un’epoca di crisi economica – dice Bruxelles agli euro-cittadini – . Ciò significa maggiori opportunità commerciali e crescita, e più posti di lavoro. I prezzi più bassi, una maggiore varietà di prodotti e la fiducia che i prodotti e i servizi provenienti dall’altra parte dell’Atlantico rispettino gli standard più elevati di sicurezza contribuirebbero alla prosperità di oltre 800 milioni di cittadini europei e statunitensi». Citando uno studio commissionato al Centre for Economic Policy Research di Londra, la Commissione afferma che il TTIP, una volta pienamente operativo, “potrebbe apportare” un + 0,5% al PIL dell’UE.

Questi i vantaggi previsti in particolare per il made in Europe di qualità: «L’UE esporta negli USA soprattutto prodotti ad alto valore aggiunto, come formaggi, prosciutti, vini, olio d’oliva, liquori e cioccolato. A causa delle alte tariffe doganali statunitensi fino al 30%, questi prodotti sono fuori dalla portata di molti americani, e per le imprese e gli agricoltori europei oggi è difficile esportarli».



Stop TTIP: se salute e servizi pubblici “distorcono il mercato”...

Vantaggi? – replicano a “Stop TTIP Italia” – Davvero non ce n’è. O ce n’è per pochi, i soliti pochi: il negoziato sul TTIP va bocciato e fermato, senza diritto di appello. Ecco quello che rischiamo, secondo i dossier preparati dalla campagna di protesta, con un TTIP firmato e sottoscritto sulle due sponde dell’Atlantico.

Nel campo della sicurezza alimentare, accusa “Stop TTIP”, «le norme europee su pesticidi, OGM, carne agli ormoni e più in generale sulla qualità degli alimenti, più restrittive di quelle americane e internazionali, potrebbero essere condannate come “barriere commerciali illegali”».

I settori acqua ed energia sarebbero sempre più «a rischio privatizzazione», cosicché le comunità che decidessero altrimenti «potrebbero essere accusate di distorsione del mercato». Più in generale, alla voce servizi pubblici «il TTIP limiterebbe il potere degli Stati nell’organizzare i servizi pubblici come la sanità, i trasporti, l’istruzione, i servizi idrici, educativi e metterebbe a rischio l’accesso per tutti a tali servizi a vantaggio di una privatizzazione che rischia di escludere i meno privilegiati».

Non basta: «La legislazione sul lavoro, già drasticamente deregolamentata dalle politiche di austerity dell’Unione Europea, verrebbe ulteriormente attaccata in quanto potrebbe essere considerata “barriera non tariffaria” da rimuovere». Per quanto riguarda la finanza, «il trattato comporterebbe l’impossibilità di qualsivoglia controllo sui movimenti di capitali e sulla speculazione bancaria e finanziaria». Per quanto riguarda brevetti e proprietà intellettuale, «la difesa dei diritti di proprietà delle imprese sui brevetti metterebbe a rischio la disponibilità di beni essenziali, quali ad esempio i medicinali generici».

Senza contare un principio di fondo del TTIP, la tutela dell’investitore privato, che secondo i negoziatori dovrà essere difesa da un arbitrato internazionale. Le aziende potranno appellarsi ad esso, denuncia “Stop TTIP”, «per rivalersi su governi colpevoli, a loro dire, di aver ostacolato la loro corsa al profitto. Qualsiasi regolamentazione pubblica che tuteli i diritti sociali, economici ed ambientali, con la scusa della tutela della competizione e degli investimenti, rischierà di soccombere dinanzi alle esigenze delle aziende e dei mercati, tutelate da sentenze inappellabili».





Scarsa trasparenza sull’accordo

Monica Di Sisto
Monica Di Sisto, giornalista e docente di “Modelli di sviluppo economico” alla Pontificia Università Gregoriana, è portavoce della campagna “Stop TTIP Italia”.



Monica Di Sisto, a che punto siamo con i negoziati per il TTIP?

Siamo arrivati a 12 incontri fra le parti, la Commissione Europea per l’Europa e il rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti. Abbiamo testi su circa sei capitoli, proposti da almeno una delle due parti, e un’architettura del trattato.



Quali sono gli argomenti sul tappeto?

Dai dazi e dogane alle misure sanitarie, dalla “cooperazione regolatoria” ai servizi, dalla protezione dei brevetti alla proprietà intellettuale, ai “prodotti”. Insieme allo “sviluppo sostenibile” sono già capitoli “consolidati”, c’è già uno scambio tra le parti. Inoltre l’Europa spinge per un capitolo sull’energia, ma gli USA lo stanno respingendo. Poi ci sono tutta una serie di proposte collaterali. Peccato però che il trattato sia formalmente secretato.



Cioè?

È accessibile soltanto ai negoziatori, e quindi alla Commissione Europea e al ministero USA, e a un numero ridotto di parlamentari dell’UE e di esperti nominati dal Congresso USA. A novembre la commissaria europea Cecilia Malmström ha annunciato l’apertura di una sala di lettura per il TTIP in tutti i ministeri degli Esteri dell’UE, ma alla Farnesina alla fine del 2015 non c’era ancora...



Lo spazio Internet “TTIP” della Commissione di Bruxelles ha la sezione “Dite la vostra”...

La Commissione ha organizzato dialoghi con la società civile, noi ci siamo entrati. Siamo nelle loro mailing list, siamo regolarmente alla ricerca dei testi in circolazione. Però se la società civile non si fosse incaricata di sfidare la segretezza, “a che punto siamo” proprio non lo sapremmo.



Perché ad oggi secondo voi il TTIP dovrebbe essere fermato?

Perché sfugge al controllo democratico dei Parlamenti nazionali. Perché ogni capitolo ha come primo obiettivo quello di ridurre i costi di produzione e gli ostacoli al commercio, cosicché la protezione dei cittadini, dell’ambiente e dei diritti sociali viene sempre dopo i costi di produzione e di erogazione: certe norme possono andare bene, metti caso, per le marmitte...



Beh, almeno su marmitte e ambiente pare che negli USA siano piuttosto severi, Volkswagen docet...

Non solo sulle marmitte, se è per questo. Ma il punto è un altro: il trattato introdurrebbe un Consiglio transnazionale di cooperazione regolatoria nelle cui valutazioni tutto ciò che non è agevolazione del commercio starà un gradino più sotto. Questo non può non farci problema.



C’è dell’altro?

Da un punto di vista strettamente economico, chi ci perde e chi ci guadagna col TTIP? Premierà chi lavora sulle grandi, lunghe “filiere” transnazionali. Prendiamo ad esempio l’agricoltura: la filiera lunga è quella che strozza i produttori, e se fa prezzi più bassi ai consumatori abbassa anche la qualità. Ma soprattutto, che cosa ne sarà di tutto quello che non è filiera lunga? Sembra che gli USA potranno guadagnare un 120% di esportazioni in più verso l’Europa, e noi invece solo il 60% in più. Questo è preoccupante: in Europa diminuirebbero gli scambi interni, e questo toglierebbe spazio alle piccole e medie imprese che hanno come massimo raggio quello europeo, appunto, e che sono la grande maggioranza delle attività.



C’è poi la questione del cosiddetto ISDS, il “sistema giudiziario” per la “protezione degli investimenti”, poi diventato ICS (Investment Court System) nelle proposte dell’UE...

È l’arbitrato sovrannazionale per gli investimenti europei negli USA e quelli statunitensi da noi, rispetto alle decisioni degli Stati che potrebbero danneggiarli. Meccanismi di questo genere non sono una novità, ma sono un pericoloso bypass per gli interessi di pochi rispetto ai diritti di tutti. Ad esempio, anche nel caso di interessi superiori come la salute delle persone, un singolo investitore, una singola società, potrebbe citare in giudizio uno Stato e vederlo condannato. Sì, l’UE ha presentato di recente una proposta riformata, ma il meccanismo rimane quello.



C’è chi fa notare che le clausole del TTIP non potrebbero mai avere la meglio sui regolamenti dell’UE...

Le imprese potrebbero chiedere comunque i “danni commerciali”: puoi tenerti la tua normativa ma devi pagare. All’UE è già successo, in sede di WTO, per la disputa sulla carne agli ormoni contro USA e Canada...














Ci vuole cautela:

il trattato non c’è ancora

Mario Deaglio
DN ha raggiunto a Torino Mario Deaglio, già professore ordinario di Economia internazionale all’università subalpina ed editorialista de La Stampa.



Professore, ci converrà sottoscrivere il TTIP, alla fine del suo iter?

È una domanda a cui per ora è impossibile rispondere, bisognerà vedere che cosa uscirà proprio da questo iter. Il TTIP è stato proposto in termini generali ed è partita una lunga, incerta trattativa, perché ci sono punti di contrasto sugli elementi chiave. Così, per adesso, a parte il quadro generale non “ci siamo” ancora. Sicuramente la proposta “politica”, più che economica, è da guardare con interesse.



Cioè?

Ne parlo con lei in settimane di sconvolgimenti di borsa, in un quadro perturbato di economia globale: una grande area di scambi che sia meno soggetta a perturbazioni merita di essere presa in considerazione.



Contro i negoziati, lo saprà, si è mobilitata in Europa una federazione di campagne di società civile, secondo le quali il TTIP, se messo a punto e ratificato, allargherà lo strapotere delle società transnazionali a scapito della qualità dei prodotti, delle produzioni locali, dei servizi pubblici, della nostra salute e dell’ambiente.

Questo dipenderà solo da ciò che andremo, appunto, a ratificare. Non esiste ancora nemmeno un testo di trattato. È giusto additare i possibili pericoli, ma non concludere che siano automatici. In Europa si teme tra l’altro la concorrenza americana, però anche negli USA c’è qualcuno che teme la concorrenza europea, in particolare di quella italiana.

Se il TTIP regolerà l’esportazione dei prodotti tipici in maniera favorevole agli esportatori, questo non potrà che giovare ai marchi nostrani, cosa che tra l’altro è già stata ottenuta dall’UE con il Canada nell’ambito del CETA (l’Accordo economico e commerciale globale negoziato di recente con il Canada, ndr). Per l’Italia probabilmente i vantaggi saranno superiori agli svantaggi.



Ad esempio?

Potremmo difendere il nostro olio d’oliva e il parmigiano (negli USA oggi si può vendere un formaggio qualunque con l’etichetta parmesan) e, anche a livello europeo, la moda, forse l’artigianato.



Vada per l’export. Però le campagne di opposizione lanciano l’allarme su quello che potrebbe arrivare da noi, inondazioni di cibi OGM, carne agli ormoni...

Sicuramente è uno dei punti chiave. Ma c’è in Europa, anche a livello di funzionari e di direzioni generali, un forte orientamento secondo il quale nessun trattato internazionale potrà mai modificare una regolamentazione interna. Al momento questo è un importante punto fermo. Ma ripeto, fino a che non ci sarà un testo di trattato possiamo solo indicare delle aree “sensibili”.



I servizi pubblici in mano privata e... multinazionale: che ne pensa?

Sinceramente mi domando se siano sempre un male, tra l’altro quando vedo che il nostro Parlamento ha approvato la semplificazione degli enti pubblici individuando proprio nelle aziende che forniscono servizi pubblici una della maggiori cause di sprechi...



Lei stesso però nel 2015 ha ricordato il tema scottante delle future controversie fra Stati e imprese: il loro arbitrato, secondo il TTIP, potrebbe essere affidato a “tribunali privati”, a scapito delle sovranità nazionali e della normativa UE. All’epoca lei scriveva che su questa proposta americana le posizioni sembravano flessibili, non si era al “muro contro muro”. È ancora così?

A quanto mi consta, sì. Anche se queste trattative (ed è probabilmente un errore) sono state condotte in una grande riservatezza...



Che certo non tranquillizza gli spiriti.

Sì, anche se in parte ne capisco i motivi: se il dettaglio delle trattative, ancora ipotetiche, fosse divulgato, si rischierebbe di mettere le organizzazioni del settore in stato di agitazione permanente, interferendo col mercato con progetti che potrebbero non avverarsi. Così si è deciso che i negoziatori bisogna “lasciarli lavorare”. Ma il fatto che lavorino così a lungo significa che non sono molto d’accordo...

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