Dal nostro corrispondente Marco Varvello

di Sagida Syed Incontro con Marco Varvello “Dal nostro  corrispondente...” Lo sentiamo dire alla tv a ogni tg. Siamo andati a parlar...

di Sagida Syed


Incontro con Marco Varvello

“Dal nostro corrispondente...”

Lo sentiamo dire alla tv a ogni tg. Siamo andati a parlare con uno dei migliori, per farci raccontare il fascino e le difficoltà di fare il giornalista all’estero.


  Ad ogni periodo storico corrispondono determinati modelli da imitare. Se con il nuovo millennio i ragazzi italiani puntavano a fare i tronisti e le ragazze le veline (le generalizzazioni sono odiose ma rendono l’idea), nel secondo decennio i modelli sono nuovamente cambiati.
Durante le grandi trasformazioni epocali come la nostra, talvolta nascono nuove professioni, spesso ne tornano altre alla ribalta. Poi, ci sono quei mestieri come il giornalismo che non tramontano mai: una vera passione che ha un significato ben oltre lo stipendio mensile. Chiediamo dunque a un professionista del calibro di Marco Varvello di parlarcene partendo dalla sua esperienza personale.


                     In giro per il mondo                              

Nato a Vigevano, già da ragazzino sogna di lavorare in questo settore: «Ho cominciato molto presto – esordisce dagli studi della Rai di Londra dov’è ritornato da poco nel ruolo di corrispondente – e già all’ultimo anno del Liceo scrivevo sul settimanale locale della mia città. Poi mi sono trasferito a Milano per studiare Filosofia all’Università. Dopo un periodo di prova estivo, a 23 anni ero praticante alla Notte, giornale lombardo del pomeriggio. Poco dopo mi sono laureato con una tesi sul giornalismo popolare sullo stile dei tabloid inglesi e tedeschi. Forse c’era già molto del mio destino futuro anche in quella scelta!».
Varvello, infatti, è stato corrispondente a New York, a Berlino e a Londra. Quest’ultima, in particolare, è una città cui è molto affezionato avendoci lavorato dal 1997 (ha iniziato nel periodo della scomparsa della principessa Diana, a fine agosto di quell’anno, che lo ha catapultato nel mondo dei corrispondenti più apprezzati e richiesti) fino al 2005, per poi tornarci quest’anno.
Il giornalista corrispondente ha un ruolo particolare perché spesso, per far comprendere la notizia, deve veicolare la cultura e la mentalità di un Paese straniero. Varvello conferma: «In un mondo sempre più internazionale, il corrispondente dovrebbe essere l’antenna per chi in Italia vive le conseguenze della globalizzazione offrendo strumenti di analisi e comprensione: dall’estero, si osservano meglio tendenze e dinamiche di quei fenomeni che valicano i confini politici».
Naturalmente anche lui ha dovuto fare la gavetta. Tornando agli anni milanesi, la svolta arriva quando entra a far parte della redazione de Il Giornale di Indro Montanelli, un punto di riferimento per i giornalisti di ieri come di oggi. «Ero uno junior, uno dei redattori più giovani – ricorda – e i rapporti con il grande Direttore si esaurivano al buongiorno/buonasera quando lo incontravo nei corridoi o in ascensore. Montanelli mi ha lasciato soprattutto l’orgoglio di aver fatto parte di una testata prestigiosa ed autorevole, peraltro del tutto legata alla sua direzione».
Tra gli altri maestri di Varvello va menzionato Enzo Biagi con il quale collaborò entrando in Rai: «Con lui ho avuto un rapporto più diretto e quotidiano – continua – , lavorando per tre anni alla trasmissione Il Fatto, su RaiUno. Mi ha dato amicizia, stima professionale e, di nuovo, un grande orgoglio di svolgere una professione importante, con un ruolo che non deve – o per lo meno non dovrebbe – essere subalterno ma alternativo al potere, sia politico che economico».
Il passaggio dalla carta stampata al video è una svolta del tutto casuale e Marco si rende subito conto che è per lui il modo più congegnale per esprimersi. «Ebbi un’offerta dalla Rai di Milano. Mi lasciai convincere, anche se allora (era il 1987) il giornalismo televisivo non era ancora “esploso” come avvenne poco dopo con la nascita di TG5 e l’inizio della concorrenza dei canali privati. Alla fine si è rivelata una scelta fortunata!». Infatti, qualche anno dopo, gli si apre la porta per le sedi Rai all’estero. Non ci pensa un attimo e parte.
La capitale britannica è un polo culturale ed economico di enorme importanza e gli uffici RAI sono quasi sempre in subbuglio, specie al mattino: «A Londra – osserva il giornalista – la giornata comincia molto presto a causa della differenza di un’ora nel fuso orario con l’Italia. Entro le 9 italiane, quindi le 8 di Londra, devo inviare le proposte di servizio per il giorno ed entro quell’orario ho già dato un’occhiata ai giornali, ai siti ed alle agenzie inglesi per informarmi sulle notizie della giornata. Fino all’ora di pranzo il lavoro è frenetico e se si deve montare un servizio per i TG della fascia di mezzo occorre essere veloci.
Per la sera si ha più tempo di riflettere e costruire la storia. In compenso l’ora di differenza si recupera al pomeriggio finendo di lavorare abbastanza presto. Mia moglie è cantante jazz e la sera, quindi, è dedicata spesso ai suoi concerti o quelli di amici musicisti».

           Alla ricerca di storie vere              
I tempi legati al giornalismo televisivo sono molto rapidi e tra le doti principali di un giornalista c’è senz'altro la resistenza fisica e la grande costanza nell'inseguire notizie, le persone da intervistare e le inchieste da completare. Le notizie, inoltre, sono ovunque intorno a noi e, come spesso accade, provengono dalle persone comuni che offrono storie vere, non cercano necessariamente notorietà e non fanno notizia per secondi fini (ad esempio per motivi pubblicitari).
Ecco dunque che spesso Marco Varvello propone da Londra reportage su fatti, costumi e tradizioni di questo popolo che considera il continente staccato da sé e non il contrario, sulla sua politica da sempre indipendente da Bruxelles e sulla finanza che controlla il danaro di mezzo mondo. Il suo è un giornalismo ironico, pacato, una garanzia non solo per la sua azienda quanto per il pubblico che lo segue affettuosamente da anni e verso il quale Varvello ha un grande rispetto.
Per uscire dalla tirannia dei servizi televisivi si è buttato con successo alla stesura di un libro (Dimentica le Mille e una notte, Rizzoli) basandosi sulla triste realtà dei matrimoni forzati nella comunità islamica in Inghilterra. «Nella narrazione – aggiunge – a differenza dei servizi televisivi, si è più liberi di unire elementi di fantasia e storie vere per creare un effetto più profondo e drammatico».
Marco Varvello si è dedicato al suo mestiere sacrificando probabilmente gli agi di una vita magari più sedentaria ma, visto il suo carattere, senz’altro più monotona e, grazie anche ad un pizzico di fortuna, il suo talento ha potuto emergere. Non tutti i giornalisti riescono a sfondare ma chiunque, se munito di una buona penna, di capacità di osservazione e soprattutto se in grado di utilizzare i canali di diffusione delle notizie (per esempio su Internet), ha la possibilità di rivolgersi ad un vasto pubblico.
Ai giovani, Marco dà un consiglio: cominciare a collaborare al più presto con qualche giornale, radio, tv locale e non mollare mai, avendo come principio la libertà di espressione, che è una delle condizioni dell’essere umano e presupposto per un giornalismo serio e corretto. Se intervistare oggi gli One Direction, domani José Mourinho, dopodomani la Cancelliera Angela Merkel fa per voi, fatevi sotto: il giornalismo del futuro ha bisogno di nuovi talenti. <

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