L'invenzione del calendario
dossier di Fiammetta Orione L'invenzione del calendario “Vi siano luminari nel firmamento del cielo, per distinguere il ...
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dossier
di Fiammetta
Orione
L'invenzione
del calendario
“Vi siano luminari nel firmamento
del cielo,
per distinguere il giorno dalla
notte e siano segni dei tempi,
dei giorni e degli anni”. (Gen
1,14)
DALLE ALPI
ALLE PIRAMIDI
Le storie d’amore hanno il potere di
cambiare la vita delle persone, non solo delle due parti in causa, ma anche di
coloro che le circondano. Quando le storie d’amore coinvolgono persone
particolarmente potenti, persone che potremmo definire “vip”, possono
addirittura modificare il corso degli eventi, della storia.
Il
nostro calendario, quell’oggetto che impariamo molto presto a considerare
indispensabile, nucleo dei diari e delle agende, appeso al muro della classe,
di casa, degli uffici e dei negozi deve molto della sua consistenza proprio ad
una storia d’amore tra due persone molto importanti e potenti, di tanto tempo fa.
Una
sera di ottobre del 48 a.C. nello splendido porto di Alessandria d’Egitto
approdò una piccola imbarcazione, che trasportava un dono per Giulio Cesare, il condottiero più potente del mondo di allora, presente in città per via della sua campagna militare in zona. Il dono
era un magnifico tappeto, arrotolato, che, svolto di fronte all’illustre
romano, rivelò contenere una splendida ragazza, Cleopatra, regina d’Egitto.
Con questo stratagemma l’astuta regina aveva eluso i nemici che insidiavano la
sua vita, e non ottenne semplicemente l’appoggio militare di Cesare per
consolidare il giovane regno traballante, ottenne anche il suo cuore.
Negli anni che seguirono Cleopatra fece conoscere a
Cesare la bellezza e la ricchezza dell’Egitto, culla del sapere antico, e fu
così che Cesare ammirò più
da vicino gli usi e i costumi del luogo. Gli astronomi egizi,
in particolare, gli fecero comprendere che molto si poteva migliorare a Roma in
termini di regolazione dei giorni, dei mesi, degli anni: il calendario. Cesare
aiutò Cleopatra a dominare l’Egitto e
Cleopatra aiutò
Cesare a regolare il tempo, l’unico potere che avrebbe potuto completare il
successo di quest’uomo straordinario.
Il calendario di Roma sarebbe stato il calendario del mondo intero, dalla Britannia alla
Mesopotamia (ovvero tutta l’Europa ed il Medio Oriente), facendo di Cesare il
dominatore indiscusso. Quel calendario, con qualche modifica, sostanzialmente è quello che vediamo appeso al muro
adesso.
Anno lunare o
solare?
Il
tempo è una realtà antica quanto l’universo;
si può dire che il tempo rappresenti il fluire degli immensi movimenti del
cosmo,
movimenti che regolano la vita sulla Terra. Già dalla preistoria,
parliamo di 30.000 anni fa, sembra che l’uomo si fosse accorto che la Luna si spostava nel
cielo e cambiava “consistenza”, in modo regolare, prevedibile: prima buia, poi
parzialmente illuminata, poi piena, poi di nuovo parzialmente illuminata, poi
buia...

L’alternanza
Sole-notte divenne il giorno. L’alternanza di 29 giorni divenne il mese. Il ciclo delle
dodici lunazioni divenne il ciclo dei mesi, l’anno, ed ecco il primo, semplice calendario lunare. La Luna
divenne il primo orologio e tra le prime divinità a cui l’uomo
sentiva di poter fare riferimento, onorandola con riti appropriati a seconda
del suo aspetto celeste.
Purtroppo
la Luna è solo in apparenza un affidabile orologio. Il suo
periodico comparire nel cielo male si accorda con il periodico movimento del
Sole, che ha nei solstizi e negli equinozi i suoi riferimenti costanti. Per gli
uomini preistorici era come se la notte fluisse in un modo, il dì in un altro. La Luna aveva un periodo più breve del Sole.
Nel
periodo che seguì il Paleolitico, nel Neolitico, l’anticipo del giorno “lunare”
rispetto al giorno “solare” era di 11 minuti, ma al tempo dei Greci, circa 7.000 anni dopo, lo
sfasamento era diventato di 11 giorni!
Immaginiamo
che un uomo del Neolitico avesse avuto al polso un orologio lunare ed un suo
amico un orologio solare. L’uomo “lunare” avrebbe avuto l’orologio in anticipo
di 11 minuti rispetto all’uomo “solare”. Immaginiamo due antichi Greci a
confronto nello stesso modo: l’uomo lunare avrebbe avuto l’orologio in anticipo
di 11 giorni rispetto all’uomo solare. Ecco per esempio che il solstizio d’inverno sarebbe stato
previsto accadere 11 giorni prima dell’effettivo momento astronomico, generando
confusione, lo scopo contrario di quanto un calendario si prefigge.
Questo
non vuol dire che il tempo possa scorrere in modo diverso sulla Terra; il
tempo, legato al movimento del cosmo, rimane se stesso, stava e sta all’uomo leggerlo nel modo più vero possibile. Entrambi gli orologi sarebbero
corretti, ed il fluire del tempo doveva essere conteggiato tenendo conto di
entrambi.
Via via
che la civiltà umana progrediva, iniziando a costruire città, ad intessere rapporti commerciali, a rendere più esigente la vita religiosa con le sue feste e i suoi
riti, si rendeva sempre più importante
conciliare l’anno lunare con l’anno solare. Come fare? L’anno lunare è più breve di quello
solare, occorreva quindi aggiungere dei giorni al calendario lunare, la nostra base di partenza.
L’anno prende forma
I Sumeri, valenti astronomi,
arrotondarono il mese lunare da 29 a 30 giorni e considerarono l’anno di 360 giorni, agevolando di
molto le osservazioni astronomiche, di cui erano maestri. Il cielo stesso,
veniva diviso in 360 porzioni. Il 30 ed il 360 erano ottimi numeri, divisibili
per 6, la misteriosa base del sistema di numerazione sumero, il sistema
sessagesimale, tuttora utilizzato nello studio della geometria e nella
misurazione del tempo.
Il
calendario in Mesopotamia era lunisolare, si basava cioè sul movimento dei
due astri principali. Non era fluttuante come il calendario lunare, ma
necessitava di aggiungere giorni qui e là per tenere il passo
con il Sole.
I Sumeri per primi celebrarono il Capodanno, in concomitanza con la presenza nel cielo dell’alba di
una particolare stella, nella costellazione dell’Ariete, a loro sacra che, 4000
anni fa, era visibile ad inizio primavera. Il primo capodanno festivo celebrò dunque l’equinozio di primavera, il primo giorno del mese chiamato
Nisanu (marzo-aprile). A causa di impercettibili moti dell’asse terrestre,
attualmente in marzo si possono osservare le stelle della costellazione dei
Pesci e, tra seicento anni, si potranno osservare le stelle dell’Acquario!
Ai
Sumeri dobbiamo l’invenzione della settimana. La parola “settimana” deriva dalla unione di due
parole latine, “septem” (sette) e “matutinum” (mattino). Tra una fase lunare e
l’altra, per esempio tra la luna oscura, “nuova” e la mezzaluna, trascorrono
sette mattine. Le quattro fasi lunari che chiudono un ciclo di vita della Luna
diventano così quattro settimane.
I
Babilonesi, diretti eredi del sapere sumerico, arricchirono questo modo di
considerare il tempo con l’introduzione delle ore. Per loro l’astrologia, lo studio dei
movimenti degli astri in supposta relazione con il destino dell’uomo, era
fondamentale, imprescindibile. Così divisero le ore di
luce in 12 parti, e le ore di buio in 12 parti, probabilmente perché 12 erano le costellazioni principali cui facevano
riferimento nell’astrologia, i 12 segni dello zodiaco. Il giorno risulta così diviso in 24 ore, e
24 è un ottimo numero sumero-babilonese, multiplo di 6 e
divisore di 360.
È stata la loro smodata passione per le predizioni
astrologiche a fare dei Babilonesi degli insuperabili astronomi. Era per loro
fondamentale osservare meticolosamente, sistematicamente il cielo, le eclissi,
il succedersi delle stelle, i fenomeni del cosmo, per poter ricavare predizioni di
avvenire, di
successo o di sfortuna, da presentare al re.
I
Babilonesi, scoprendo cinque pianeti durante le osservazioni astronomiche, dedicarono ogni
giorno della settimana ad una divinità planetaria, quali
il dio del Sole, della Luna, di Marte, Mercurio, Giove, Venere e Saturno. L’ordine
dei giorni è anche ascrivibile alla cultura mesopotamica. I
Babilonesi ritenevano che ogni ora del giorno fosse dedicata ad una divinità del cielo. Ad esempio il dio Saturno sovrintendeva alla prima ora
del sabato, seguito da Giove, Marte, dal Sole, da Venere, Mercurio e dalla
Luna. L’ottava ora era di nuovo appannaggio di Saturno e così via. Ogni giorno veniva poi dedicato al dio che
sovrintendeva la prima ora, ed ecco perché il sabato era
dedicato a Saturno, la domenica al Sole, il lunedì alla Luna...
Perché questo ordine? Perché così gli antichi astronomi avevano immaginato il sistema solare: Saturno era
considerato il pianeta più lontano dalla
Terra, Giove un po’ più vicino, e via così, fino al vicino
vicino, la Luna. Nella realtà l’ordine di
lontananza è, rispetto alla Terra, di Saturno, Giove, Sole,
Mercurio, Venere, Marte, Luna.
Una
curiosità ulteriore: la divinità babilonese di Saturno
era associata alla stanchezza fisica e psichica. Il suo giorno divenne un
giorno poco favorevole a svolgere qualsivoglia attività, quindi un giorno di riposo. Gli Ebrei, che per lungo tempo furono trattenuti,
quasi assimilati, dai Babilonesi, adottarono molte parti della loro cultura,
tra cui il computo del calendario, e chiamarono questo giorno “Shabbath”,
sabato.
Ricapitoliamo un po’: l’alternanza luce-buio, il giorno,
dai Babilonesi viene
diviso in 24 ore. I Sumeri avevano riconosciuto un ciclo di sette giorni tra
una fase di luna e l’altra come settimana. Quattro settimane costituivano una lunazione, un ciclo completo di
vita della Luna. Le 12 lunazioni costituivano 12 mesi. I 12 mesi costituivano
un anno. L’anno nuovo cominciava in primavera con l’avvistamento all’alba di
una particolare stella della costellazione dell’Ariete. I
Babilonesi detennero per lunghi secoli il migliore calendario adottabile.
La sapienza egizia
Intanto
il tempo scorreva indisturbato, vedendo comparire, intorno al 6.500 a.C., la civiltà egiziana, erede di quei popoli che, in seguito ad un anomalo
riscaldamento terrestre, erano emigrati dal Sahara, ormai desertificato, fino
alle sponde del Nilo.
Al Nilo
gli Egizi dovevano la vita, dal periodico alternarsi di piene e secche dipendeva la loro
sopravvivenza, così il computo del tempo egizio non si basò tanto sulla osservazione della Luna, quanto sull’osservazione
diurna, illuminata dai raggi del Sole, dell’attività del fiume.
Il
calendario lunisolare babilonese rimaneva in uso per le celebrazioni religiose
ma, per regolare la vita quotidiana, gli Egizi, primi nella storia occidentale,
adottarono un calendario solare di 360 giorni. L’antico calendario egizio si
discosta dal nostro, non perfetto, ma di altissima precisione astronomica, di
appena 11 minuti! Fu proprio questo calendario ad ispirare a Giulio Cesare una
riforma del calendario romano, che sarebbe diventato il calendario “giuliano”.
L’annuale
inondazione del Nilo, foriera di grande fertilità, coincide con la
comparsa nel cielo dell’alba, in linea con il Sole nascente, della stella Sirio (della
costellazione del Cane Maggiore), la stella più brillante della
notte. Questo per gli Egizi era il Capodanno, nei pressi del solstizio di
estate. Presto però si accorsero che dopo quattro anni Sirio sorgeva il
secondo giorno dell’anno, e dopo quattro anni il terzo giorno dell’anno.

Nonostante
questo aggiustamento, nel corso degli anni gli Egizi si accorsero che la levata
di Sirio slittava ancora rispetto ai giorni previsti, all’anno solare mancavano
ancora circa
6 ore. Per
antipatia politica verso la dinastia regnante che raccomandava di compensare il
calendario, i sacerdoti astronomi egizi comunque mantennero l’anno di 365
giorni fino all’arrivo di Ottaviano Augusto in Egitto, secoli dopo.
IL CALCOLO
ROMANO
Il
Paese che si presentò agli occhi di Giulio Cesare aveva una vivacità intellettuale straordinaria ed Alessandria era il centro di cultura
per eccellenza del mondo mediterraneo ed occidentale. Sapienti astronomi erano
riusciti ad osservare e spiegare fenomeni celesti importanti quali i movimenti
della Terra rispetto al Sole e non viceversa come può sembrare.
Cleopatra
introdusse al cospetto dell’ammirato condottiero le migliori teste pensanti e
sembra che proprio conversando con una di queste, Sosìgene, consigliere della regina ed astronomo, Giulio
Cesare intuì quanto il calendario in uso a Roma dovesse essere
modificato e cosa comportasse in termini di
immagine di se stesso. Giulio Cesare stava assumendo una nuova autorità per il mondo romano, stava
rendendo i domini di Roma un impero, stava diventando un imperatore. Gli
sembrava molto consono rivendicare il potere di dare un nuovo ordine al tempo.
Il
calendario romano era lunare, di 10 mesi. Perché 10 mesi?
Probabilmente perché il 10 era un numero importante per il conteggio,
essendo dieci le dita. Come ai Sumeri era prezioso il 6, per i Romani era
prezioso il 10. Venivano aggiunti giorni qui e là per mantenerlo
allineato ai rispettivi movimenti del Sole.
L’aggiunta
dei giorni veniva decisa arbitrariamente dai sacerdoti che, per esempio, allungavano un
mese per
mantenere in carica consoli graditi e viceversa, o sfruttare i canoni di
affitto, costringendo a pagare più giorni in
determinati periodi. Immaginatevi la confusione!
Secondo
la leggenda, l’ideatore del calendario romano fu proprio Romolo, il mitico
fondatore della città, nel 753 a.C.
Mesi in più
Ogni
mese non veniva diviso in settimane, appannaggio del mondo mesopotamico prima
ed israelita dopo, ma veniva considerato rispetto a tre giorni fondamentali: le
Calende (parola da cui trae
origine il “calend-ario”), primo giorno del mese, le None, quinto o settimo
giorno del mese, le Idi, il giorno a metà del mese. Così, ad esempio, le Calende di Marzo corrispondevano all’odierno
1 marzo, le None di Marzo corrispondevano al 7 marzo, le Idi di Marzo
corrispondevano al 15 marzo. Tutti gli altri giorni erano conteggiati rispetto
a questi tre. Per esempio il 10 marzo era chiamato “sesto (giorno) prima delle
Idi”. Era un modo molto complicato di contare i giorni, vero?
I
Romani antichi si accorsero presto che il calendario lunare era troppo breve
rispetto a quello solare, così la leggenda
tramanda che il re successore di Romolo, Numa Pompilio, mise mano al calendario
aggiungendo due mesi dopo dicembre:
Januarius e Februarius. Il calendario romano divenne di 354 giorni e, poiché i Romani consideravano di grande sfortuna i numeri
pari, venne aggiunto un giorno in più, per arrivare a 355
giorni.
Il
calendario romano veniva conteggiato con motivazioni astronomiche quasi
marginali. Era più un potente strumento di governo attraverso cui
controllare quando celebrare le festività religiose, fulcro
della vita quotidiana, quando poter lavorare (i giorni “fasti”) e quando no (i
giorni “nefasti”, antesignani dei nostri festivi). Il calendario era tenuto segreto, comunicato alla
popolazione di volta in volta attraverso riunioni pubbliche periodiche, il
primo giorno del mese, alle Calende, appunto, la cui etimologia vuol proprio
dire “giorno in cui bisogna chiamarsi a raccolta, riunirsi”.
L’adozione della
settimana
Giulio
Cesare, adottando lo stile egizio, modificò nel 45 a. C. questo
calendario rendendo l’anno lungo 365 giorni ed un quarto. Questo voleva dire
adottare tre anni di 365 giorni ed uno di 366, come facciamo ancora oggi. Come
primo mese dell’anno venne eletto gennaio ed il giorno in più venne attribuito a
febbraio. Il mese Quintilis venne chiamato “Julius” (luglio), in suo proprio
onore, essendo il mese del suo compleanno. La lunghezza in giorni dei mesi
venne modificata in modo quasi uguale a come risulta oggi. Giulio Cesare portò una rivoluzione senza pari nel mondo romano, non solo
con il calendario, ed i rivoluzionari non sempre sono accolti con favore.
Ottaviano Augusto, il nipote adottivo che con determinazione vendicò l’assassinio del condottiero, ne divenne erede e anche
lui mise mano al calendario ormai diventato “giuliano”. Egli introdusse l’uso della
settimana.
Infatti in precedenza c’era un ciclo di otto giorni chiamato ciclo nundiniale,
cadenzato dai giorni di mercato. Cambiò il nome del mese
Sextilis in “Augustus” (agosto), in proprio onore, essendo stato il mese in cui
ottenne più vittorie nelle battaglie che seguirono la fine di Giulio
Cesare, e rese Augustus di 31 giorni, perché non fosse inferiore
a Julius. Era decisamente scomodo essere il successore di Giulio Cesare, ed
Ottaviano ebbe molta cura di non essere considerato da meno.
Costantino, il 3 novembre 383, rinominò il dies solis (giorno del sole) in dies dominica (giorno del
Signore), effettuando un compromesso tra mondo pagano e mondo cristiano.
Infatti, mentre agli altri giorni restavano i nomi degli dei pagani, la
domenica e il sabato si ricollegavano all’ambiente giudeo-cristiano.
L’adozione
della settimana piuttosto del ciclo nundiniale e del complicato sistema di
calende, none ed idi prese piede lentamente nel mondo romano: pensate che arrivò in Britannia dopo quattrocento anni, quando l’isola era in preda
alle invasioni degli Angli e dei Sassoni. Gli invasori, affascinati dalla
cultura romana ancora presente, ne adottarono molti usi, anche in termini di
calendario, ma li adattarono, modificando i giorni della settimana secondo le
divinità corrispondenti (vedi box).
La grande
potenza di Roma impose i suoi usi e la sua cultura in tutta l’Europa e buona
parte dei territori balcanici e nel bacino mediterraneo; il declino cui andò incontro non riuscì per fortuna a
trascinare via ciò che era stato trasmesso.
Nel IV
secolo d.C. l’imperatore Costantino fece della Chiesa cristiana l’autorità anche politicamente adatta a regolare la vita sociale.
In materia di calendario stabilì che il giorno
dedicato al Sole diventasse il giorno dedicato al Signore, il “dies dominicus”,
la Domenica, e che fosse festivo. Impose con più energia l’adozione
della settimana e della divisione del giorno in 24 ore, consuetudine
mediorientale, come abbiamo già detto.
Non era
semplice organizzare il giorno sulle 24 ore in assenza di orologi. Si dovrà attendere l’invenzione dei primi orologi meccanici da parte dei monaci
benedettini medioevali, molto preoccupati di attenersi con scrupolo ai momenti
canonici, ai momenti di preghiera che ancora oggi ne scandiscono in modo
esemplare la giornata.
Costantino
stabilì che il 25 dicembre, giorno fulcro delle festività romane dei Saturnalia, divenisse il giorno fondamentale
della festa cristiana, il “dies natalis”, il Natale. Stabilì anche il giorno di Pasqua, allora? Purtroppo questo non
era possibile, e costituì lo stimolo per
giungere al perfezionamento del calendario di cui oggi possiamo disporre.
Vediamo perché.
IL PROBLEMA
DELLA PASQUA

I
Vangeli sinottici (quelli redatti da San Matteo, San Marco e San Luca) indicano
che il sepolcro era stato trovato vuoto il primo giorno della settimana dopo le festività pasquali ebraiche e fanno celebrare l’ultima cena di
Gesù in concomitanza
con la Pasqua Ebraica a ricordo dell’uscita dall’Egitto. San Giovanni, l’autore
del quarto Vangelo, invece, racconta della morte di Gesù in concomitanza dell’immolazione degli agnelli
(precedente di alcuni giorni alla celebrazione pasquale), accennando comunque
al mese di Nisan ebraico-mesopotamico (corrispondente al periodo attuale tra
metà marzo e metà aprile).
Resurrezione di Gesù,
cioè il passaggio dalla morte alla
vita, e Pasqua ebraica, cioè
l’uscita dall’Egitto e il passaggio del Mar Rosso, erano comunque strettamente
collegate. Ma la Pasqua ebraica era (ed è
tuttora) celebrata in conformità
con un calendario lunare, estremamente diverso rispetto al
moto del Sole e destinata a variare di anno in anno anche di quaranta giorni.
Oltretutto,
e qui c’è la grande difficoltà a risalire al
giorno esatto in cui avvenne la Resurrezione, la data della Pasqua ebraica
risentiva dell’arbitrarietà dei sacerdoti. Tra i riti prescritti per la Pasqua gli Israeliti
dovevano offrire le primizie del raccolto, ma sappiamo bene che di anno in anno
le colture possono essere in anticipo o in ritardo. Nei primi giorni del mese
di Nisan, i sacerdoti ebrei effettuavano le ricognizioni nei campi per verificare
lo stato di
maturazione dei raccolti. Se non c'erano ancora le primizie da offrire per il
periodo stabilito, i sacerdoti potevano posticipare le festività pasquali, in modo che ogni rito fosse rispettato. Di
queste decisioni non veniva tenuta traccia, per cui immaginatevi quanto sia
difficile determinare gli eventi storici in concomitanza con le feste pasquali
così stabilite.
Gli
studiosi cristiani, desiderosi di celebrare come si conviene la Resurrezione di
Gesù senza dipendere dall’arbitrarietà dei sacerdoti ebrei, con i quali aumentavano sempre di
più i contrasti, si concentrarono su come determinare al
meglio il
giorno dell’equinozio di primavera e di conseguenza il giorno di Pasqua.
Fu il Concilio di Nicea, del 325 d. C. a
stabilire definitivamente due principi generali. Anzitutto, la Pasqua, sempre
di domenica, doveva cadere in un mese lunare stabilito dai cristiani, un “Nisan”
cristiano non necessariamente coincidente col Nisan ebraico e scelto in modo
che la Pasqua non capitasse mai prima dell’equinozio. Ciò garantiva che due pasque non sarebbero mai cadute in
uno stesso anno solare. In secondo luogo, che tutti i cristiani avrebbero
dovuto celebrare la Pasqua in uno stesso giorno. Ciò implicava anche che la data non doveva dipendere da
aleatorie osservazioni astronomiche (la prima falce della luna nuova), ma
doveva essere stabilita secondo un criterio calendariale predeterminato.
I criteri precisi per il calcolo della data non furono
precisati e trascorse parecchio tempo, due secoli esatti e numerose
controversie, prima che Dionigi il Piccolo
ricevesse dal cancelliere di Papa Giovanni I l’incarico di elaborare un metodo
matematico per prevedere la data della Pasqua in base alla regola adottata dal
Concilio di Nicea.
La struttura
definitiva
Comunque,
la questione del calendario, ormai considerato dal punto di vista liturgico
come riferimento per celebrare le feste della Chiesa, rimase grossomodo in
sospeso, a causa dei problemi legati alle invasioni e alle guerre diffuse, che
afflissero grandemente anche gli scambi tra un Paese e l’altro e quindi il
progredire della cultura europea. Solo quando la situazione europea sembrò assestarsi, e ricominciarono i commerci e gli scambi,
si poté ripensare in modo organico a rimediare alle
imprecisioni sul computo
del tempo per la corretta determinazione della lunghezza dell’anno la
corrispondenza degli equinozi e dei solstizi.
Nel
calendario Giuliano, quello introdotto da Giulio Cesare, l’anno durava 11
minuti e 14 secondi di più dell’anno
astronomico. Per questo motivo, l’equinozio solare, nell’anno 325 cadeva il 21
marzo e alla fine del XVI secolo cadeva 10 giorni prima (11 marzo).
Per
tentare di risolvere questo problema, papa Gregorio XIII, il grande riformatore del Cinquecento, riuscì a raccogliere i migliori contributi, tra cui quello di Niccolò Copernico. Gregorio XIII riuscì a dare un senso
compiuto alla mole di calcoli fatti, conferendo al calendario l’aspetto che
oggi conosciamo. Da lui prese il nome di calendario Gregoriano, promulgato nel
1582. In questo modo venne aggiornata la data, con uno spostamento in avanti di
10 giorni e l’equinozio di primavera tornò ad essere
festeggiato il 21 marzo.
Questo
creò però un problema
inaccettabile all’interno
della chiesa ortodossa. I sapienti ortodossi temendo che le correzioni al
calendario potessero alterare il messaggio dei padri della Chiesa, mal si
adattavano a riconoscere alla Chiesa di Roma l’autorità di modificare il computo del tempo. Nel calendario
Gregoriano, infatti, la Pasqua può cadere tanto prima,
quanto dopo quella ebraica, mentre i canoni della Chiesa ortodossa stabilivano
che la Pasqua cristiana cadesse sempre dopo la Pasqua ebraica: nei testi sacri
infatti si dice che il Signore è risorto la prima
Domenica dopo la Pasqua ebraica.
Fu uno
studioso calabrese poco noto a conciliare i calcoli con le date. Si chiamava Luigi Lilio e risolse
brillantemente il problema di quanto fosse effettivamente lungo l’anno e
derivare le altre date importanti. Ebbe la sfortuna di morire appena arrivato a
Roma, munito di tutti i suoi calcoli e documenti, per partecipare alla
commissione di studiosi appositamente convocata dal papa. Il suo contributo fu
comunque prezioso.
Una lenta
affermazione
La
strada del calendario dopo il 1582 fu ancora accidentata, a causa della
difficoltà dei vari Regni ad uniformarsi alle direttive che
arrivavano da Roma. Il primo Regno al mondo che adottò il “nostro” calendario fu il Regno di Savoia alla fine del
Cinquecento, mentre l’ultimo Paese ad adottarlo è stato la Cina nel 1949. Le chiese
ortodosse di Oriente, i Musulmani, gli Ebrei, i Buddisti non lo hanno mai
adottato.
