Ladro e gentiluomo
Cento anni fa, veniva ritrovata la Gioconda , trafugata due anni prima da un imbianchino che l’aveva infilata sotto la giacca. Tra furti c...
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Cento anni fa, veniva ritrovata
È il 21 agosto
1911 e a Parigi sono le 9 del mattino. I guardiani, come ogni giorno, stanno
aprendo le porte di uno dei più importanti musei del mondo, il Louvre. Ma sulle
scale di servizio ecco una cornice strappata e una teca di vetro in frantumi;
sono della Monna Lisa. La Gioconda
è sparita.
A mettere a segno il colpo, un imbianchino italiano emigrato in Francia, all’anagrafe Vincenzo Peruggia, ormai per tutti una specie di Arsenio Lupin capace di sfuggire facilmente alle forze dell’ordine. In realtà le cose erano filate via lisce: Peruggia, entrato alle 7 di mattino nel museo da una porta secondaria, aveva staccato il quadro, lo aveva infagottato e messo sotto la giacca, appena prima di uscire dallo scalone principale con passo insospettabile.
Furti
d’autore
Ormai sono passati cent’anni
dal sacco della prestigiosa pittura, ma da allora i furti d’autore sono
solamente aumentati. Pensate che nel 2012 in Italia ne sono stati accertati 1026,
praticamente tre al giorno. Una perdita che ci costerebbe quasi un punto
percentuale del Pil, ma che forse non fa così male alle opere in sé. Già,
perché i furti, accendendo i riflettori sui capolavori, ne accrescono la
celebrità. Pare che la Gioconda
acquistò l’attuale popolarità e divenne un’icona proprio a partire dall’impresa
di Peruggia. Negli anni la sua immagine è stata usata anche per caricature –
come quella di Marchel Duchamp che le mise irriverentemente i baffi – e
pubblicità di forcine per capelli, calze di nylon e persino acque purgative, il
cui motto era «sicuramente, velocemente e – appunto - giocondamente». Qualcosa
di simile è capitato all’Urlo di Munch, a lungo ricercato dopo ben due furti
dalla National Gallery di Oslo. Il primo del 1994 non manca d’ironia, visto che
i ladri, che avevano pure fatto suonare l’allarme, trovarono il tempo di
scrivere un biglietto alle guardie che li avevano sottovalutati. Anche la Whitworth Gallery
di Manchester, per la mancanza di controlli, ha perso per qualche giorno
capolavori di Gauguin, Van Gogh e Picasso. Le tele vennero ritrovate dietro una
toilette pubblica con un foglietto che invitava a potenziare la sicurezza del
museo.


Finora però i migliori ladri
“artistici” d’Europa sono i tre che nel 2008 a Zurigo hanno fatto
sparire in tre minuti e mezzo quattro tele da 112 milioni di euro, di cui si
sono perse le tracce. Esattamente come dell’enorme quantità di beni (circa un
milione di pezzi) trafugati in Italia durante la seconda guerra mondiale. Grazie
all’azione dei carabinieri qualcosa è stato recuperato, ma per molte opere la
storia è chiusa: ad esempio quelle finite nei musei russi sono state recentemente
nazionalizzate, chiudendo di fatto la porta all’eventuale restituzione.
Copioni
Ma svaligiare musei di
nascosto o a mano armata non è l’unico modo di “fregare” opere d’arte. Da sempre infatti c’è chi copia il soggetto e
lo stile di un artista famoso per ingannare il mercato e fare bei soldoni col
nome preso in prestito. In verità però le ragioni di un falsario possono essere
anche altre. Ad esempio, ci sono state epoche in cui l’imitazione dell’antico
era un vero e proprio esercizio: capita quindi che disegni riusciti
particolarmente bene siano oggi scambiati per autentici. Oppure c’è chi copia
per passione; virtuosi che riproducono disegni, sculture e (pare sia l’ultima
tendenza) nature morte, generando il caos tra i critici. Per scoprirli hanno
inventato mille diavolerie, come gli esami chimici o radiografici alle tele.
Esiste persino un manuale del collezionista d’arte che insegna a datare un
quadro a partire dalla grandezza dei granelli dei pigmenti di colore. Il
migliore strumento però resta l’occhio del conoscitore, sempre pronto cogliere
qualche discrepanza fatale. Anche se smascherati, i falsari rivendicano con
orgoglio un’abilità che ha saputo mettere in crisi fior di professori. Come il
parmense Gildo Pedrazzoni che nel secolo scorso, con una stele rigorosamente
imitata, ingannò tutti per anni. Guai dunque a chiamarli copioni, ci sono falsi
talmente belli che sono addirittura meglio degli originali.
E non è un caso che il
mercato dei falsi si stia espandendo a macchia d’olio. Qualcuno ha pensato
anche ad una mostra a Parigi interamente dedicata a loro. L’idea di esporre
falsi e farci pure un museo non è nuova per Livorno, città natale di Amedeo
Modigliani, ritrattista mai apprezzato in vita dai suoi compatrioti ed emigrato
presto in Francia. Per il paese toscano, mettere sotto teca presunte teste
scolpite da Modì (questo il soprannome del giovane artista) significa
raccontare la burla più grande del secolo.
Infatti nel 1984, in occasione del
centenario della nascita, il Comune decide di cercare la statua che – secondo
la tradizione tramandata di padre in figlio – Modigliani arrabbiato avrebbe
gettato nei canali. Effettivamente tre teste vengono ripescate, peccato che
siano tutte clamorosi falsi. Due di queste sono opera di un pittore locale, la
terza invece di quattro ragazzotti livornesi che avevano scolpito e buttato nel
canale una testa per scherzo, per vedere se qualche anziano lì per lì ci
sarebbe cascato. Il paradosso fu che abboccarono pezzi da novanta della critica
artistica e quando i giovani falsari, un mese dopo, rivendicarono l’opera, nessuno voleva crederci. Ci vollero riprese e
foto della realizzazione della testa di pietra per convincere la cultura
ufficiale che aveva preso un’enorme cantonata.
Vero
o falso?
Insomma, vero o falso? Anche
oggi la questione è aperta per moltissimi gioiellini. Ad esempio Peter
Silverman, estimatore e collezionista, sostiene tenacemente – contro
altrettanto autorevoli esperti - l’autenticità leonardesca della sua “bella
principessa”, una donna di profilo che potrebbe essere Bianca, la figlia di
Ludovico il Moro, duca di Milano a fine XV secolo. In piena crisi d’identità
anche “Il Colosso” esposto fino a ieri al Prado di Madrid con la targhetta
«Francisco Goya» e da un anno declassato – a fronte di studi ancora da
verificare – a un discepolo del maestro. Qualcuno legge in basso a sinistra le
iniziali del presunto vero autore, un certo Asensio Julià. Roba impensabile per
altri, che non riconoscono affatto la sua scrittura. In attesa del verdetto
definitivo, centomila capolavori veri e falsi si mescolano a Ginevra in un
bunker sotterraneo ad alta sicurezza. Ma tenerli sotto chiave basterà a proteggerli
da tutti gli imbrogli?
I.B.