Com'è nata la matematica


DOSSIER
di Fiammetta Orione

Com’è nata la matematica

Viaggio indietro nel tempo, alla scoperta di come si sono formati i numeri. Un percorso curioso e affascinante tra diverse civiltà e uomini geniali.

Tema in classe sulle vacanze appena trascorse: “A passeggio sulla spiaggia possiamo trovare splendide conchiglie, tante (quante?) così e grandi cosà (grandi quanto?), e possiamo trovare dei sassolini, rotondi e lisci, o appuntiti, con cui scrivere sulla sabbia”. Per descrivere meglio la nostra giornata al mare, possiamo essere più precisi, facendo capire meglio a chi ci legge, o ascolta, cosa abbiamo visto, avvalendoci nientemeno che del linguaggio dei numeri.
Possibile? I numeri? Proprio così: la descrizione delle differenze di quantità, dimensioni, forma di ciò che sta intorno a noi, scopo per cui si utilizzano i numeri, si chiama “matematica”, ed è un linguaggio, con la sua grammatica, come l’italiano, l’arabo... La particolarità affascinante della matematica è quella di essere un linguaggio universale. Ogni uomo, di ogni tempo e di ogni cultura, conta.
Osservando misteriose serie di incisioni a bastoncino sulle antiche selci levigate (frammenti di roccia molto diffusa in natura), osservando i meccanismi di apprendimento della matematica nei bimbi e studiando le culture dei popoli primitivi, presenti ancora oggi in piccoli gruppi nelle località più remote della Terra, gli antropologi, studiosi della civiltà umana in generale, ritengono che l’uomo già dalla Preistoria abbia sentito la necessità di contare, ovvero di pensare e comunicare in termini di numeri. Quante volte il Sole sorgerà prima che il mio papà torni dalla stagione di caccia? Quanto alta dovrà essere la mia capanna per resistere alla piena del fiume?

I primi calcoli
Le prime testimonianze di calcoli rudimentali risalgono a circa 30.000 anni fa. I numeri entrano a far parte della cultura umana prima dell’utilizzo dei metalli o della ruota e prima dello sviluppo della scrittura, che sembrano comparire sulla scena umana intorno al 4.000 a.C.
L’uomo primitivo cominciò probabilmente a considerare la differenza tra uno, due e molti, e quindi a contare con le dita delle mani, prendendo dimestichezza con il sistema decimale, e dei piedi, dando origine al sistema vigesimale. Il sistema vigesimale era in uso per esempio presso le popolazioni celtiche dell’Europa centro occidentale ed è ancora riconoscibile nel nome di alcuni numeri francesi (per esempio il numero “ottanta” in francese si può dire quatre-vingts, ovvero “quattro volte venti”).
Quando le quantità da considerare divennero ben maggiori di quelle del quotidiano, il nostro uomo preistorico prese ad utilizzare sassolini o segni su muri, su pietre, componendo le prime tavole di tabelline. Le tabelline con cui l’uomo ha avuto a che fare già dalla Preistoria sembra siano state quella del 2, del 5 e del 10, che, guarda caso, sono quelle che ancora oggi impariamo più facilmente.

L’aritmetica degli Egizi
La civiltà di cui è stato possibile decifrare testimonianze accurate di matematica è stata inizialmente quella degli Egizi.
Gli Egizi già 5.000 anni fa conoscevano le basi della matematica e della geometria, spinti probabilmente da esigenze civili, ad esempio agronomiche (la misura dei campi era da ritracciare ad ogni piena del Nilo) e religiose (era fondamentale poter costruire in modo perfetto altari, templi, piramidi, per poter onorare degnamente la divinità).
Gli Egizi utilizzavano sette particolari geroglifici per rappresentare i numeri fondamentali del sistema decimale (1, 10, 100 fino ad 1 milione), non segnalando però lo zero. Le operazioni matematiche si limitavano all’aritmetica di base, somme e sottrazioni. Gli Egizi adoperavano proprio il sistema decimale che utilizziamo ancora oggi, e non è un caso: i Romani assunsero infatti il sistema di conto egizio e lo diffusero in tutte le regioni dell’Impero.
Il primo reperto archeologico che presenta una notazione di matematica è conservato presso l’Ashmolean Museum di Oxford: è la cosiddetta “mazza di Narmer” (3.000 a.C. circa). La mazza di Narmer è una grossa pietra incisa, probabilmente la parte superiore di una mazza da guerra, che attesta quanti prigionieri e quanti animali erano stati conquistati durante la guerra per l’unificazione dell’Egitto, Alto e Basso.
Il reperto egizio più importante è però un rotolo di papiro lungo oltre 5 metri, conservato al British Museum di Londra, il “papiro Rhind” (dal nome del proprietario, un egittologo scozzese vissuto nel’Ottocento) o “papiro di Ahmes” (dal nome dello scriba che lo redasse, intorno al 1.650 a.C., copiandolo a sua volta da un testo di circa 300 anni più antico).
Lo scriba Ahmes ha dato al papiro il titolo di “Regole per ottenere la conoscenza di tutte le cose oscure” e sembra infatti essere un vero e proprio testo scolastico (…) con tanto di esercizi ed indovinelli, in cui si trovano nozioni di aritmetica e geometria attraverso 85 problemi con relative soluzioni.
Tra le novità che il papiro Rhind-Ahmes mostra c’è un nuovo sistema di scrittura dei numeri, non più basato sui simboli geroglifici, poco pratici, ma basato su una scrittura numerica più affine a quella attuale, la “scrittura “ieratica”.

La comparsa dei simboli
Con i geroglifici si rappresentavano anche i numeri, quelli più utilizzati, ovvero le potenze di 10 (1, 10, 100…) ed i multipli di 10. Solo in seguito vennero introdotti simboli specifici per i numeri dall’1 al 9. I simboli del “+” e del “-” erano indicati con il simbolo delle due gambe, che si avvicinano (“+”) e che si allontanano (“-”). Un piccolo occhio sopra il numero indicava che quel numero sarebbe stato il denominatore di una frazione unitaria, come la frazione  . Gli Egizi utilizzavano solo frazioni a numeratore 1 e molta parte dei loro calcoli tendeva a ridurre tutte le frazioni come somma di frazioni unitarie (ad esempio  era per loro uguale a ). Faceva eccezione la frazione , l’unica non unitaria di largo utilizzo.
Gli Egizi non erano dei matematici raffinati, la matematica per loro era necessaria per usi pratici, limitati, e non impegnarono le loro migliori risorse culturali per affrontare i calcoli ed i problemi che rimanevano insoluti.
Il papiro Rhind ed il “papiro di Mosca”, un secondo reperto che riporta degli esercizi risolti di geometria, mostrano che, soprattutto in geometria, gli Egizi conoscevano la risoluzione di una serie di problemi standard. Conoscevano questi problemi a memoria ed a memoria ne imparavano la soluzione, trovata in modo pratico, diretto. È un po’ come essere allievi alberghieri ed imparare un numero fisso di ricette di cucina, da ripetere in modo sempre uguale, evitando di avventurarsi oltre.
Noi fin da bambini affrontiamo problemi matematici sempre diversi, riconducibili alla soluzione mediante ragionamento, mediante analogia con problemi simili. Il nostro metodo matematico è direttamente riconducibile a quello greco antico. Per gli Egizi la capacità di ragionamento matematico di un ragazzo delle scuole secondarie inferiori sarebbe già strabiliante!
Di cosa trattavano i problemi che gli scolari dovevano mandare a memoria? Gli Egizi utilizzavano la matematica nell’amministrazione degli affari del Regno e dei templi, per determinare i salari dei lavoratori, per calcolare il volume dei granai o l’estensione dei campi, di anno in anno da ritracciare a causa delle inondazioni del Nilo, che cancellavano tutto. I papiri hanno rivelato problemi risolti anche per determinare quanto grano fosse necessario per produrre la birra richiesta e le proporzioni che i diversi tipi di grano dovevano mantenere per tenere bene la cottura durante la panificazione.

Sguardo verso il cielo
L’applicazione principale della matematica egizia, come per quella babilonese, era e rimaneva comunque l’astronomia, necessaria per poter predire il ripetersi degli eventi naturali ciclici, che regolavano la vita quotidiana, prima tra tutti l’inondazione del Nilo. L’arrivo della sua ondata di piena costringeva infatti gli abitanti delle rive a riparare nell’interno con i loro averi ed il loro bestiame, capiamo bene quanto fosse vitale poter prevedere quando spostarsi.
Gli Egizi osservarono che il Nilo cominciava “a salire” alla comparsa nel cielo dell’alba (intorno al solstizio di estate) di una particolare stella, la stella Sopdet, ovvero Sirio, la stella più brillante della costellazione del Cane Minore. Osservarono che la comparsa di questa stella nel cielo avveniva ogni 365 giorni circa…
L’applicazione oggi più evidente delle conoscenze egizie in geometria ed aritmetica è rimasta quella relativa alla costruzione di templi, spesso orientati in modo che in un determinato momento dell’anno il Sole potesse illuminare, filtrando dalla porta principale, la statua della divinità cui era dedicata l’opera.
Gli Egizi profusero tutto il loro impegno naturalmente nella costruzione delle piramidi, le tombe dei re, pensate come veri e propri appartamenti in cui poter pregustare l’Eternità immortale che li attendeva, e nulla, nemmeno le dimensioni delle strutture, doveva esser lasciato al caso.

L’influenza dei popoli mesopotamici
Gli Egizi non sono stati l’unica cultura antica che si è occupata attivamente di matematica, più ad Est troviamo infatti i popoli mesopotamici, che svilupparono un proprio linguaggio dei numeri con invenzioni sorprendenti. La più antica testimonianza di numero scritto proviene proprio dalla lingua sumera, e siamo intorno al 2.250 a.C. Più numerose testimonianze risalgono a qualche secolo dopo, grazie alla buona conservazione delle tavolette di argilla, su cui queste popolazioni scrivevano, lasciate dalla cultura accadica.
Gli Accadi erano un popolo di origine semita (proveniente cioè dalla zona più nordoccidentale della Mesopotamia, l’attuale Siria) che sconfisse i Sumeri e ne ereditò le conoscenze, facendo nascere la civiltà babilonese.
Durante il regno del sovrano accade più famoso, il re Hammurabi, vennero prodotti molti documenti di matematica. Da questi reperti si è scoperto che i Mesopotamici si stancarono presto di utilizzare il sistema decimale, optando per il sistema sessagesimale, misterioso per origine, ma non per utilizzo: è un sistema di ispirazione decimale, che facilita enormemente una serie di calcoli geometrici, allora molto in voga.
I Mesopotamici inizialmente contavano utilizzando sassolini, piccoli oggetti, e ben presto la forma di quelli più utilizzati cominciò a rappresentare quantità precise (ad esempio un bastoncino equivaleva ad “1”, un cono con la punta in basso a “60”, un cono con la punta a sinistra “10”). Le forme di questi “segnalini” vennero riprodotte su tavoletta, divenendo dei veri e propri simboli, gli antenati di quelli, ereditati dalla matematica araba medioevale, che oggi utilizziamo come numeri.

Il problema dello zero
Un altro contributo mesopotamico importante alla matematica è stato l’invenzione della notazione posizionale. Cosa vuol dire? Concentriamoci sull’aggettivo “posizionale”, deriva da “posizione”: ecco, un numero è importante a seconda della posizione che occupa nella scrittura che lo rappresenta, cioè nella sua “notazione”.
Pensiamo al numero “1111”: il primo “1” che leggiamo è quello all’estrema sinistra, ed ha un valore ben diverso dal quarto, dall’ultimo. In tutti i numeri maggiori di “9”, il numero a sinistra è sempre più grande del suo vicino di destra. Può essere dieci volte maggiore, se utilizziamo il sistema decimale, o sessanta volte maggiore, se utilizziamo il sistema sessagesimale.
I Babilonesi hanno inventato questa regola, molto utile per scrivere grandi numeri. In assenza di una regola come questa, dovremmo disporre per esempio di mille spazi ortografici per scrivere un numero di quattro cifre, come 1111. Per le ore di matematica in classe dovremmo portare delle carriole di libri e pazienza!
Le sorprese della terra tra i due fiumi (“Mesopotamia”) non finiscono qui: i Babilonesi affrontarono per primi il problema di una quantità molto particolare, lo zero. Non riuscirono a concepire un simbolo proprio per lo zero e lo rappresentavano solo quando presente all’interno di un numero, dando non pochi pensieri agli archeologi, perché in mesopotamico “10.600” viene scritto come “106”, gli zeri al fondo non sono segnati.
Ai Babilonesi si fanno risalire le prime tavole pitagoriche, le prime tavole trigonometriche, nonché le radici quadrate e le equazioni di secondo grado. Erano specialisti nel trattare le frazioni ed i numeri decimali, grazie alla versatilità del sistema sessagesimale. Il reperto più famoso della matematica mesopotamica è la tavoletta Plimpton 322, che contiene la prima tavola trigonometrica ed una tabella di terne pitagoriche.

La civiltà greca
Le civiltà che si stavano sviluppando attorno al bacino mediterraneo furono molto influenzate dal modo di contare dei Babilonesi, grazie agli scambi commerciali che si infittivano e richiedevano notevole abilità di conto. La civiltà che si dimostrò più ricettiva verso il sapere mesopotamico in ambito matematico fu quella greca.
La civiltà greca è passata alla Storia come raffinata, depositaria di sapere e conoscenza di cui ancora oggi beneficiamo e questa sua caratteristica si è consolidata nei secoli grazie alla intraprendenza degli Elleni, gli antichi abitanti della Grecia. Grandi commercianti e navigatori, entrarono presto in contatto con le civiltà egizia e mesopotamica, assimilandone usi e cultura in modo sorprendentemente dinamico. Impararono il più possibile, adattarono ciò che impararono alle loro esigenze e lo perfezionarono. Gli antichi Greci furono, insomma, gli allievi modello delle nobili, quanto statiche, culture mediorientali a loro preesistenti.
I Greci, senza grammatica e senza matematica, assimilarono presto, probabilmente dai Fenici, un alfabeto di sole consonanti, a cui essi aggiunsero le vocali, originando l’alfabeto greco (alfa, beta, gamma…), alla base del nostro alfabeto e di quello cirillico, in uso presso le popolazioni dell’Est Europa.
Lungo le rotte mercantili non si scambiavano solo materiali di costruzione, metalli preziosi, stoffe o cibo. Ci si incontrava, soprattutto. I rudimenti del calcolo matematico vennero dai Greci acquisiti in questo modo dall’ultimo millennio prima di Cristo. Il primo sistema di numerazione riconosciuto nell’antica Grecia era il sistema decimale attico, molto simile a quello egizio.
A questo sistema di numerazione segue un sistema più pratico, detto ionico, in cui i principali numeri singoli non sono più composizioni di simboli, ad esempio il 4 non si scrive più con quattro barrette, ma si scrive prendendo a prestito una lettera dell’alfabeto greco, la quarta, appunto, δ (delta), all’occorrenza con un pedice in basso a sinistra, per indicare le migliaia.

Senza di loro…
Lo studio di due figure quasi leggendarie, Talete (600-500 a.C.) e Pitagora (500-400 a.C.), di cui conosciamo bene i teoremi di geometria, fecero dei semplici rudimenti la Matematica, scienza, vera e propria. Entrambi studiarono a lungo sotto il sole di Babilonia e delle piramidi, e rielaborarono egregiamente quanto avevano compreso i loro maestri. Talete si concentrò sullo sviluppo della matematica a fini pratici (astronomici, commerciali), Pitagora si dedicò alla filosofia della matematica, dando al suo studio quella impalcatura che guida i nostri ragionamenti matematici ancora oggi.
Grazie al ragionamento, oggi possiamo affrontare un’infinità di problemi matematici, quanti sono per esempio nel nostro libro di testo, con poche regole, una situazione migliore di un allievo egizio, per cui ad una regola corrispondeva la risoluzione di uno specifico problema, non di più. Pitagora fondò una scuola, di cui divenne, per così dire, “preside”. In questa scuola il numero era amato così tanto da diventare quasi oggetto di venerazione, come un dio, soprattutto il numero “10”, il numero della creazione.
I Pitagorici, allievi di Pitagora, studiarono in particolare modo la geometria, formulando il famosissimo teorema di Pitagora, studiando la “sezione aurea” e la costruzione dei solidi regolari. Si ritiene che i Pitagorici diedero dignità all’aritmetica, finora subordinata alla geometria, associando ad ogni numero l’immagine evanescente di un punto geometrico. I loro studi quasi mistici sui numeri portarono alla formulazione della prima ipotesi astronomica non geocentrica: non è detto che la Terra sia al centro dell’Universo e tutto le giri intorno!
Nel 300 a.C. compare una nostra vecchia conoscenza, Euclide di Alessandria, valente professore della celebre Biblioteca di Alessandria, che divenne famoso per un grande libro di appunti, ad uso dei suoi studenti, libro intitolato Gli Elementi, di cui studiamo ancora le parti fondamentali nella geometria piana e solida della scuola secondaria. Questo è uno dei testi di matematica più importanti della storia, sopravvissuto nei secoli grazie alle copie in greco ed arabo pervenute in Occidente durante il Medio Evo e conservate attraverso l’opera dei monaci amanuensi.
Nel 200 a.C. compare Archimede, il simpatico scienziato di Siracusa, molto conosciuto per i suoi studi di fisica, ma al contempo valente matematico. Ad Archimede si fa risalire lo studio del cerchio, della parabola e di molte figure curvilinee, oggetto di studio nelle università e negli istituti tecnici, perché base di numerosissimi oggetti e costruzioni.
Vale la pena citare un misterioso studioso che ha surclassato i precedenti nello studio delle coniche (circonferenze, parabole, ellissi, iperboli…), studio che noi affrontiamo oggi durante la scuola superiore. Si tratta di Apollonio di Pergamo, studioso della Biblioteca di Alessandria d’Egitto, nei secoli posteriori ad Alessandro Magno era la culla del sapere dell’antichità. Purtroppo, Apollonio è sconosciuto alla maggior parte di noi, perché le sue opere sono andate quasi tutte perdute, eccetto dei frammenti citati in opere posteriori.
La matematica greca assunse nei suoi secoli d’oro, dal 300 a.C. in avanti, la dignità di scienza, presentando così un certo distacco dalla vita quotidiana di chi non poteva permettersi la dimestichezza degli studiosi. Ciononostante, ispirò artisti ed architetti, scienziati ed artigiani.

L’apporto degli studiosi arabi
L’eredità greca non venne raccolta dalla cultura romana, molto più pragmatica e meno teorica, meno speculativa. I Romani erano interessati all’ingegneria civile e militare prima di tutto, per cui non svilupparono studi ulteriori, quanto adattarono quelli precedenti.
Il testimone venne invece raccolto, nell’Alto Medioevo, dagli studiosi arabi, che ebbero il grande pregio di conservare la sapienza greca ed arricchirla con i loro studi sulla matematica orientale, in particolare quella dell’India, molto raffinata. A Baghdad venne fondata intorno al 750 d.C. una imponente biblioteca, in cui vivevano e lavoravano le migliori menti dell’epoca, non solo arabe, grazie alla intraprendenza del califfo fondatore.
Uno dei direttori della Casa del Sapere, questa biblioteca, fu Mohammed ibn-Musa al-Khuwarizmi, colui che portò in Occidente il sistema di numerazione che utilizziamo oggi, (erroneamente chiamato “arabo” dai traduttori latini di Al Khuwarizmi, in realtà è indiano).
Al Khuwarizmi introduce lo zero come lo conosciamo noi, una rivoluzione di concetto e di aritmetica, ed è il padre dell’algebra, grande studioso delle equazioni, soprattutto quelle di secondo grado. La parola “algebra” deriva proprio dalla prima parola nel titolo dell’opera maggiore di questo studioso, Al-jabr, ovvero “completamento”. La matematica dell’antichità si può dire così completata di nome e di fatto nelle assolate pianure di Babilonia, dove era nata.

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La scrittura ieratica
Gli Egizi inizialmente adottarono un sistema di scrittura pittografico, la scrittura a geroglifici, in cui le parole potevano descrivere solo oggetti, solo nomi concreti. Gli oggetti erano così rappresentati con il disegno corrispondente: invece della parola “Sole”, in geroglifico si disegnava un disco semplice. Questo principio è utilizzato ancora oggi nel gioco enigmistico dei rebus.
Dal 2.500 a.C. a questa scrittura, molto artistica ed altrettanto impegnativa, venne affiancata una sua decisa semplificazione: la scrittura ieratica. Nella scrittura ieratica ai geroglifici venivano sostituiti simboli, che ricordavano il pittogramma di partenza come le nostre lettere corsive rimandano alle corrispondenti in stampatello.
La scrittura ieratica divenne presto sillabica, ogni parola cioè diventò una collezione di ideogrammi, di simboli stilizzati, avvicinandosi a ciò cui oggi siamo abituati: ogni nostra parola scritta è una collezione di caratteri, come ogni nostra parola pronunciata è una collezione di suoni.

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Il sistema di numerazione attico
I numeri da 1 a 4 erano rappresentati da barrette verticali: 1 |; 2 ||; 3 |||; 4 ||||; il 5 era rappresentato dalla prima lettera della parola greca corrispondente, “pente”: Π.
Abbiamo quindi il 6 Π|; 7 Π||; 8Π|||;9 Π||||.
Il 10 era Δ, la lettera iniziale della parola corrispondente “deca”, da cui deriva il “decem” latino e molti prefissi grammaticali della nostra lingua, che riconosciamo in deci-metro, deci-litro, deci-male;
il 100 era Η, da “hecaton” (cento), da cui derivano le parole ecatombe (una strage, dalla parola che designava il sacrificio solennissimo di cento buoi ad Helios, il dio del Sole, per festeggiare il Capodanno, a giugno) ed ettaro;
il 1000 era Χ, per “chilioi” (mille), da cui derivano i prefissi grammaticali chilo-grammi, chilo-metri;
il 10000 era Μ, per “myrioi” (diecimila), da cui deriva la miriade (sinonimo di quantità grandissima).

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La sezione aurea
Poniamo di avere una linea, un segmento, diviso in porzioni diseguali. La lunghezza delle due parti si determina risolvendo una proporzione particolare: b (la parte più corta):a (la parte più lunga)=a:L (l’intero segmento). Questa proporzione viene chiamata “sezione aurea” ed è molto frequente in natura, viene riconosciuta come canone artistico di bellezza ed armonia.
La proporzione aurea sembra essere alla base della composizione della Gioconda di Leonardo, come sembra essere nascosta nel rapporto tra l’altezza di una persona e la distanza del suo ombelico dal suolo!
Se prendiamo come base di un rettangolo la sezione aurea della sua altezza, possiamo disegnare il rettangolo aureo, molto utilizzato in architettura e pittura. L’esempio più famoso? La facciata del Partenone di Atene. L’esempio più utilizzato? Le tessere bancomat e di credito.


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