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di Franz Coriasco il disco del mese Paolo Nutini PAOLO NUTINI Caustic Love (Atlantic) Ogni tanto accade che un po’ ...
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di Franz Coriasco
ildiscodelmese
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Paolo Nutini |
PAOLO NUTINI
Caustic Love
(Atlantic)
Ogni tanto accade che un
po’ d’Italia assaggi l’ebrezza delle classifiche che contano. Paolo Nutini,
scozzese classe 1987, è di origini toscane per parte di padre ed è uno dei più
bei nomi del neo-soul anglosassone. Ha un bel faccino e una voce sofferta che ricorda i
grandi di casa Motown e Stax.
A cinque anni dal
precedente Sunny Side Up, torna sui mercati planetari con questo
convincente terzo album che lo conferma tra le voci più interessanti
del nuovo cantautorato europeo. Una lunga pausa che è servita al Nostro per
maturare, ma non a definirne con precisione la collocazione: per qualcuno è la
versione maschile (e meno sciroccata) dell’indimenticabile Amy Winehouse, per
altri la risposta europea a personaggi come John Legend e Lenny Kravitz, per
altri ancora solo un epigono dei mammasantissima della black-music degli anni
Sessanta e Settanta.
In ogni caso la gamma
espressiva che va dal rhytm’n’blues al funky risplende tra i solchi di questo
disco tracimante di passioni vintage, ma che non nasconde l’ambizione di dare ai maestri del
passato un’anima in sintonia con la contemporaneità. Obiettivo sostanzialmente
raggiunto.
forevergreen
The
Animals
(Decca)
Giusto
cinquant’anni fa il mondo del rock viveva la
stagione più ruggente del beat. Era la cosiddetta british invasion:
sull’onda dei Beatles e dei Rolling Stones, una moltitudine di nuove stelle
cominciarono a brillare, dagli Yardbirds di Eric Clapton ai Kinks dei fratelli
Davies, dai Them di Van Morrison ai formidabili Animals di un giovanotto bianco
come il pane, ma dalla voce assolutamente nera. Si chiamava Eric Burdon
ed era destinato a diventare una delle voci
più significative del rock dei primordi.
In questo storico album
di debutto lo troviamo insieme ai quattro compari (tra cui l’organista Alan
Price e il bassista Chas Chandler, futuro manager di un certo Jimi Hendrix)
alle prese con alcuni classici del blues tra cui spiccava una cover destinata a entrare dritta nella leggenda: The house of the rising sun, che regalò al
quintetto un successo travolgente, però destinato a minare gli equilibri
interni della band, che si sciolse alla fine del 1966: un vero peccato perché,
riascoltate oggi, queste canzoni non hanno perso un grammo del loro fascino.
FRANKIE HI-NRG
Essere umani
(Materie Prime Circolari)
Fra gli indiscussi padri
fondatori del rap all’italiana, Francesco di Gesù, in arte Frankie HI NRG, ha
ottenuto, in quel di Sanremo, il definitivo sdoganamento presso i mercati del
pop di massa. Ma non ha perso la verve degli esordi (semmai l’ha resa meno
sterilmente ribellista) né la capacità di leggere con acutezza fra le
pieghe del presente. Così rieccolo alle prese con metafore, rime e giochi di
parole talvolta geniali e comunque mai banali.
Un caposcuola (da Caparezza a Fabri Fibra passando per Jovanotti sono
tanti i colleghi debitori) che stavolta non si limita ad affondare il bisturi
tra i mali, le nevrosi e le precarietà dell’oggi, ma che, almeno qua e là,
prova anche a ipotizzarne soluzioni praticabili.
Supermodel
(Sony Music)
Mark
Foster e i suoi sodali oscillano tra l’indie-rock e il neo psichedelico e a dirla tutta non sono propriamente degli
sconosciuti visto che incidono per una multinazionale e in streaming vanno
fortissimo. Questo Supermodel è appena il loro secondo album e la band
dimostra d’avere sufficienti idee e carisma per continuare a
crescere.
D’altro canto, se è vero
che il rock ha perso da tempo tutta la sua carica innovativa, allora tanto vale
provare a rileggerne con
personalità i caposaldi senza
scimmiottarli, ed è proprio quel che fa questo trio losangelino innamorato
delle sonorità molto freakettone tipiche di certo rock anni ’70.
ELBOW
of everything
(Fiction)
La
band di Manchester approda al sesto album rafforzando l’impressione di essere uno dei gruppi più eleganti e personali del rock britannico di questi anni Dieci. Tuttavia, pur avendo ottenuto
buoni apprezzamenti di critica e di pubblico, non sono mai riusciti a imporsi
come meriterebbero.
Realizzate tra gli studi
di Peter Gabriel a Bath e i londinesi-beatlesiani di Abbey Road, le dieci nuove
canzoni sembrano quasi delle mini suite: non troppo lontane da
quelle mitiche del progressive dei primi anni Settanta, ma al contempo
sufficientemente moderne da intrigare anche le orecchie più esigenti del Terzo
Millennio.
laperlanascosta
All that for this
(Shanachie)
Non sarà il massimo
dell’originalità, ma il country-pop cantautorale di questa ventottenne
dell’Ohio è davvero gradevole e certo assai più raffinato di quello che solitamente
intasa i circuiti di quest’ambito.
Finalista dell’edizione
2010 di American Idol, Crystal ha perso in fretta gran parte
della popolarità, ma non grinta,
personalità e la stima dei
colleghi, da Shania Twain a Jakob Dylan, qui presente e duettante nell’intensa Stitches.
Un second-out realizzato con cura certosina che non la restituirà alle
classifiche planetarie, ma che ha tutto ciò che serve a conquistare gli ancor
numerosissimi cultori del rustico d’autore.