Luce da premio Oscar
Parlando con gli occhi Luce da premio Oscar L’incontro – magnetico − ...
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Parlando con gli occhi
Luce da premio Oscar
L’incontro – magnetico − con l’italiano Vittorio Storaro, tre statuette per la Fotografia. L’uomo che si definisce “cinemato-grapher”, ossia colui che “scrive con il cinema”.
Quando si pensa a un Premio Oscar, si immagina una persona che vive di celebrità, lustrini, autografi e vita mondana. Vittorio Storaro, vincitore di tre Oscar per la direzione della Fotografia (nel 1980 per Apocalypse Now, nel 1982 per Reds e nel 1988 per L’Ultimo Imperatore, per il quale ha vinto anche il David di Donatello), è quanto di più lontano da questa descrizione possa esistere.Sarà la saggezza dettata dall’esperienza (è nato nel 1940), sarà la consapevolezza di non avere niente da dimostrare. Sarà una certa ritrosia a omologarsi allo star system (è da sempre sposato con un’unica moglie!): insomma, Vittorio Storaro parla con gli occhi, con le sue opere; lo sguardo è sempre molto attento a quanto gli accade attorno, il desiderio quello di trasmettere la sua conoscenza ai giovani, soggetti – a suo parere − capaci di interpretare appieno la sua dimensione artistica.
L’incontro con Storaro avviene sul Lago di Garda, a Sirmione, dove per settimane viene allestita una sua mostra, e dove il maestro ha la possibilità di incontrare e dialogare con i giovani del luogo.
Come spiegare, alle nuove generazioni, il mondo di luci e colori che ha caratterizzato il suo lavoro, la sua collaborazione con i “giganti” della cinematografia mondiale (Giuseppe Patroni Griffi, Francis Ford Coppola, Bernardo Bertolucci, Warren Beatty, Carlos Saura)? Raccontando una storia: la sua storia, che è un incredibile incrocio tra colori, luci e ombre.
Storaro ammette di aver avuto la fortuna di collaborare con grandissimi personaggi, che gli hanno permesso, di volta in volta, di esprimere in modo del tutto personale il proprio percorso cinematografico.
Sempre alla ricerca di sé
Tutto inizia, come in un film, con il legame padre-figlio: il papà di Vittorio era, infatti, un proiezionista cinematografico, che aveva “contagiato” il ragazzo con questa passione. Da qui l’impegno a studiare fotografia, per farne una professione. Impegno che, però, non si rivela esaustivo: Vittorio desidera sapere e conoscere sempre di più, non gli bastano le immagini, i tecnicismi imparati a scuola, vuole qualcosa di più espressivo.
Di fronte al dipinto La Vocazione di San Matteo di Caravaggio (ammirato a Roma nella chiesa di San Luigi dei Francesi), si accorge improvvisamente come sia necessario raccogliere queste intuizioni sulla luce e portarle nel suo modo di intendere la fotografia cinematografica, che è un tutt’uno con la creazione di un film (cioè: la fotografia è protagonista dell’opera cinematografica, non sua ancella).
Da qui anni e anni di studi dedicati al linguaggio della luce e la consapevolezza che luce e ombra sono come “padre e madre”, che generano dei figli: i colori. Il tema viene sviscerato studiando anche i classici e la filosofia. Questo percorso di crescita interiore si accompagna al rapporto di lavoro con professionisti del calibro di Coppola e Bertolucci.
Il tentativo di capire se stesso non ha tregua, e da luce e ombra Vittorio Storaro passa ad analizzare in profondità i colori. Dopo anni di studio, anche i colori non sono sufficienti a racchiudere la sua poetica, che trova compimento con l’utilizzo degli elementi, la materia, con i quali
finalmente trova un equilibrio.
Ecco così spiegata, in poche parole, una complessità stratificata che corrisponde ai diversi livelli di interpretazione cui possono essere sottoposti i film di Storaro, che ama definirsi “cinemato-grapher”: in pratica, mentre seguite un suo film, provate a “leggere” non solo trama e intreccio, ma anche i colori, i chiari e gli scuri. Ossia a osservare la “foto-grafia”, la “scrittura con l’immagine”.
Questo percorso esplorativo che dura da decenni viene anche da lui trascritto, sotto forma di parole, idee e foto nei tre libri Scrivere con la luce. È lui stesso a spiegare di non aver potuto affrontare studi classici e di aver conosciuto la pittura attraverso l’osservazione del mondo: «Mi sono sempre sentito un eterno studente. Ciò che apprendevo, lo inserivo nella professione: sotto sotto, ho sempre sperimentato».
Questi pensieri denotano una giovinezza mentale incredibile: Vittorio Storaro è davvero una persona fuori dal comune, dalla quale si può imparare tantissimo: innanzitutto la modestia, unitamente a questo desiderio, che non si placa mai, di voler sapere, e sapere, e sapere. <