La guerra del futuro
ATTUALITÀ di Abuna Yussuf La crisi siriana La guerra del futuro Fiumi di profughi mettono in crisi l’Europa per un conflitto c...
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ATTUALITÀ
di Abuna Yussuf
La crisi siriana
La guerra del futuro
Fiumi di profughi mettono in crisi l’Europa per un conflitto che dura da sette anni e di cui non si vede la fine. Ma come si è arrivati a questo? E cosa ci aspetta?
Hussein, 15 anni. Sguardo tagliente,
per andare oltre il cuore e fermarsi sulla spiaggia di una tristezza da cui non si lascia avvolgere. Di giorno impara il tedesco, insieme ad altri profughi accolti nella Germania della Merkel, la potente signora che contro tutti i politici del suo partito ha detto: «Ce la faremo», intendendo che non avrebbero avuto problemi a gestire i siriani in fuga dalla guerra.
Di notte, Hussein, sogna la sua casa piena del profumo del fetayer, quando la mamma cucinava i
fagottini di pasta, carne, formaggio e abbondanti spezie. Ma né il papà né la
mamma potranno più accompagnarlo. Sono rimasti sotto le macerie di uno dei
tanti bombardamenti di Hama. Di che
colore erano quelle bombe? Americane, russe, del governo di Damasco, o un
missile iraniano? Qualunque sia la risposta, Hussein sa che nel suo futuro sarà
solo.
Il mondo
di nessuno
Ma cosa sta capitando in Siria e perché? La risposta è
complicata, ma nello stesso tempo terribilmente semplice: si fanno le prove della guerra che verrà per un
mondo dove nessuno sarà più primo. Avete in mente McDonald, Apple, BMW e i
grandi pensatori del Novecento? Le idee che hanno fatto la storia del secolo
passato, i grandi centri di ricerca e di studio, le possenti industrie, sono
stati tutti Occidentali. Ora non è più così. Ma pochi lo sanno.
Gli ultimi due secoli hanno visto l’egemonia materiale e ideologica dell’Occidente, ma il futuro non
sarà più dominato da un singolo Paese, da una particolare area regionale o da
un solo modello politico. Gli Stati Uniti e l’Europa riusciranno a superare
l’attuale recessione economica, ma si ritroveranno in un mondo profondamente
cambiato. Al contempo nessuna fra le attuali nazioni emergenti avrà la forza
per esercitare un’egemonia globale.
Il XXI secolo non apparterrà né agli Stati Uniti, né alla
Russia, né alla Cina e nemmeno all’India, al Brasile o a qualche altra nazione
emergente: sarà un mondo senza un unico centro di gravità o un gendarme
globale, sarà il mondo di nessuno.
Per questo è ridicolo continuare a pensare con le categorie del Novecento.
Quello che sta capitando in Italia è solo la prova di un rimescolamento che da
noi si chiama politica, mentre in Siria ha il sapore del sangue.
Henry McMahon, alto commissario britannico in Egitto, il 24
ottobre 1915 a nome del suo governo, promette a Faysal, sharif di La Mecca, alla caduta dell’Impero Turco, la costituzione
di un grande Stato arabo,
comprendente la Mesopotamia, la Siria e la penisola arabica. Ma a Londra
qualcuno rema contro. Non si può fare una così grande promessa senza andare
contro la Francia.
Immediatamente, François Picot, prozio di Valéry Giscard
d’Estaing, futuro Presidente francese, viene incaricato dal governo di Parigi
di contattare Mark Sykes, diplomatico inglese sostenitore del nazionalismo
arabo come arma per combattere i Turchi. L’idea di unico Stato in quella
regione, è pericolosa, meglio suddividere l’area in zone di influenza.
Così i francesi si prendono quello che è oggi il Libano e la
Siria, mentre gli inglesi pensano a sistemare il resto dell’area, creando la
Giordania, l’Arabia Saudita, l’Iraq e il Kuwait, lasciando in sospeso il
destino della Palestina e per tenersi buono Faysal, lo nominano re dell’Iraq. Lui non si dà per vinto e
si fa eleggere dagli arabi anche re di Siria. Ma la Francia interviene
cacciandolo dal Paese.
Rimasto in Iraq, inizia una spettacolare modernizzazione del Paese tanto da diventare in poco
tempo un vero mito per tutto il mondo arabo. Purtroppo, muore a soli 48 anni
per uno “strano” attacco al cuore mentre si trova in Svizzera per controlli
medici.
Sykes propone di dividere la zona francese da quella inglese
dicendo: «Mi piacerebbe tracciare una linea dalla e di Acre fino all’ultima k
di Kirkuk». In questa frase si gioca tutto il
dramma siriano. Ascoltare le popolazioni locali, no vero? E se una famiglia
si trova metà di qui e metà di là? Quale rispetto per le millenarie linee di
comunicazione della zona? Un’area dove le differenze tribali, religiose,
etniche sono quasi infinite, può essere divisa così? Certo che no! Ma i potenti
del mondo hanno così deciso.
Peccato che oggi, a partire dalle guerre in Iraq, alla
situazione della Palestina, fino alla Siria e alla questione dei Curdi, la
storia presenti il conto da pagare.
Ma siamo
solo all’inizio
In Siria il 10% della popolazione non è araba mentre del
restante 90%, il 13% è musulmano sciita, a sua volta suddiviso in vari gruppi
mentre la maggioranza è sunnita, per
non parlare delle antichissime comunità cristiane, druse ed ebraiche…
Ma se la maggioranza musulmana è sunnita, allora perché
l’attuale dittatore di Damasco, Bashar
al-Assad, è sciita? Perché sciiti sono anche gli iraniani che sostengono
politicamente, religiosamente, militarmente ed economicamente il suo regime.
Ma non possiamo dimenticare che Bashar è figlio di Hafiz
al-Assad che nel 1971 con un colpo di Stato è riuscito a prendere il potere in
Siria assicurando per trent’anni stabilità
e modernizzazione, dopo decenni di completa instabilità. Per questo, le
minoranze del Paese, eccetto la curda, lo appoggiano, anche se tutti i posti di
potere sono nelle mani della sua tribù.
Tuttavia, la sua alleanza con l’atea Unione Sovietica, inizia ad alimentare opposizione. Il tentativo di
rendere il Paese sempre più simile all’Occidente trova la resistenza dei
radicali islamici che organizzano un attentato contro di lui. La reazione non
si fa attendere e almeno 10.000 cittadini di Hama vengono massacrati. Siamo nel
1982. Assad vivrà fino al 2000 quando gli succede suo figlio, Bashar. Per 11
anni protegge gli Hezbollah e Hamas, gruppi che combattono Israele.
Un caos
indecifrabile
Nel 2011 con il dilagare delle proteste nel mondo arabo, anche
la Siria ne viene coinvolta. Le monarchie del Golfo Persico, l’Europa e gli
Stati Uniti appoggiano le rivolte
popolari che chiedono libertà, democrazia e diritti. Le prime
manifestazioni sono pacifiche, poi il regime di Assad decide di far sparare
sulla folla, così nel giro di pochi mesi esplode la guerra civile.
Quando sembra che i ribelli abbiano la meglio, l’Iran sciita viene in aiuto a Bashar
al-Assad, anche lui sciita, mentre la maggioranza dei siriani, musulmani sunniti,
sono sostenuti dall’Arabia Saudita. Ma può la Russia perdere la sua
quarantennale influenza su Damasco? E l’Europa può abbandonare l’opportunità di
far passare proprio in Siria un oleodotto che porti più facilmente petrolio
sulle coste del Mediterraneo?
D’altra parte, la Turchia teme il sorgere di uno Stato curdo e
gli Stati Uniti non possono lasciare
che la Russia la faccia da padrone, mentre gli Hezbollah sostenuti dall’Iran
arrivano fino ai confini di Israele.
Assad per fermare i ribelli, libera i detenuti estremisti
islamici. Ma questi, invece, stringono un’alleanza con alcuni ex ufficiali
iracheni e creano un unico Stato sunnita fra l’Iraq e la Siria. All’inizio, i
Paesi sunniti del Golfo arabo li sostengono. Ma la nascita di questo Stato
islamico rafforza la posizione di Assad che si propone come unica alternativa al
loro integralismo radicale che
minaccia le notti parigine.
Intanto gli Americani e l’Europa appoggiano i Curdi, fornendo addestramento e armi.
Questo manda i Turchi su tutte le furie. Turchia di cui però l’Europa ha
bisogno per bloccare la fuga dei profughi.
Dopo 7 anni, la situazione è diventata quanto mai complessa:
da semplice rivolta popolare a terreno di scontro
fra le varie potenze di un mondo che ha perso il suo centro e si incammina
ad essere un mondo pluricentrico, dove l’Europa e l’Occidente con le sue
industrie, artisti, pensatori e valori sarà solo più uno dei tanti poli della
scena mondiale. Intanto Hussein ha smesso di sognare e come lui gli altri tre
milioni di giovani profughi fuggiti dall’inferno siriano.
Box
Le cifre
del dolore
7 anni di guerra.
15 milioni di persone che necessitano di assistenza
umanitaria.
6,3 milioni di sfollati
5 milioni di rifugiati nei Paesi vicini.
355.000 morti.
57.000 le persone disperse.
1,5 milioni di mutilati.
500 attacchi contro le 330 strutture mediche.