Quale Europa vuoi?
dossier di Graziano Chiura - Giovanni Godio - Elisa Murgese - Davide Colombini Quale Europa vuoi? Alla vigilia delle elezioni europ...
https://www.dimensioni.org/2014/05/quale-europa-vuoi.html
dossier
di Graziano Chiura - Giovanni Godio - Elisa Murgese - Davide Colombini
Alla vigilia delle elezioni europee, la costruzione di
un continente unito appare fragile.
Accanto ai tanti risultati positivi, cresce anche un
forte scontento, accentuato dalla crisi economica: moneta vulnerabile,
disoccupazione, perdita di lavoro, immigrazione... E aumentano i partiti che
vogliono staccarsi dall’Ue. Quali esiti?
Europa sì
Europa no
Le
elezioni europee sono importantissime per delineare il progetto di una nuova
Europa. Ma il rischio di compromettere l’unità europea e la solidità dell’euro è alto. In seguito alla crisi che stritola
il nostro continente dal 2007 so-no emerse tutte le fragilità della costruzione europea. Fino ad allora, l’opinione pubblica aveva una visione
positiva nell’Unione europea pari al 57%, mentre oggi si è ridotta al 30%.
Sono
molte le cause di tale disaffezione, ma al primo posto viene evidenziata la vulnerabilità di una moneta priva di uno Stato e senza politica. Inoltre il tessuto industriale
europeo stremato dalla sfida imposta dalla globalizzazione è in fase di ripresa, ma resta ancora elevata la disoccupazione. Molti lavoratori europei, a causa dell’innovazione
tecnologica e del trasferimento delle aziende in zone dove costa meno produrre,
hanno perso il lavoro o hanno subito una riduzione salariale. Molti giovani, sebbene preparati e motivati, non riescono a trovare
lavoro a causa delle mancate riforme economiche.
Il
mix europeo per uscire dalla crisi, composto da politiche a favore della
stabilità e da riforme strutturali finalizzate a favorire la
crescita e l’occupazione, vanno nella direzione giusta, ma procedono con troppa lentezza a causa dell’opposizione delle forze
conservatrici interne agli Stati europei.
Questa
ricetta lenta ma efficace è contestata dai populisti e dai nazionalisti, che soffiano sul fuoco della crisi per ottenere
consensi. Il rischio in queste elezioni è di dover vedere più che un confronto tra due o più modelli di Europa, una sfida nelle urne
tra le forze filo-europeiste e le forze anti-europeiste.
È innegabile che le forze euroscettiche populiste e
nazionaliste mirano a indebolire l’Europa e a relegarla in una posizione di subalternità nei confronti delle grandi potenze.
Mentre
le forze filo europee, se si troveranno in difficoltà, dovranno
coalizzarsi per continuare a portare avanti il progetto europeo, mirato a realizzare
un’Europa unita, dotata di una moneta forte che possa competere con gli Stati
Uniti e la Cina.
Le forze in campo
Le
differenze nelle scelte economiche e politiche, tra popolari e socialisti sono
state finora molto limitate. Il confronto è sempre stato tra conservatori e
progressisti. In particolare i popolari e i socialisti, dopo le elezioni di settembre del 2013 in Germania, per
sostenere il governo si sono dovuti coalizzare e individuare un percorso per
uscire dalla crisi.

Il
premier italiano Matteo Renzi, segretario del Pd entrato a far parte del
Partito socialista europeo, ha chiesto di negoziare con la Commissione europea su
alcuni punti per avere margini di manovra in modo da favorire la crescita.
Renzi
intende fare le riforme strutturali, rivedere la spesa pubblica e rispettare il vincolo del
tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil, dunque seguire le regole stabilite per
poi tentare di attenuarle o rivederle (modifiche dei Trattati con tutti i
firmatari) nel semestre di guida italiano, che inizia a luglio del 2014.
Parte
del partito socialista, del resto, non condivide con la sinistra di Tsipras, la
politica di rigore (conti in ordine, tagli agli sprechi, riforme strutturali)
finora imposta dalla Commissione europea. Preferirebbe che lo sviluppo fosse
sostenuto con un aumento del debito pubblico finalizzato a finanziare investimenti e a creare
crescita.
Alleanza
dei socialisti e dei democratici (Asde) ha indicato il tedesco Martin Schulz
come candidato alla presidenza della futura Commissione. Se non dovesse avere i
numeri la lista Tsipras, che non è contro l’Europa e l’euro, ma desidera profonde modifiche, potrebbe sostenerlo purché non si formi un accordo tra Asde e Ppe. Mentre il Partito popolare
europeo democratici europei (Ppe) ha indicato il lussemburghese Jean-Claude
Juncker.
Il
terzo gruppo più grande al Parlamento di Strasburgo è Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (Alde) che
tendenzialmente condivide con il Ppe l’impostazione europea tedesca. Il Partito
popolare europeo ritiene che prima di alleggerire l’austerità, ogni Stato deve realizzare le riforme, tagliare le spese e abolire i privilegi per favorire la ripresa economica senza
creare altro debito.
I
popolari in Spagna, convinti europeisti, stanno provando a risanare il Paese.
In Italia i popolari che sostengono lo sforzo di risanamento del premier Renzi
sono il Ncd di Alfano, l’Udc di Casini e i Popolari per l’Italia di Mauro. La
differenza più marcata tra i popolari e i socialisti risiede però nei valori.
È indicativo il caso della bocciatura a dicembre del 2013
da parte dei popolari (e dell’astensione di alcuni esponenti cattolici del Pd)
della risoluzione presentata dalla deputata del partito socialista portoghese
Estrela sulla
salute e i diritti sessuali e riproduttivi. Il testo considerava l’aborto un diritto, chiedeva agli
Stati di limitare il diritto all’obiezione di coscienza e di rendere obbligatoria
l’educazione sessuale di Stato, negava ai Paesi di decidere in materia di
educazione e di salute riproduttiva.
Con
il voto degli eurodeputati viene sconfitta una visione dirigista su temi
delicati come la vita, l’educazione e il ruolo della famiglia che vanno
affidati agli Stati, dunque viene confermata la validità del principio
di sussidiarietà nella costruzione dell’intero edificio
comunitario europeo.
Partiti nazionalisti,
populisti ed euroscettici
Il
contagio nazionalista nell’Unione europea è in corso, ma con differenti scenari. Nel
Regno Unito gli scozzesi, che si sentono più europei che britannici, sono chiamati a
decidere con un referendum il 18 settembre di quest’anno sulla creazione di uno
Stato scozzese. Sostenuti da abbondanti risorse petrolifere e attratti dai
vantaggi offerti dall’eurozona (offerta valida per chi ha i conti in ordine),
gli scozzesi, desiderano staccarsi da Londra, ma sono ancora incerti.

In
caso di una vittoria dei “sì”, anche se gli scozzesi dovessero dire
di “no” nel referendum di settembre del 2014, diverrebbe automatico il loro
distacco da Londra. A quel punto la
Scozia verrebbe accolta dall’Ue. Mentre, nel caso di voto
favorevole a settembre del 2014, l’entrata della Scozia nell’Ue sarebbe molto
ardua. Intanto, perché tutti i 28 Stati europei dovrebbero
essere d’accordo. Poi, oltre alla contrarietà di Londra che perderebbe ingenti entrate
fiscali, potrebbe non essere d’accordo anche Madrid, perché teme l’indipendenza della Catalogna. Infine si creerebbe un precedente che potrebbe moltiplicare gli Stati nell’Ue.
In
Italia la Lega Nord
di Matteo Salvini, formazione autonomista ed euroscettica, data al 4,5%, vuole
un referendum per uscire dall’euro. Poi vi sono altre forze nazionaliste come il partito (in parte populista) di
Forza Italia di Silvio Berlusconi, presente nei popolari europei, dato al 21%,
e la destra no-euro dei Fratelli d’Italia.
In
Francia il Front National dell’estrema destra guidata da Marine Le Pen, dato al
23%, potrebbe divenire il primo partito alle europee. In Olanda il Partito per
la libertà, antieuropeo e islamofobo di Geert Wilders, è dato al 20% e insieme al Front National francese intende formare un nuovo gruppo nel prossimo Parlamento europeo.
Inoltre
in molti Stati europei sono presenti partiti di destra e di estrema destra
anti-Bruxelles e anti-immigrati che raccolgono ampi consensi: in Svezia i nazionalisti di Sweden
Democrats (10%), in Belgio Interesse fiammingo (12%), in Austria il Partito
della Libertà (22%), in Finlandia il partito dei Veri Finlandesi
(15%).
Si
stanno poi affermando partiti populisti che non sono né nazionalisti né xenofobi come in Germania Alternative für Deutschland, al 7%, e in Italia il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo,
dato al 21%. Infine tra le forze di sinistra euroscettiche si collocano in
Grecia il Partito comunista greco (Kke) e in Svezia La Sinistra , e in Olanda il
Partito Socialista (Sp). Tutte cercheranno di ostacolare l’integrazione europea.
Se
verranno confermate con le elezioni queste percentuali, l’Unione europea sarà a rischio. Il futuro dei giovani è però legato all’Europa e solo loro con il
voto possono confermare il progetto europeo, disinnescare i contrasti, esprimersi per una casa
comune solida e solidale. <
Voci d'Europa
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Martin Schulz |
Ne vale la pena?
«Per noi
europei, un’Unione di sole regole ha perso la capacità di raccontarsi, di
entusiasmare e di far guardare al futuro con ottimismo». Ma «per alcuni dei
nostri vicini, dove lo stato di diritto è flagellato dall’arbitrarietà, l’Unione
rappresenta un’ancora di giustizia e libertà cui aggrapparsi». Insomma, che cos’è mai questa nostra Europa, oggi? Perché votare per l’Europarlamento
il 25 maggio?
Lo abbiamo chiesto a Martin Schulz, autore
delle righe che abbiamo appena citato e presidente del Parlamento europeo dal
2012. Nato nel 1955, tedesco, sposato e con due figli, prima di diventare
deputato dell’Unione ha fatto il libraio. DN lo ha contattato a Bruxelles, una
delle due sedi parlamentari dell’Ue.
Presidente
Schulz, perché un giovane dovrebbe votare alle europee
di questo mese?
Credo sia importante che i giovani vi partecipino perché vedo nell’Europa
non solo il loro futuro, ma anche la dimensione in cui hanno avuto la fortuna
di crescere. Votare significa sentirsi parte di una comunità e dare il proprio
contributo per orientarne le azioni.
Le politiche europee hanno oggi un impatto forte sulla nostra
vita di tutti i giorni, ed è importante
che i giovani esprimano la propria idea di Europa attraverso lo strumento
fondamentale che i sistemi democratici mettono a disposizione dei cittadini: l’elezione
dei propri rappresentanti in Parlamento.
Oggi tutti i cittadini possono decidere quale
orientamento dare all’Europa, grazie alla presenza di candidati alla presidenza
della Commissione da parte delle principali famiglie politiche. Un’occasione da
non perdere per tentare di democratizzare ulteriormente l’Europa.
Ma
che cosa fa oggi l’Ue per i giovani?
Il Parlamento europeo li sostiene attraverso azioni che
hanno l’obiettivo di facilitarne la mobilità e combattere la disoccupazione. Penso in
particolare al recente e innovativo sistema Garanzia giovani, per favorire l’avvicinamento
dei ragazzi al mercato del lavoro. Ma anche all’istituzione del programma
Erasmus+, l’impegno per l’erogazione di maggiori risorse in ricerca e sviluppo,
e il mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali.

La mia idea di Europa è una dimensione politica sempre più solidale e
integrata, dove i cittadini sono posti al centro del sistema e si sentono
protagonisti della vita democratica dell’Ue. Credo che i tempi siano maturi per
guidare l’Europa in questa direzione, anche ampliando il ruolo del Parlamento
europeo, che è direttamente
eletto dai cittadini e rappresenta dunque l’istituzione centrale della
democrazia europea. Per questo ritengo sia importante aumentarne il ruolo nel
controllo politico sull’operato della Commissione, dando così maggiore peso e
impatto alla volontà popolare.
E
com’è
l’Ue di oggi, secondo lei?
È innanzitutto
una realtà inclusiva
fondata su basi democratiche, nonché il miglior progetto in campo per dare
alle future generazioni l’opportunità di vivere in una società dove sono garantite
le libertà fondamentali
e i diritti civili.
Il
maggiore editore italiano ha pubblicato un libro sull’euro invitando ad uscirne
per «ricominciare
da capo, dalla nostra moneta, dalle nostre istituzioni di nuovo sovrane, dai
nostri bilanci, dai nostri Parlamenti». La
moneta unica ci ha resi «tutti più poveri»,
insieme ad una lista di «sprechi», la «scarsa
democrazia» e la burocrazia dell’Ue...
Sono un grande sostenitore della
moneta unica, che credo uno dei più
importanti traguardi dell’Unione. Non solo l’euro ha semplificato la
circolazione di persone e merci sul territorio europeo rappresentando un segno
tangibile dell’Unione, ma ha anche contribuito a ridurre le speculazioni
inflazionistiche e le instabilità
monetarie. Il problema non è l’euro, ma la
mancanza di una comune politica economica, fiscale e finanziaria. <
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Giuseppe De Rita |
«In
Europa
non ci
sappiamo stare»
L’Italia è il terzo
contribuente dell’Ue. Fra 2007 e 2013 l’Italia le ha versato in tutto circa 106
miliardi di euro e ha ricevuto accrediti per 65
miliardi: quindi il nostro contributo netto è
stato di 41 miliardi. Ma questo squilibrio, osserva lo studio del Censis Dare e
avere con l’Europa, risente anche della nostra (scarsa) capacità
progettuale e gestionale dei contributi europei: fra 2007 e 2013 abbiamo
impiegato solo il 53%
dei fondi a noi destinati nei programmi finanziati dai diversi fondi
strutturali di derivazione comunitaria e nazionale.
«Il
fatto è
che noi italiani in Europa non ci sappiamo stare – commenta con DN Giuseppe
De Rita, presidente del Censis – . Ci crediamo
più
europeisti degli altri, rivendichiamo più peso politico. Ma alla fine non sappiamo
né
stare nei processi organizzativi e decisionali, né contrattare
e discutere».
Meglio andarsene, allora, come chiede
qualcuno? «No.
Io continuo a pensare che in Europa bisogna imparare a starci. Non con il
vecchio ragionamento che un Paese disordinato come il nostro dev’essere
riordinato dall’esterno: “Entriamo in Europa, ci metteranno in riga”. Un grave
errore, questo, da parte di chi non credeva nella capacità
italiana di far da soli.
Piuttosto, c’è
una motivazione dinamica: l’Europa ci serve per crescere con tutta la realtà
europea, per stare nella competizione
internazionale ed essere membri di una grande potenza
mondiale. Non di una scuola per corrigendi».
Anche se l’Ue ci costa più
di quanto poi ci dà
indietro? «La
colpa di questo non è
dell’Europa, è
colpa nostra! Non sappiamo trovare le strade giuste.
Un Paese come la Spagna
si è
preso tanti di quei soldi perché ha capito come funzionano i meccanismi
su cui bisognava lavorare».
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Guoda Lomanaite |
La voce della giovane
Lituania
DN ha contattato a Vilnius, dove vive, Guoda
Lomanaite una giovane ragazza di 28 anni. Si occupa di
comunicazione istituzionale in una banca ed è vicepresidente dello European Youth
Forum, il Forum europeo della gioventù, la “piattaforma” che unisce a Bruxelles
99 organizzazioni giovanili del continente (fra cui anche il Forum nazionale
dei giovani italiani).
Guoda, voterai per l’Europarlamento?
Certo che sì. Eleggere persone che ti
rappresenteranno è
fondamentale. E la cooperazione nell’Ue influisce sempre di più: non votare vuol
dire ignorare il proprio futuro.
Ciò che l’Ue
fa per i giovani è sufficiente, secondo te?
Se lo sia o meno è una questione... filosofica, su cui si
può stare a discutere.
Certo potrebbero essere migliorati i modi con cui noi giovani siamo coinvolti
nel prendere le decisioni. Devono entrare come principio, e non solo a livello
dell’Ue, dove lavora lo Youth Forum, ma anche nei singoli Paesi membri, per
esempio riconoscendo pienamente i consigli giovanili nazionali (per dire, in
Spagna il governo ha appena deciso di chiudere il suo) e a livello locale,
municipale, dove si decidono tante cose che ci riguardano.
Tre
anni fa hai guidato nel tuo Paese una campagna per la partecipazione giovanile
alle elezioni. Oggi un po’ in tutta Europa stanno crescendo i partiti
anti-europeisti (vedi a marzo in Francia). Accade anche da voi, che nell’Ue
siete entrati solo nel 2004?
Purtroppo anche la Lituania non è stata risparmiata da un trend di
retorica nazionalista. C’è molta
manipolazione populistica e quest’anno è particolarmente evidente: con un
referendum è partita una
proposta di legge per impedire agli stranieri di comprare terreni lituani.
Perché la gente dà retta a questa deriva?
Non lo fa per convinzione o per
scarsi livelli di istruzione, ma perché vede ancora l’Ue come qualcosa di staccato dalla vita di tutti i giorni.
Si fa ancora poco per mettere in evidenza il vantaggio reale, ogni giorno, di
stare nell’Ue attraverso il suo supporto economico e le sue politiche nel campo
dell’istruzione, della sicurezza, delle infrastrutture, dell’ambiente. <
La spinta nazionalista di Ukip – il partito
indipendentista inglese – potrebbe essere quella che traghetterà l’Inghilterra alle
elezioni europee di maggio. Secondo un sondaggio del quotidiano The
Independent, il partito di Nigel Farage supera in uno scatto finale tutti gli
altri, conquistando il 27% degli elettori.
Lontani i giorni in cui l’Ukip si attestava a
percentuali ininfluenti alle urne; ora il 26% dei Labour e il 25% dei
Conservatori (oltre al misero 14% del partito liberaldemocratico) guardano
preoccupati un movimento politico che sta diventato
trainante di sondaggio in sondaggio.
Per chi si chiedesse quale sia il cavallo di
battaglia del partito indipendentista, i suoi sostenitori – senza
dimenticare una chiara vocazione contro immigrati e omosessuali – griderebbero
che l’Ukip sta combattendo una proprio battaglia per l’uscita dell’Inghilterra
dall’Europa.
Sette inglesi su dieci
sono euroscettici
Tematiche, quelle portate avanti dagli euroscettici, che
sembrano far presa sui cittadini della regina. Il 61% degli inglesi, infatti,
dipinge l’Europa come una sanguisuga che sta prosciugando le finanze e la
qualità della vita
del Regno Unito. Risultato immediato, più della metà degli inglesi spera in una
vittoria delle forze euroscettiche alle prossime elezioni di maggio.
A rivelarlo è l’ultimo sondaggio di Ipsos MORI – il
secondo centro di analisi statistica più grande del Regno Unito – che sottolinea
come per il 67% dei britannici l’Unione Europea sia la scelta
sbagliata.
A rincarare la dose, sei inglesi su dieci ritengono che i tagli alla
spesa pubblica imposti dall’Unione abbiano portato a un
danno per l’economia d’Oltremanica. Dati alla mano, gli euroscettici della
regina infittiscono un esercito di quasi il 70% degli inglesi. Tra questi, il
28% vorrebbe uscire dall’Europa mentre il 40% vuole limitarne i poteri.
Sul fronte opposto, solo un misero
campione di elettori – che supera di poco il 13% – sventola
la bandiera dell’Unione come panacea per i disagi economici del Paese.
I partiti europei
Il panorama dei partiti politici britannici non riflette
il grado di euroscetticismo rilevato nell’elettorato, ma durante lo scorso anno
non sono mancati decisi segnali in tal senso. Uno di questi è stata l’approvazione,
a luglio 2013, da parte del parlamento inglese, di un referendum
sull’Unione Europea da tenersi entro quattro anni. L’iniziativa
è partita dal
principale partito di governo, quello Conservatore, che da sempre ha una
posizione moderatamente euroscettica.

Il Partito Liberal Democratico e quello Laburista
(rispettivamente, il centro e il centro-sinistra del parlamento inglese) sono
invece europeisti come i loro cugini
dell’Unione: i progressisti francesi, Spd
tedesco, i socialisti spagnoli e il Partito Democratico italiano. Come dimostra l’ultima dichiarazione di Ed Milliband – il nuovo leader laburista – che recentemente si è detto contrario al referendum contro l’Europa.
tedesco, i socialisti spagnoli e il Partito Democratico italiano. Come dimostra l’ultima dichiarazione di Ed Milliband – il nuovo leader laburista – che recentemente si è detto contrario al referendum contro l’Europa.
L’immigrazione al primo
posto
Chi fosse abituato ai dibattiti italiani fra europeisti
ed euroscettici, si stupirà nel vedere
come nel Regno Unito i temi infuocati siano
decisamente diversi da quelli presenti sui media italiani.
Mentre in Italia è messa in discussione la moneta unica, i vincoli di bilancio e in
generale le rigidità dell’Eurozona, in
Inghilterra – che negli anni Novanta decise di tenersi in tasca la sua sterlina
– il dibattito è in gran parte
concentrato su altri temi. Tra questi, in primo piano, l’immigrazione proveniente dall’Unione
Europea.

Nei discorsi di Farage, i migranti sono definiti
colpevoli di appropriarsi dei sussidi di
disoccupazione e dei benefici economici che sarebbero
destinati agli inglesi. Per questo motivo il partito spinge per un’uscita dall’Unione
Europea che permetta al Regno Unito di poter regolare l’immigrazione a proprio
piacimento, senza delegare poteri a Bruxelles.
Alleanze europee
Ancora sono incerte le alleanze che l’Ukip
stringerà nel nuovo
parlamento europeo dopo maggio. Ad oggi, a Bruxelles i deputati nazionalisti
inglesi sono nel Gruppo Europa della Libertà e della Democrazia (The Europe of
Freedom and Democracy Group), insieme alla Lega Nord e ad altri piccoli partiti
nazionalisti di tutta Europa.
La grande novità della nuova legislatura sarà probabilmente il
ruolo giocato dal Front National, il principale partito
euroscettico francese. La leader del movimento, Marine Le Pen,
si è già espressa
favorevolmente nei confronti del partito inglese, ma Nigel Farage non ha ancora
preso posizione sui colleghi francesi. La Lega Nord di Matteo Salvini, invece, ha già dato il suo
appoggio preventivo al Front National.
E nell’attesa che a Bruxelles il gioco delle parti
arrivi a conclusione, dal Regno Unito i partiti euroscettici sembrano essere sempre più forti, e marciare
fiduciosi verso il cuore dell’Europa. <