A tutto EXPO
di Ilaria Beretta A tutto EXPO Tra storia e prospettive Si accendono i riflettori sulla grande esposizione universale, ma nessun...
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di Ilaria Beretta
A tutto EXPO
Tra storia e prospettive
Si accendono i riflettori sulla grande esposizione universale, ma nessuno è in grado di dire come finirà la scommessa: un eccezionale palcoscenico per l’italica creatività oppure un enorme carrozzone cartonato di illusioni di rilancio dopo la crisi? Staremo a vedere. Di certo l’evento è mondiale. Non per nulla l’avventura di Milano 2015 è cominciata ben 7 anni or sono, quando l’ufficio parigino del BIE (Bureau International des Expositions), rappresentante 168 Paesi, ha preferito il capoluogo lombardo all’altra candidata, la turca Smirne. E la gigantesca macchina di Expo ha cominciato a macinare strada.
Cominciava la lotta contro il tempo, per essere pronti a tagliare il nastro dell’inaugurazione il 1° maggio 2015.
Una manifestazione di grande prestigio
Perché vale la pena fare tanta fatica? Fin dalla prima volta di Expo, a Londra nel 1851, fu evidente che il Paese organizzatore di un’esposizione universale acquistava un incomparabile prestigio internazionale, e inoltre coglieva un’irripetibile occasione per crescere. Allora gli architetti inglesi presentarono un progetto avveniristico: l’evento fu ospitato in un modernissimo palazzo di vetro, il Crystal Palace – circondato dal famoso Hyde Park – sistemato anch’esso per l’occasione.
Proprio il successo d’oltremanica spinse i francesi a rispondere – nel centenario della grande rivoluzione – con l’Exposition Universelle di Parigi del 1889, che lasciò in eredità alla città l’inconfondibile totem dell’evento: la Tour Eiffel. E così via: anche se si tratta di una mostra, più che di una fiera a intento commerciale, i benefici (anche economici) di ogni Expo non sono mai mancati; gli Stati invitati – all’inizio poche decine, oggi sono 144 – portano un gran numero di ospiti: diplomatici, giornalisti, imprenditori, turisti... E alberghi, musei, ristoranti ringraziano.
Anche a Milano da oggi a ottobre 5000 nuovi assunti, oltre a migliaia di volontari, lavorano nei diversi settori dell’accoglienza. L’enorme flusso di persone mette anche a dura prova trasporti e servizi pubblici, che devono essere all’altezza della situazione per evitare imprevisti e brutte figure; un aspetto fondamentale è poi quello della sicurezza, soprattutto nei nostri tempi di terrorismo globalizzato. Ecco perché l’organizzazione dev’essere impeccabile e il BIE promuove solo un’Expo ogni 5 anni, per massimo 6 mesi.
Andando a ritroso si parla dunque di Shanghai 2010, Aichi 2005 e Hannover 2000: ma tra un’esposizione universale e l’altra se ne organizza una più piccola e dal tema specializzato, detta internazionale, della durata massima di 3 mesi.
Una sorta di museo temporaneo delle conquiste tecnologiche e delle abilità nazionali, ma anche un luogo di ritrovo tra culture diverse: l’idea di organizzare un’esposizione universale venne per primo al principe inglese Alberto, prendendo spunto da manifestazioni a carattere nazionale in voga in Francia già dal 1798. Si trattava di grandi mercati in cui artigiani locali mostravano ai visitatori del circondario i propri prodotti tecnologici (nell’Ottocento i pezzi forti erano il telefono o il motore a scoppio, ma a Parigi anche il caucciù per fabbricare la gomma) e ne approfittavano per venderne qualche esemplare.
L'ultima Expo si è tenuta a Shanghai, in Cina, nel 2010 |
La prima Great Exhibition londinese fu invece più di una semplice vetrina: ben 6 milioni di persone, tra cui tantissimi stranieri, vollero toccare con mano le macchine del futuro.
Passando per città come Vienna, New York, Philadelphia, Chicago fino a Shanghai, ogni Expo ha coinvolto milioni di persone, mostrando quale avrebbe potuto essere il domani dei loro nipoti.
L’archeologia degli Expo
Ecco perché, per essere sempre più coinvolgente, Expo si è trasformata in uno spettacolo: luna park, show ed esibizioni sportive si sono affiancati alla mostra vera e propria. La gara a inventare la trovata più sorprendente è aperta da tempo e marca ancora oggi le ex città da esposizione. Dopo i mesi dedicati all’evento ogni rassegna lascia resti “archeologici” che diventano attrazioni: la prima ruota panoramica del mondo è stata costruita per l’Expo di Chicago 1893, a Budapest nella centrale Piazza degli Eroi rimane un villaggio contadino ricostruito ad hoc e veramente abitato durante i giorni dell’esposizione del 1896, a Philadelphia l’enorme Fairmount Park con tanto di zoo e orto esotico ricorda l’edizione 1876.
Nonostante molte costruzioni di Expo siano nate come temporanee e smontabili, infatti, non poche tra esse sono state integrate a furor di popolo nel panorama urbano. Il padiglione tedesco di Ludwig Mies van der Rohe, sparito dopo l’Expo di Barcellona del 1929, venne ricostruito tale e quale dagli spagnoli 50 anni dopo e ancora oggi campeggia in Plaça d’Espanya. A volte invece le costruzioni dei Paesi ospiti vengono riportate in patria: famoso è il caso dell’Urss, che in piena guerra fredda trasferì dall’America a Mosca il suo padiglione.
L’Expo ha lasciato un segno pure a Roma, anche se non c’è mai stata (l’esposizione si sarebbe dovuta tenere nella nostra capitale nel 1942, ma venne più volte rinviata e infine sospesa a causa della guerra): del progetto fallito rimane però l’Eur, un intero quartiere residenziale occupato oggi da uffici e abitazioni, tra cui anche le sedi di molti ministeri.
Le invenzioni del secolo
Ma i segni del passaggio di Expo non sempre sono visibili. Uno studio ha raccolto tutte le fortunate innovazioni presentate alla fiera e che poi ci hanno cambiato la vita. A Londra nacquero il revolver ma anche la prima gomma da masticare e le dentiere; alla prima di Parigi fece scalpore la presentazione dell’automobile firmata Carl Friedrich Benz: il vecchio motore a vapore lasciava posto a un derivato del petrolio che dal nome del suo inventore si chiamò benzina.
L’esposizione di Philadelphia inaugurò «l’Expo secondo l’America» anche presentando al mondo la salsa ketchup. Qualche anno dopo a Chicago – non era ancora arrivato il XX secolo – fecero la loro comparsa lavastoviglie, rullino per foto firmato Kodak e persino il tapis roulant.
A San Francisco nel 1915 venne attivata la Liberty Bell, ovvero una linea telefonica con New York che permetteva agli abitanti della Grande Mela di ascoltare il rumore dell’oceano Pacifico, senza contare dolci novità come gli americanissimi hot dog e lo zucchero filato. Nel 1958 a Bruxelles fu presentato il 305 Ramac: prototipo di computer in grado di rispondere alle domande di storia in diverse lingue. Peccato che fosse grande come un frigorifero...
Dalla tecnica all’ideale
Da vetrine di ritrovati scientifici ad arena di dialogo internazionale: così sono cambiate le esposizioni universali, in sincronia con il trasformarsi dello scenario politico mondiale. Già a Parigi 1937 il padiglione tedesco e sovietico si fronteggiavano proprio come avrebbero fatto pochi anni dopo; così lo spagnolo riportava le ferite di un Paese impegnato in una sanguinosa guerra civile. In effetti la Convenzione di Parigi 1928 che sancì la nascita dell’Expo vuole promuovere la cooperazione tra gli Stati e la risoluzione dei conflitti.
Anche le motivazioni sono cambiate nel tempo: dalla ricerca scientifica e dallo sviluppo industriale i temi centrali si sono allargati a questioni più generali come lavoro, salute, imperialismo, cultura. Ormai da mezzo secolo i progetti si concentrano sulle grandi problematiche del nostro tempo: già nel 1958 a Bruxelles si parlava di come riconvertire l’energia atomica in strumento di pace. Fu proprio il fermento e l’entusiasmo nato da Expo a convincere molte nazioni a costruire le prime centrali nucleari.
Un tema ricorrente negli ultimi anni è l’ambiente: Spokane, area presso Washington dove si tenne l’esposizione 1974, bonificò per l’occasione il fiume che scorreva vicino ai padiglioni. L’anno seguente in Giappone Okinawa organizzò un evento in difesa della flora e della fauna marina e costruì Aquapolis, città galleggiante sul mare! Dagli anni Duemila si sono moltiplicati le Expo “verdi”: 10 anni fa l’esposizione di Aichi promosse per prima la filosofia del riciclo e la presenza di un padiglione della marca automobilistica Toyota fece molto discutere.
Esporre in Italia
La tradizione delle esposizioni universali in Italia inizia invece nel 1906 sempre a Milano, quando il capoluogo lombardo era tecnologicamente all’avanguardia tanto che alla Scala si vedevano già avveniristiche lampade a incandescenza. Nell’occasione ci fu l’inaugurazione della ferrovia del Sempione che accorciava di ben 100 km il percorso per Parigi. L’opera ingegneristica segnava l’ingresso del nostro Paese nella modernità e divenne il simbolo dell’Expo, il cui ingresso riprendeva proprio l’architettura della galleria alpina. Nel capoluogo lombardo vennero riqualificate le due aree dell’attuale parco Sempione e della Fiera, in cui erano esposti mezzi di trasporto (oggi conservati nel Museo della Scienza e della Tecnica). I 24 Paesi partecipanti furono dislocati tra il Parco Sempione e l’ex piazza d’armi, collegate fra loro da una ferrovia sopraelevata. Anche i bambini ebbero un trenino: su 500 m di binari una locomotiva trainava persino un vagone ristorante dove con 15 lire si gustava la cioccolata!
Per il 50° dell’unità d’Italia (1911) l’esposizione torna nella Penisola, precisamente a Torino. L’ultima esposizione si è tenuta a Genova nel 1992, e l’enorme acquario ne è il principale souvenir.
La parola a Milano
L’attuale è l’Expo degli assaggi – almeno così dicono i numeri – , che parlano di almeno 150 tra ristoranti e banchi di street food compressi nell’area dell’esposizione. Già, perché prima di tutto a Milano 2015 si parla di cibo: non solo della tradizionale dieta mediterranea e della nostra buona cucina, invidiata da mezzo mondo, ma soprattutto delle nuove frontiere dell’alimentazione.
Lo slogan recita «Nutrire il pianeta, energia per la vita» e apre una discussione sulla mancanza di cibo in certe zone del globo e sulla cattiva educazione alimentare di altre, alternando nel piatto innovazioni creative e ricette sostenibili. Malnutrizione dunque ma anche obesità e malattie cardiovascolari.
L’idea è sensibilizzare al problema, oltre a presentare tecniche agricole e di gestione della filiera alimentare capaci di rallentare i cambiamenti climatici e lo sfruttamento della natura. Chissà che non succeda come a Chicago 1907: trattando di “purezza del cibo” quell’Expo costrinse le maggiori aziende alimentari a dare più informazioni e garanzie ai consumatori.
Ricostruire la città
Per ospitare i quasi 150 Paesi partecipanti, Milano ha risistemato un’area ampia quanto 140 campi da calcio nella zona nord-ovest della metropoli, verso Rho e Pero. Si tratta di una vera e propria città nella città, visto che gli architetti (nomi affermati ma anche giovani neolaureati) hanno disegnato il centro espositivo usando niente meno che il modello urbano dei villaggi romani basati su due strade perpendicolari, Cardo e Decumano.
Lungo il primo viale si affollano i palazzi delle regioni e delle province italiane; mentre sul decumano – tradotto all’inglese World Avenue – sono schierati i padiglioni nazionali. Il Palazzo Italia invece si affaccia sul lago Arena, struttura ingegneristica artificiale da cui partono le cosiddette “vie d’acqua”, un cordone intorno all’area Expo che la fa assomigliare a un’isola.
I visitatori attesi sono stimati in 29 milioni per i 6 mesi dell’evento. Alcune compagnie aeree hanno creato rotte ad hoc su Milano: in particolare Alitalia ha aperto la rotta Malpensa-Shanghai (visto che i cinesi puntano a dirottare su Expo 2015 un milione di visitatori) e ripristinato la Roma-Seul sospesa da oltre 20 anni. Altre alternative sono auto, treno o... piedi: alcune tratte del Naviglio sono state rimesse in sesto proprio per rendere percorribile la strada che fiancheggia il canale dal centro della città fino al sito dell’esposizione.
Expo ha mille stili
Oltre al Padiglione Zero, portale d’accesso e introduzione alla visita, che ospita le Nazioni Unite e la Best Practice Area, la raccolta delle migliori esperienze ed esempi sul tema della nutrizione, ci saranno cinque grandi Padiglioni:
1. Gestione sostenibile delle risorse naturali.
2. Aumento della quantità e miglioramento della qualità dei prodotti dell’agricoltura.
3. Dinamiche socio-economiche e mercati globali.
4. Sviluppo sostenibile delle piccole comunità rurali.
5. Modelli di consumo alimentare: dieta, ambiente, società, economia e salute.
C’è un’immensa serra di piante e arbusti (14.000 m2) chiamata Parco della biodiversità e il Future Food District, una specie di supermercato del futuro che mostra però anche la fattoria a monte della filiera. C’è un parco giochi per bambini e uno spazio per seguire la storia del cibo nell’arte.
I padiglioni nazionali sono costruiti a spese dei Paesi partecipanti. Il progetto è libero, purché siano previsti spazi aperti e una struttura a risparmio energetico. Per dare il buon esempio, il palazzo italiano è ricoperto da pannelli fotovoltaici inseriti nel vetro che lo trasformano in edificio a emissioni quasi zero. Persino lo speciale cemento bianco di rivestimento è mangiasmog: le particelle sporche dell’aria vengono attratte e depurate chimicamente.
I Cinesi invece, presenti con un padiglione statale e due di grandi aziende, hanno costruito uno Shitang, cioè un’enorme mensa per operai. Il Messico il suo padiglione l’ha avvolto in foglie di mais, mentre intagliatori del Nepal hanno scolpito a mano le colonne del loro edificio. Ma le vere “case ecologiche” sono i 132 distributori d’acqua (gratis e controllata) disseminati su tutta l’area: grazie a loro si risparmia una quantità di bottiglie di plastica e si promuove l’acqua come bene pubblico da rispettare.
Per venire incontro ai Paesi in via di sviluppo – che hanno poche risorse– la società di Expo ha inventato 9 Cluster, “grappoli” che raggruppano sotto lo stesso padiglione Paesi “simili”. L’Uzbekistan sta con la Guinea, perché entrambe le nazioni sono specializzate nella coltivazione di frutti e legumi... E Cuba si affianca alla Costa d’Avorio grazie al cacao, succulenta specialità condivisa.
Non tutto è rose e fiori
Ma dietro ai fasti dell’atteso evento internazionale si nasconde anche un lato amaro, fatto di scandali all’italiana e polemiche a catena. A confermare la presenza di mele marce nel sistema Expo è stata la Procura di Milano lo scorso maggio con l’arresto del dirigente di un’impresa edile collusa con la mafia. Ma sono poi finiti in manette altri imprenditori e anche faccendieri politici (di destra e di sinistra) che smistavano mazzette per favorire l’aggiudicazione di gare e persino il responsabile dei contratti di Expo.
Le indagini sul grande cantiere hanno scoperchiato un vaso di Pandora di affari illeciti che – a meno di un anno dall’inizio – rischiavano addirittura di compromettere l’evento. Infatti i lavori (già in ritardo) sono rimasti bloccati, tanto che i due terzi delle opere era ancora da consegnare a due mesi dall’inaugurazione. Per tenere d’occhio i lavori e prevenire altri scandali è stato aperto un portale di trasparenza (OpenExpo) e il governo ha nominato un apposito Commissario anti corruzione.
In realtà le difficoltà del grande evento sono per così dire fisiologiche. Basti pensare alla prima Expo londinese di due secoli fa: allora nessun progetto fu giudicato adatto dal principe Alberto, che alla fine si fidò del suo giardiniere (!) per mettere in piedi la sede dell’esposizione. Le costruzioni erano talmente in ritardo che gli operai lavorarono notte e giorno sotto la pioggia pur di evitare brutte figure. Anche a Parigi 1889, del pezzo clou della mostra – una ricostruzione della Bastiglia nel centenario della presa della fortezza – nel giorno previsto non si vedeva traccia.
Un altro genere di polemiche è stato scatenato alla notizia che l’esposizione universale sull’alimentazione avrà come sponsor le due multinazionali del cibo Coca-Cola e McDonald’s. Nonostante le puntualizzazioni delle multinazionali circa la «valorizzazione di tematiche quali l’equilibrio alimentare, l’importanza di una vita sana, di stili di vita attivi, nel rispetto di un ambiente sostenibile», a molti la scelta non è piaciuta.
Da parte sua Carlo Petrini, presidente Slow Food, l’esatta antitesi delle due multinazionali ha dichiarato: «Expo sembra trasformarsi sempre di più in un campo di battaglia. In un luogo dove i due volti del cibo – il sistema di produzione, distribuzione e consumo industriale e l’agricoltura familiare, i produttori di quel cibo che davvero è in grado di nutrire il mondo – saranno faccia a faccia, l’uno davanti all’altro». E conclude: «Expo 2015 si è posta un obiettivo ambizioso come pochi: interrogarsi su un tema cruciale qual è il nutrire il pianeta in futuro. In questa ottica, la presenza di McDonald’s suona più come un autogol clamoroso che non come una affermazione del diritto di confrontare liberamente le varie tesi, che Expo vorrebbe garantire».
Cosa resterà?
Il dopo Expo sarà d’autunno ma bollente. Perché le strutture nate tra mille vicissitudini sull’enorme campo di Rho-Pero fanno gola a tanti. In primis alle università milanesi (Statale e Politecnico, che ha collaborato alla progettazione del portico centrale), che sfrutterebbero gli ettari per un nuovo campus di ateneo. Ma l’assegnazione diretta sembra troppo ambigua per il patrimonio in palio e il Comune preferirebbe un concorso.
Tra i candidati ci sono già l’Assolombarda – che vuole fondarvi Nexpo, una specie di Silicon Valley italiana – e la vicina Triennale, che vi allestirebbe un’esposizione internazionale di architettura per il 2016. I padiglioni rimasti sarebbero perfetti anche per impiantare strutture paraolimpiche oppure per un centro di ricerca sull’alimentazione controllata. Di sicuro c’è che metà dei terreni diventeranno parco cittadino e 7 palazzi saranno convertiti in appartamenti da destinare a famiglie con reddito medio-basso.
Ma la vera eredità di Expo 2015 si chiama «Protocollo di Milano». Si tratta di un patto tra cittadini e superpotenze su alimentazione e sostenibilità. Da un anno e per tutta la durata dell’esposizione si può contribuire a definire i punti della Carta e persino sottoscriverla con una firma nei padiglioni dei Paesi aderenti. L’obiettivo è presentare il documento al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e fare una promessa: entro il 2020 gli sprechi di cibo nel mondo saranno dimezzati. E se questo non significa esporsi...
Una casa per Don Bosco
La Famiglia Salesiana, da sempre al lavoro tra i giovani, è ad Expo con il padiglione “Casa Don Bosco” per mettere al centro del tema i giovani, la vera e ineguagliabile energia per la vita. Non basta nutrire il corpo contro la fame, oggi urge educare e promuovere diritti e sogni dei ragazzi. Come insegna Don Bosco, infatti, i giovani “sono la porzione più preziosa e delicata dell’umanità”.
L’occasione è il Bicentenario della nascita del fondatore San Giovanni Bosco. Dopo i Salesiani di Don Bosco, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, l’Associazione dei Salesiani Cooperatori, l’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA), e i primi Exallievi, gruppi storici, gli ormai 30 gruppi della Famiglia Salesiana, rilanciano la loro missione da uno stand di 350 m2 coperti su un terreno di 750 m2, unico padiglione di una congregazione religiosa, che sarà presente per tutto il periodo dell’esposizione.
Intendono così contribuire, a partire dalla propria esperienza nei 130 Paesi del mondo in cui sono presenti, al dibattito internazionale sull’Agenda Post 2015, per «rimettere i giovani al centro dell’attenzione globale – ha affermato il Rettor Maggiore don Angel Fernández Artime – e far nascere nuove sinergie con diverse realtà di tutto il mondo».
Il tema “Educare i giovani, energia per la vita” si declina in tre sotto temi: nutrire il corpo, educare la persona, coltivare il sogno. A queste grandi intuizioni si ispirano eventi e iniziative organizzati nei sei mesi dell’esposizione.
Expo Milano 2015 sarà l’occasione per la Famiglia Salesiana di testimoniare il proprio approccio alla fame e alla malnutrizione che, di là della produzione e disponibilità di cibo, riguarda direttamente l’educazione integrale, umana e spirituale dei giovani, di cui la promozione e la protezione dei diritti di ogni persona sono elementi fondanti.
A firmare l’accordo a nome della Famiglia Salesiana di Don Bosco sono
state due ONG. La prima, DBN – Don Bosco Network è una federazione mondiale di 8 ONG salesiane la cui visione, missione e azione si basa sui valori e i principi espressi dalla tradizione salesiana di solidarietà con i più poveri e deboli. Il suo operato è volto soprattutto a favorire lo sviluppo e garantire i diritti umani dei gruppi vulnerabili, rivolgendosi in particolare a giovani e bambini/e a rischio di esclusione, attraverso azioni globali di educazione, formazione professionale e reinserimento sociale.
La seconda è una ONG italiana. Il VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo è nato in Italia nel 1986 ed è cresciuto nel mondo grazie all’impegno e alla passione dei volontari internazionali, ragazzi e ragazze che hanno deciso di partire per mettersi a servizio, con professionalità e dedizione, dei più deboli nel mondo. Presenti in oltre 40 Paesi del mondo e si occupano di solidarietà e cooperazione internazionale. “Insieme, per un mondo possibile” è il loro motto.
Dopo l’esposizione la struttura volerà in Ucraina. Diventerà luogo di accoglienza, educazione e centro di formazione professionale per centinaia di giovani.
Tutte le informazioni sul sito dedicato: www.expodonbosco2015.org/site/it<
In occasione di EXPO MILANO 2015 Don Angel Fernandez Artime, Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco pone l'attenzione sui valori e gli obiettivi alla base della nascita di CASA DON BOSCO.
https://www.youtube.com/watch?v=nAPUPPSMVeQ
In occasione di EXPO MILANO 2015 Don Angel Fernandez Artime, Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco pone l'attenzione sui valori e gli obiettivi alla base della nascita di CASA DON BOSCO.
https://www.youtube.com/watch?v=nAPUPPSMVeQ
30 GRUPPI DELLA FAMIGLIA SALESIANA OGGI
RispondiElimina1859_ Società Salesiana di San Francesco di Sales Salesiani di Don Bosco
1869_ Associazione di Maria Ausiliatrice
1872_ Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice
1876_ Associazione Salesiani Cooperatori
1889_ Apostole della Sacra Famiglia
1905_ Figlie dei Sacri Cuori Di Gesù e di Maria
1908_ Exallievi ed Exallieve di Don Bosco
1908_ Exallieve ed Exallievi di FMA
1917_ Volontarie di Don Bosco
1921_ Congregazione di San Michele Arcangelo
1931_ Suore Annunciatrici del Signore
1933_ Salesiane oblate del Sacro Cuore di Gesù
1937_ Suore della Carità di Gesù
1937_ Suore ancelle del Cuore Immacolato di Maria
1938_ Suore di Gesù Adolescente
1942_ Suore Missionarie di Maria Aiuto dei Cristiani
1948_ Suore Catechiste di Maria Immacolata Ausiliatrice
1954_ Figlie della Regalità di Maria Immacolata
1956_ Figlie del Divin Salvatore
1968_ Associazione Damas Salesianas
1973_ Discepole Istituto Seculare Don Bosco
1976_ Suore di Maria Auxiliatrix
1977_ Congregazione delle Suore della Resurrezione
1981_ Comunità della Missione di Don Bosco (CMB)
1983_ Le Suore della Visitazione di Don Bosco
1984_ Testimoni del Risorto – 2000
1994_ Volontari Con Don Bosco
2009_ Comunità di “Canção Nova”
2009_ Suore di S. Michele Arcangelo (Micaelite)
2011_ Le Suore della Regalità di Maria Immacolata