Boko Halal

di Ilaria Beretta Una coraggiosa risposta alle persecuzioni ai cristiani Boko Halal Contro la cieca violenza di Boko H...


di Ilaria Beretta




Una coraggiosa risposta alle persecuzioni ai cristiani

Boko Halal



Contro la cieca violenza di Boko Haram, fratel Fabio Mussi non smette di creare centri di formazione per giovani in Camerun. Perché solo la cultura rende liberi e indipendenti.



Un libro contro le bombe. Fratel Fabio Mussi, sessantenne brianzolo prestato alla terra africana come missionario laico del Pime, ci crede davvero: nell’estremo nord del Camerun si sta combattendo una battaglia “ad armi pari”. Non a caso per la sua insolita campagna Mussi ha inventato un motto provocatorio come “Boko Halal”, che nel dialetto locale significa “il libro è permesso”:  l’esatto contrario di “Boko Haram”, nome scelto dalla setta islamica – responsabile di molti atti di violenza in Africa – ad indicare invece che “l’istruzione è peccato”.

Insomma: mentre le azioni del gruppo integralista nigeriano contro la “cultura occidentale” procedono a colpi di mitragliatrici e bombe, Mussi e altri nove missionari della diocesi di Yagoua hanno deciso di difendersi dagli attacchi con lo schermo della cultura.

Un libro li sconfiggerà

L’idea è nata qualche anno fa: costruire nel Paese centri di formazione per bambini e ragazzi, così da favorire un clima accogliente che possa contrastare l’integralismo imposto dai Boko Haram. I fondamentalisti odiano l’istruzione, perché la cultura rende liberi e indipendenti; per loro basta un libro solo, da imparare a memoria e secondo l’interpretazione più bellicosa: il Corano. Logico dunque che una vera educazione, oltre ad essere strumento per il progresso e la crescita umana, diventi anche l’arma più adatta per combattere le scorciatoie della violenza.

Per questo l’anno scorso fratel Mussi – un gigante buono, mani grosse per il molto lavoro manuale e cervello fino di chi ne ha viste tante – ha aperto un liceo proprio nella “zona calda” di Kousseri, che si aggiunge alle 28 scuole tra materne, elementari e avviamenti professionali che esistono già nella diocesi camerunense, per circa 7000 alunni iscritti.

I più grandi di loro hanno volantinato in prima persona in favore del “Boko Halal” come stile alternativo alla strategia del terrore; senza contare che mandare i bambini a scuola vuol dire anche più praticamente sottrarli ai miliziani senza scrupoli, disposti ad assoldarli nelle loro bande o addirittura a utilizzarli come kamikaze inconsapevoli nei loro attentati.

In effetti il sogno di garantire un’istruzione di base a tutti è diventato ben presto una coraggiosa sfida al gruppo degli integralisti: per i quali non esiste scuola se non quella impostata sulla sharia, ovvero sulla rigida interpretazione della legge religiosa islamica. E non a caso molti attacchi terroristici operati dal movimento nella vicina Nigeria hanno avuto come bersaglio proprio degli studenti: come le 230 ragazze rapite in una scuola cattolica e ancora oggi disperse (vedi l’hashtag #bringbackourgirls).

Purtroppo non è tutto. Da sei mesi la situazione politica in Camerun sta velocemente peggiorando: il coprifuoco vige in tutta la regione e gli attacchi terroristici dei Boko Haram in Nigeria fanno scappare la popolazione oltreconfine. Molte ambasciate hanno chiesto ai propri cittadini di abbandonare l’area che ormai è considerata “zona rossa”. Fratel Mussi (con pochi altri missionari) è rimasto lo stesso per dare una mano nelle città frontaliere dove mancano acqua, alimenti e medicinali; ma sa bene di essere un possibile bersaglio degli attacchi proprio in quanto occidentale e cristiano.

Nei mesi scorsi sono stati rapiti alcuni religiosi europei, tra cui due preti vicentini e una suora canadese tenuti in ostaggio dal gruppo armato per oltre 50 giorni. Dopo questo episodio molti missionari sono stati fatti espatriare o spostati più a sud e anche Mussi ha dovuto cedere a qualche compromesso: per percorrere le strade (quasi tutte minate) ha bisogno della scorta di almeno 2 ma anche fino a 10 guardie!



Dalla Nigeria con furore

Il quadro è drammatico ma – complice anche la zona poco coperta mediaticamente – pochissimi ne parlano; lo scorso 7 gennaio, proprio mentre a Parigi due jihadisti compivano la strage nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, Boko Haram portava a termine l’uccisione di massa di 2000 persone: eppure quasi nessuno ne ha parlato…

La setta che predica “Il libro è peccato” è una sorta di Isis africano: nata già negli anni Ottanta a Maiduguri, nel nordest della Nigeria, come associazione di difesa di particolari interessi politico-economici, dal 2003 si è compattata intorno al califfo Abubakar Shekau con l’idea di creare uno Stato islamico sovraregionale, anche promuovendo attacchi ai danni dei poteri forti, tra i quali sono stati catalogati anche i cristiani.

Solamente negli ultimi sei mesi 185 chiese sono state distrutte e l’adesione all’ideologia di Boko Haram è in aumento. Anche perché questi uomini ben armati (a volte addirittura meglio dell’esercito regolare nigeriano) non lasciano alternative di scelta: perfino i musulmani moderati vengono sgozzati senza pietà ed è quasi impossibile uscire dal giro del terrore senza essere giustiziati.

Lo scorso 9 novembre, con un attacco simultaneo sferrato in sei luoghi diversi, Boko Haram ha scavalcato i confini per approdare in Camerun. All’inizio di gennaio nel villaggio di confine di Mabass i miliziani hanno preso in ostaggio 50 bambini; qualche tempo prima avevano sequestrato alcuni operai cinesi e persino la moglie del vicepremier camerunense.

Oggi dalla zona montagnosa dell’estremo nord i Boko Haram si stanno spostando a sud, perché il confine con il Ciad è bloccato proprio per interrompere i loro rifornimenti. In groppa a grosse moto assaltano case e mercati sparando raffiche su chi tenta di fermare la loro violenza: il risultato è che molti villaggi sono deserti e intere comunità musulmane – ritenute a priori collaborazioniste dei terroristi – sono diventate oggetto di rappresaglia. In soli due anni il 60% delle attività agricole e commerciali hanno chiuso i battenti e persino lo scambio di bestiame tra nigeriani e camerunensi ormai è un lontano ricordo.

Le missioni sono rimaste l’unica organizzazione privata ancora presente nella “zona rossa”. L’obbiettivo è aiutare i tantissimi nigeriani emigrati oltreconfine e assistere le popolazioni locali con viveri, medicinali e acqua. Ma si parla di 43 mila sfollati e gli aiuti bastano solo per 12 mila: donne, bambini, anziani e malati.

Il supporto del governo è inesistente, anche perché sul fronte orientale il Paese sta affrontando l’emergenza dei profughi centrafricani in fuga da un’altra sanguinosa guerra civile. La paura degli attentati e la situazione generale di allarme hanno messo sotto sopra l’intero Paese: molti giovani scappano o si arruolano tra i Boko Haram allettati da una buona paga.

Fratel Mussi mette le pezze dovunque può: prepara carichi alimentari di cereali, zucchero e olio e fa in modo che arrivino a destinazione, fa riparare i pozzi guasti e promuove la costruzione di altri per far arrivare acqua potabile nelle zone più colpite: un lavoro lungo, soprattutto perché le azioni belliche e le autorità militari ne rallentano la realizzazione.



La scuola di confine

Ma – al di là dell’emergenza – c’è la semina per un domani di pace. Secondo il missionario italiano la soluzione per invertire il flusso della violenza è solo una: costruire scuole e alimentare il futuro. Infatti tra le tante cose da fare fratel Fabio si ritaglia sempre un po’ di tempo per girare nelle classi e far disegnare ai bambini un’immagine della pace: molti scarabocchiano alberi o fiumi e spiegano che sono gli elementi stabili su cui costruire l’armonia.

Mentre il governo regionale impone il blocco delle attività scolastiche, il missionario (supportato dai genitori) manda da mesi i ragazzi a scuola nel villaggio di Blaram, un’isola del lago Ciad raggiungibile solo in barca, con i libri in una mano e la pagaia nell’altra.

Fino all’estate scorsa pensava addirittura di aprire una nuova scuola a Fotokol, città a pochi chilometri dal confine, dove genitori e autorità chiedevano da tempo un centro educativo, pur conoscendo benissimo i rischi dell’iniziativa; il progetto sarebbe partito già a settembre, ma l’esodo dei nigeriani in fuga dai feroci Boko Haram ha richiesto l’uso delle aule come campo profughi d’emergenza. L’anno scolastico è sospeso: ma solo per ora. Il libro non molla. <

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