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ELISA On (Sugar) Giunta sulle soglie dei fatidici anta, Elisa da Monfalcone è tornata sui mercati col suo nono album. Un lavoro c...


ELISA

On

(Sugar)

Giunta sulle soglie dei fatidici anta, Elisa da Monfalcone è tornata sui mercati col suo nono album. Un lavoro che suggella i suoi primi vent’anni di carriera, ma che, al contempo, dimostra la sua voglia di rilanciarsi su una dimensione più internazionale che mai.
Ne fa fede la ritrovata predilezione per l’inglese (solo due su tredici i brani in italiano), un manipolo di collaboratori internazionali, e le registrazioni avvenute anche a New York e Los Angeles.
Un disco dall’anima cosmopolita, alquanto gradevole, stilisticamente variegato, rifinito con un approccio che strizza un occhio più al mainstream da classifica che non a certe raffinatezze minimaliste del suo passato. In questo senso On somiglia più a uno dei classici best-seller da esportazione planetaria che non a un tipico prodotto italiano.
La nuova Elisa dà insomma l’impressione di voler oltrepassare la propria storia e le proprie radici anche a costo di mortificarle un po’; ma il prodotto è indubbiamente riuscito e convincente: sia quando scodella potenti pop-rock ballad che dove mette in mostra cadenze danzabili, neo soul, o elettroniche vagamente trip-hop.
È chiaro fin dal primo ascolto: On punta al bersaglio grosso, con giustificata ambizione e la convinzione di riuscire a centrarlo, offrendo così alla signora Toffoli il passaporto per un ulteriore salto di categoria.


 JEFF BUCKLEY

 You and I

 (Legacy)

L’indimenticabile Jeff ci ha lasciato quasi vent’anni fa in modo tragico e improvviso (un annegamento nei pressi di Memphis quando aveva appena trent’anni): di fatto con un solo album all’attivo, lo sfolgorante Grace che l’aveva imposto al mondo come una delle voci più intense e personali del cantautorato statunitense di fine millennio.

Ora saltano fuori queste scarne incisioni che risalgono al febbraio del ’93, ovvero agli albori della sua carriera. Una manciata di cover suggestive, come quelle della dylaniana Just like a woman o di Everyday People di Sly & The Family Stone, o nel paio di classici degli amati Smiths; in aggiunta, due splendide composizioni autografe, e fino ad ora inedite, che già lasciavano intuire il talento assolutamente puro di un fuoriclasse.
Certo l’album non fuga le perplessità su certe operazioni post-mortem (lo sfruttamento postumo del Nostro è tra i più intensivi), ma nulla toglie alla meraviglia che suscitano queste interpretazioni: era già tutto lì, e chissà quali altri tesori lo sfortunato Jeff – così come l’altrettanto talentuoso padre, Tim − avrebbe saputo regalarci senza quel tragico scherzo del destino.


 RON

 La forza di dire sì

 (Universal)

Tiene botta lo stagionato Rosalino Cellamare, in arte Ron. Ma continua a farlo a modo suo, senza esporsi troppo alle ribalte mediatiche, unendo creatività e solidarietà, levità e profondità; rafforzando l’immediatezza del miglior pop d’autore con un’ansia valoriale che, tocca riconoscerglielo, è da tempo componente essenziale del suo modo di fare musica.
In questo doppio cd lo troviamo schierato con l’AISLA (associazione da anni in prima fila nella lotta alla Sla), circondato dalla crema della nostra scena musicale, ad offrire – rivisitati in duetti − i classici del suo sterminato repertorio. Così ecco Non abbiamo bisogno di parole (in duetto con Pino Daniele), Il gigante e la bambina (con Jovanotti), Attenti al lupo (con Elio e le Storie Tese) e molte altre perle di un catalogo lungo quanto una carriera ormai quasi cinquantennale. Bello il disco, encomiabile il fine.

 ZAYN

 Mind of mine

 (Sony Music)

È una delle popstar più ascoltate al mondo e domina da mesi le sterminate platee di YouTube e Spotify: un anno dopo la sua coraggiosa (e traumatica, per i fan) fuoriuscita dai One Direction, il Nostro ha dunque riconquistato la ribalta fin da questa sua prima avventura solista.
Il dischetto sterza dall’ortodossia pop-rock dei vecchi compari verso l’RnB contemporaneo con la chiara ambizione – la stessa che fu a suo tempo di Robin Williams quando lasciò i Take That – di dimostrare al mondo e a se stesso di poter stare in piedi da solo. Tutto sommato, nuovo inizio più che promettente.

 FRANCESCO GABBANI

 Eternamente

 (Bmg)

Carrarese dell’82, il baffuto Francesco cavalca l’onda della vittoria fra i giovani all’ultimo Sanremo. Dopo un album passato inosservato nel 2013, qui dimostra d’aver altre cartucce da sparare oltre alla pluridecorata Amen che gli ha garantito il successo all’Ariston.
Le sue sono canzoni fresche, sorrette da un timbro vocale e una scrittura sufficientemente personale da fargli sperare di non far la fine dell’ennesima meteod tracra. Anche se il difficile, manco a dirlo, comincia adesso…

Raylamontagne

Ouroboros

(rca)

In Italia sono in pochi a conoscerlo, anche se Ray ha già sei album all’attivo, uno più bello e personale dell’altro. Malinconia e struggimenti rarefatti, filastrocche notturne, delicatessen per orecchie fini che dilatano il concetto di canzone, trasformandosi in un’unica avvolgente cascatella emozionale.
Originario del New Hampshire, LaMontagne ha una storia famigliare difficile e una lunga gavetta alle spalle, ma in quest’ultimo lavoro si dimostra cantautore di gran vaglia, uno di quei folk-rocker capaci d’emancipare le consunte convenzioni del genere verso un’espressività ben più raffinata e complessa: quella che trova i suoi padri nobili in Steve Stills e Tim e Jeff Buckley, ma anche in molto rock psichedelico e flower-pop degli anni Sessanta e Settanta.

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