Un inglese in Italia
Joan Peter Sloan Un inglese in Italia Avete presente quando si dice “parla come mangi”? A giudicare da quello che mangiano oggi i te...
https://www.dimensioni.org/2013/10/un-inglese-in-italia.html
Joan Peter Sloan
Avete presente quando si dice “parla come
mangi”? A giudicare da quello che mangiano oggi i teenager, che di notte fanno
la coda nei fast food made in U.S.A., l’inglese dovrebbero parlarlo (o meglio:
masticarlo) piuttosto bene.
Ma non è così! In pieno villaggio globale,
l’inglese resta un ancora materia indigesta per molti dei nostri ragazzi,
superata solo dalla matematica. Odio viscerale, sottovalutazione della sua importanza,
o approccio didattico sbagliato?
Un metodo di apprendimento basato sull’umorismo,
ecco il metodo di Joan Peter Sloan
Lo abbiamo chiesto a Joan
Peter Sloan, inglese innamorato dell’Italia
e guru dell’inglese imparato
divertendosi: un insegnante travestito da comico, diventato un’icona grazie al successo di Instant English,
un bestseller capace di vendere oltre 200.000 copie:
Da Zelig alla scuola d’Inglese di Milano: la tua ascesa è stata pressoché inarrestabile: quali sono le ragioni del tuo successo?
Secondo me si possono
riassumere in una sola parola: “sensibilità”. Vivendo nel vostro Paese, mi sono
accorto che nei confronti della lingua inglese gli Italiani avevano quasi
sempre lo stesso problema: una grandissima paura di sbagliare che li bloccava e
gli toglieva entusiasmo. Una volta individuata “la
malattia”, non è stato difficile mettere a punto “la cura”: e così, convinto che quando ci si diverte diventa
tutto più facile, ho ideato un
metodo di apprendimento basato sull’umorismo, dove si impara scherzando e non ci si demoralizza.
Quindi, dire Italiani e dire inglese non sarà più considerato un ossimoro...
Spero proprio di sì: a me sembra che fino ad ora, in Italia, l’apprendimento dell’inglese
non abbia avuto l’importanza che merita. Se ci pensiamo bene,
infatti, imparare l’inglese è vitale: e non solo per fare bella figura con gli amici.
Gli italiani devono accettare la dura realtà: 1) l’italiano è una lingua nobile e bellissima, ma che oggi non
serve quasi a nulla; 2) senza l’inglese,
ormai, non si va da nessuna parte: il mercato del lavoro si è globalizzato e la sua lingua è l’inglese.
Ci sono un paio di settori in cui gli Italiani,
forse perché costretti, usano (invero piuttosto male) la
lingua anglosassone: quello tecnologico...
Magari all’orecchio italiano potrà suonare un tantino fastidioso, ma io dico:
più spesso si usa l’inglese, meglio è. Certo, eccessi come la mail che ricevetti
qualche anno fa (ti ho forwardato il report del meeting dello scorso weekend)
sono quasi ridicoli; ma in genere io incoraggio le persone ad utilizzare l’inglese in tutte le occasioni possibili, perché è il
modo più efficace per impadronirsi
della lingua.
L’inglese a scuola: che cosa cambieresti per rendere l’insegnamento più efficace e l’apprendimento più piacevole?
Parecchie cose. Non per
farmi pubblicità, ma la mia scuola, che ho
aperto a Milano Sei all’inizio del
2012 (http://www.jpscuola.it), propone un
modello di insegnamento completamente diverso da quello scolastico: grazie agli
strumenti del teatro comico, riesce a coinvolgere gli studenti, consentendo loro
di apprendere in modo più
piacevole e veloce. Intendiamoci: io non voglio certo sostituirmi alle scuole
pubbliche, ma un cambiamento di rotta è necessario.
Mi riferisco, in particolare, a due aspetti: 1) iniziare l’insegnamento dell’inglese
a sei anni, quando l’imprinting linguistico è già
avvenuto, è un errore gravissimo; 2)
gli insegnanti italiani – e ne ho
conosciuti parecchi, nei seminari che ho tenuto – sono
preparati e volenterosi, ma il loro metodo di insegnamento lascia alquanto a desiderare:
il Ministero deve mettersi in testa che l’approccio accademico
è diventato controproducente,
che l’importante è saper comunicare.
I giovani e l’inglese: come lo parlano i nostri ragazzi, rispetto alla
media europea?
I ragazzi italiani se la
cavano piuttosto male. E le statistiche, purtroppo, mi danno ragione: siete
agli ultimi posti, dietro persino al Kazakistan. Le cause, a mio parere, sono
molteplici: a parte le responsabilità della
scuola, in Italia (al contrario di Olanda e Germania) non si sfrutta il potenziale
della tv pubblica, che, proponen do
programmi in lingua straniera, potrebbe aiutare i bambini ad imparare l’inglese gratuitamente. Ma voi Italiani
siete maestri di scuse, ne avete sempre una pronta: come quella che per
Tedeschi e Olandesi imparare l’inglese sarebbe più facile. Non è assolutamente vero: lo conoscono meglio perché lo studiano meglio. In Italia si sprecano
troppe opportunità. Basti pensare ai
fortunati che hanno la possibilità di andare
a fare una full immersion in Gran Bretagna e poi si stabiliscono a Londra, dove
la vita è costosissima e la lingua
non si impara, perché lì è pieno di Italiani: e
infatti, quando tornano a casa, l’inglese lo parlano peggio di prima.
Ogni anno tanti giovani lasciano l’Italia per andare a cercar fortuna in Inghilterra: come sono
considerati gli italiani in Gran Bretagna?
Al contrario di quello che
si pensa, gli inglesi non detestano gli Italiani: questa sensazione dipende dal
fatto che, purtroppo, si tende ad identificare l’Inghilterra con Londra, una città dove nessuno straniero è veramente benvenuto, perché gli abitanti sono soffocati dal turismo di massa. In
realtà gli Inglesi, oltre alla
genetica incompatibilità con gli Scozzesi, hanno
qualche problema soltanto con Francesi e Tedeschi: l’Italia, invece, è arte, cultura e delizie enogastronomiche, e
quindi, per loro, rappresenta una sorta di paradiso. Il consiglio che rivolgo ai
giovani che hanno intenzione di emigrare in Gran Bretagna, pertanto, è questo: lasciate perdere Londra e andate nel Nord del Paese,
dove il costo della vita è molto
inferiore, la lingua si impara meglio e sarete considerati alla stregua di miti
viventi: aprite una pizzeria o un ristorante da quelle parti e, se ci sapete
fare, il successo è garantito.
Il tuo nuovo spettacolo si intitola Culture shock:
an Englishman in Italy. Adesso che hai superato lo shock culturale, puoi dirci
tre cose che ami e tre cose che detesti dell’Italia?
Cominciamo dalle cose che
amo – e che da anglosassone un po’ invidio: innanzitutto la libertà emotiva degli uomini italiani, che non si fanno problemi
ad abbracciare gli amici, o a baciare i parenti (cosa impensabile da noi); in secondo
luogo, la mentalità molto più materna delle donne italiane; e infine,
ovviamente, la creatività delle
persone italiane, che per me sono il vero spettacolo dell’Italia. Tra le cose che detesto, al primo
posto metterei il maschilismo della società italiana, con le donne ormai ridotte ad oggetti sessuali
da sbattere in copertina, o in TV, il più
svestite possibile; poi la puntualità, troppo
scarsa per i miei gusti: ricordo una ragazza con cui sono uscito che mi disse “smettila di chiamarmi ogni mezzora... ti
ho detto che arrivo tra cinque minuti!”; infine l’individualismo: ci sono troppi furbi, in Italia, che pensano soltanto
al proprio interesse a spese della collettività. Ma a mio parere è anche
per questo che siete in crisi: se foste più uniti e solidali, ne sono convinto, l’Italia sarebbe number one in Europe.
Carlo Mantovani