Attenti a quei jeans
Sapevate che i pantaloni scoloriti possono uccidere chi li produce? Con un occhio alla moda e un altro alla salute, impariamo a ves...
https://www.dimensioni.org/2013/11/attenti-quei-jeans.html
Sapevate
che i pantaloni scoloriti possono uccidere chi li produce? Con un occhio alla
moda e un altro alla salute, impariamo a vestirci con rispetto verso gli altri.
Skinny, leggings, extra-large o tappezzati di brillantini.
La scelta è infinita, ma la realtà è una sola: i pantaloni più famosi del pianeta possono uccidere chi li produce.
L’aspetto “invecchiato”
del denim si ottiene sparando potenti getti di sabbia sulla
stoffa attraverso bocchettoni manovrati manualmente: nell’impatto
con il tessuto, le particelle di sabbia si trasformano in polveri microscopiche
che vengono inalate dagli operatori e, in un arco temporale dai sei ai
ventiquattro mesi di esposizione costante, provocano la silicosi, una malattia
irreversibile, incurabile e mortale.
La sabbiatura è un processo relativamente nuovo per l’abbigliamento, presa a prestito dall’industria mineraria e delle costruzioni. Dopo
essere stata vietata dalla comunità economica europea nel 1966 a causa degli
elevati rischi per la salute, l’industria della moda ha
delocalizzato la sua produzione in realtà prive di regolamenti in materia e dove il
costo del lavoro è
minore.
Solitamente, infatti, questo trattamento
viene affidato a piccoli laboratori che operano nei Paesi poveri, come
Bangladesh, Egitto, Cina, Turchia, Brasile e Messico, ma non si esclude il
coinvolgimento di alcune imprese europee e italiane. Eppure l’alternativa esiste, visto che l’effetto
invecchiato può
essere ottenuto in modi più sicuri.
COSA POSSIAMO FARE NOI
Quando acquistiamo un paio di jeans, è piuttosto difficile distinguere i modelli
trattati manualmente da quelli sottoposti a sabbiatura meccanica oppure
trattati con altri metodi. Non potendo effettuare una scelta consapevole, la
Clean Clothes Campaign invita a partecipare attivamente a un appello
internazionale: basta collegarsi al sito www.abitipuliti.org e scegliere tra le
varie possibilità di
adesione (si va dalla donazione a sostegno della campagna ad azioni attive sul
nostro territorio). In generale, quando si tratta di abbigliamento, non devono
solamente brillarci gli occhi davanti a un capo che ci piace, ma bisogna imparare
a vestire “critico”, cioè consapevole.
Nel camerino di prova non va guardato solo “come mi sta”, ma anche valutato tutto ciò che sta dietro a quel capo: le condizioni di
vita di chi lo ha cucito, il rispetto della sua dignità e il successivo destino dell’abito, in modo che non vada solamente ad affollare la già enorme mole di rifiuti. Questo non significa
penalizzare l’estetica, che rimane il prerequisito essenziale
anche per “l’altra moda”: vestirsi in modo consapevole deve essere innanzitutto un piacere e
non un obbligo morale.
C’È ANCHE UNA FIERA…
Su questi temi così importanti, ogni anno a Milano (nel mese di
ottobre) viene organizzato “So critical so fashion” (www.criticalfashion. it), il primo evento in Italia interamente
dedicato alla moda fatta di sapere e principi etici.
Capi e accessori presentati a ogni edizione – confezionati da stilisti, artigiani e produttori indipendenti – sono il risultato di una precisa ricerca di materiali (riciclati o di riuso, filati biologici o naturali, materie prime organiche, tinture vegetali), del recupero di antiche tradizioni e di un processo produttivo attento all’impatto ambientale.
La prima regola della moda critica? Dire no al “fastfashion”, cioè alle proposte veloci, in continuo aggiornamento, e tornare al concetto del capo fatto per durare o, per lo meno, destinato a essere ritrasformato in indumenti o accessori nuovi”.
Capi e accessori presentati a ogni edizione – confezionati da stilisti, artigiani e produttori indipendenti – sono il risultato di una precisa ricerca di materiali (riciclati o di riuso, filati biologici o naturali, materie prime organiche, tinture vegetali), del recupero di antiche tradizioni e di un processo produttivo attento all’impatto ambientale.
La prima regola della moda critica? Dire no al “fastfashion”, cioè alle proposte veloci, in continuo aggiornamento, e tornare al concetto del capo fatto per durare o, per lo meno, destinato a essere ritrasformato in indumenti o accessori nuovi”.
LA MODA È FATTA DI CHIMICA
Oltre a chi lo produce, l’abbigliamento può danneggiare anche noi. Ogni guardaroba
nasconde una valanga di insidie invisibili nelle numerose sostanze tossiche
che, purtroppo, non vengono segnalate da un odore o una colorazione
particolare.
Pensate di non correre rischi perché usate solamente tessuti naturali, come cotone, lana, seta e lino? Sappiate che, nella filiera produttiva delle fibre di derivazione animale o vegetale, vengono usati pesticidi, diserbanti, fertilizzanti e antiparassitari.
Ma il bagno nella chimica continua con i coloranti, gli ftalati usati per realizzare le stampe plastificate, i prodotti usati per conferire sofficità, mantenimento della piega, impermeabilità o resistenza dei colori (tra cui molte resine che liberano formaldeide) e poi conservanti, antimuffa, ignifuganti e biocidi usati durante il trasporto finale.
Pensate di non correre rischi perché usate solamente tessuti naturali, come cotone, lana, seta e lino? Sappiate che, nella filiera produttiva delle fibre di derivazione animale o vegetale, vengono usati pesticidi, diserbanti, fertilizzanti e antiparassitari.
Ma il bagno nella chimica continua con i coloranti, gli ftalati usati per realizzare le stampe plastificate, i prodotti usati per conferire sofficità, mantenimento della piega, impermeabilità o resistenza dei colori (tra cui molte resine che liberano formaldeide) e poi conservanti, antimuffa, ignifuganti e biocidi usati durante il trasporto finale.
TUTTE LE REGOLE
Nel libro-inchiesta “Vestiti che fanno male. A chi li indossa, a chi li produce” (Terre di Mezzo Editore), l’autrice Rita Dalla
Rosa raccomanda di prestare attenzione ai prodotti di marche sconosciute,
troppo economiche, vendute senza particolari garanzie e prive di indicazione
del luogo di produzione.
Meglio prediligere le case note e distribuite all’interno della rete ufficiale oppure, nel caso di marche ignote, recarsi presso un negozio di fiducia.
Ma la vera carta d’identità di un capo d’abbigliamento è l’etichetta, che – per legge – deve dichiarare con quali fibre è fatto: le sigle più diffuse sono CO (cotone), PES (poliestere), LI (lino), PA (nylon), WO (lana), PAN (acrilico), SE (seta), PP (polipropilene), CV (viscosa), EL (elastan). Un’etichetta “fatta bene” è il primo indice di serietà del produttore. Altri piccoli trucchi sono: prediligere i toni chiari e il bianco, comprare europeo (truffe a parte, le normative sono più stringenti), lavare sempre i capi nuovi prima di indossarli. Dopo aver girato per il mondo, un
Meglio prediligere le case note e distribuite all’interno della rete ufficiale oppure, nel caso di marche ignote, recarsi presso un negozio di fiducia.
Ma la vera carta d’identità di un capo d’abbigliamento è l’etichetta, che – per legge – deve dichiarare con quali fibre è fatto: le sigle più diffuse sono CO (cotone), PES (poliestere), LI (lino), PA (nylon), WO (lana), PAN (acrilico), SE (seta), PP (polipropilene), CV (viscosa), EL (elastan). Un’etichetta “fatta bene” è il primo indice di serietà del produttore. Altri piccoli trucchi sono: prediligere i toni chiari e il bianco, comprare europeo (truffe a parte, le normative sono più stringenti), lavare sempre i capi nuovi prima di indossarli. Dopo aver girato per il mondo, un
viaggio in bacinella è d’obbligo.
Paola
Rinaldi