La salvaguardia del Creato
Il rispetto per l’ambiente da parte dei giovani passa attraverso la famiglia. Essa è la principale “agenzia” educativa che può svilupp...
https://www.dimensioni.org/2014/01/la-salvaguardia-del-creato.html
Il rispetto per l’ambiente da parte dei giovani passa attraverso
la famiglia. Essa è la principale “agenzia” educativa che può sviluppare una
sensibilità ecologica.
«Alberto, per
favore, non lasciare scorrere così a lungo l’acqua mentre ti lavi, la sprechi e
consumi gas inutilmente». «Sì, mamma, ho capito», risponde il figlio
adolescente arcistufo di sentirsi dire sempre le stesse cose: il cibo non va
buttato, le cose rotte si aggiustano, non si lascia la luce accesa se non ne
hai bisogno, ecc. ecc.
Non ne può più perché lui, che trascorre la sua vita tra studio,
cellulare, computer e televisione, non riesce a cogliere pienamente il
significato delle lezioni di ecologia di cui sono prodighi genitori e scuola.
Perché lui, che vive in un ambiente urbanizzato e vede più case che
montagne, non riesce proprio a condividere quello “stupore” per la natura di
cui gli parlano l’insegnante di religione e la mamma rompiscatole che cerca
sempre di portarlo a scarpinare o a passeggiare nei boschi.
«Ma cos’è ’sto stupore che dovrei provare? Stupore per cosa? Perché
dovrei stupirmi?» chiede Alberto. E vagliela a spiegare la differenza, per un
cristiano, tra natura e creato, tra la salvaguardia dell’ambiente inteso come
insieme di risorse che non vanno sprecate o distrutte e la “custodia” di un
mondo meraviglioso che Dio ci ha donato. Difficile da spiegare perché non se ne
parla abbastanza, perché le stesse comunità cristiane faticano a trovare forme
nuove per far guardare alla natura come creazione.
Il “patrono dell’ecologia”
Un’interessante ricerca promossa alcuni anni fa tra le Conferenze
episcopali europee dalla Fondazione Lanza (nata nel 1988 in seno alla diocesi
di Padova come spazio di riflessione etica nel delicato dibattito fede-cultura)
sottolineò proprio la necessità di approfondire i fondamenti teologici
dell’azione ecclesiale per l’ambiente.
L’indagine, i cui risultati pubblicati nel 2007 sono ancora attuali,
rilevava inoltre una certa differenza tra la consapevolezza dei problemi e le
azioni concrete; le sempre più diffuse pratiche di formazione a nuovi stili di
vita solo in pochi casi hanno prodotto reali trasformazioni nel segno della
sostenibilità ambientale.
Insomma, su questo fronte la Chiesa ha ancora tanta strada da fare, a partire
dal recupero di temi profondamente legati alla tradizione e alla prassi delle
comunità cristiane. «Il punto – spiega lo scienziato e teologo prof. Simone
Morandini della Fondazione Lanza – consiste nel tener viva la sensibilità che
era di San Benedetto, di San Francesco, di Ildegarda di Bingen o, prima ancora,
dei salmisti: ogni cosa ci è data perché possiamo gioirne e coltivarla, ogni
cosa ci è data per essere responsabili e lasciarla ad altri, dopo di noi,
altrettanto buona e bella».
E allora, caro Alberto, se vuoi dare una risposta alle tue domande prova
a rileggere lo stupore di San Francesco, proclamato da Giovanni Paolo II
“patrono dell’ecologia” perché «ha onorato la natura come un dono meraviglioso
dato da Dio al genere umano». Uno stupore intessuto di gioia che il santo ha
voluto mettere in versi, in preghiera, con il suo Cantico delle Creature in cui ringrazia Dio per il dono
ricevuto e chiama fratello e sorella tutto ciò, compresi gli animali selvatici,
che esiste per volontà dello stesso Dio creatore.
La crescente attenzione della Chiesa per i problemi ambientali è
documentata dalle sempre più numerose iniziative con cui le comunità cristiane
puntano a mettersi in “rete” tra di loro e con la società civile, per
individuare una comune responsabilità.
Responsabilità che spinge a riflettere, a interrogarsi, a coinvolgere
tutti coloro che possono fare molto perché il creato venga rispettato,
salvaguardato, custodito per chi verrà dopo di noi.
Nella sua enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI scriveva che «la famiglia è il primo ambiente in cui si
impara la responsabilità verso le generazioni future». È il luogo privilegiato
in cui, prima ancora delle scelte quotidiane (riscaldamento, illuminazione,
consumi, trasporti…), si coltivano e si nutrono gli atteggiamenti fondamentali.
La cultura dello scarto
Ma come può la famiglia diventare una scuola per la custodia del creato e
la pratica di questo valore? È la domanda posta nel documento preparatorio per
la 47ª Settimana sociale dei cattolici che si è svolta a Torino nel settembre
scorso. Un documento che sottolinea come la cultura della custodia che si
apprende in famiglia si fondi sulla gratuità, sulla reciprocità e sulla
riparazione del male.
La prospettiva della gratuità del dono «fa cambiare lo sguardo sulle
cose. Tutto diventa intessuto di stupore. Da qui sgorga la gratitudine a Dio».
La famiglia, inoltre, ha un’importanza decisiva nella costruzione di relazioni
buone con le persone, perché in essa si impara il rispetto della diversità, ci si
riconosce l’uno dono per l’altro (reciprocità).
E in famiglia si impara anche a «riparare il male compiuto da noi stessi
e dagli altri, attraverso il perdono, la conversione, il dono di sé; si
apprende l’amore per la verità, il rispetto della legge naturale, la custodia
dell’ecologia sociale e umana insieme a quella ambientale».
Sia la Settimana Sociale sia l’edizione 2013 della Giornata per la
custodia del creato, che dal 2006 la Chiesa italiana celebra il 1° settembre,
hanno individuato la famiglia quale principale “agenzia” educativa che può
curare non solo il rapporto con l’ambiente ma anche quello con gli esseri
umani. Perché l’“ecologia umana” è strettamente collegata a quella ambientale.
Papa Francesco, all’Udienza generale del 5 giugno scorso: «Noi stiamo
vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo
vediamo nell’uomo… Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità
comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come
valore primario da rispettare e tutelare… Una cultura dello scarto che ci ha
reso insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora
più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e
famiglie soffrono fame e malnutrizione».
Parrocchie sostenibili
La Chiesa si sta dunque impegnando, si sta preparando a scendere in campo
con più energia e decisione, sta individuando le strade percorribili per
sviluppare e diffondere con azioni concrete i nuovi stili di vita. E in questo
percorso si colloca una ricerca avviata da poco per scoprire quanto sono
ecologicamente sostenibili le parrocchie italiane.
Il progetto, sostenuto dalla Pastorale universitaria del Vicariato di
Roma, è realizzato dal Centro di ricerche in scienze ambientali e biotecnologie
(Cesab), dall’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e dal corso di laurea in
Scienze della comunicazione dell’università Lumsa.
Secondo Ercole Amato, presidente del Cesab, si tratta di «un’attività di
ricerca che a questo livello non è stata mai realizzata in Italia e nel mondo.
Ma è fondamentale per comprendere bene quale sia il livello di diffusione tra
le comunità parrocchiali dei concetti relativi alla salvaguardia del creato e
all’ecologia umana, secondo gli insegnamenti della dottrina sociale della
Chiesa, stimolando i parroci ad applicare tali concetti nel concreto attivando
processi virtuosi nella gestione dei beni ecclesiastici.
Non ci concentreremo solo sulle parrocchie ma anche sui centri della
sanità religiosa, sulle scuole cattoliche, sulle case per ferie e sui centri di
aggregazione. Chiederemo ai parroci quale attenzione ripongono alle tematiche
ambientali durante il loro apostolato, e quale approccio abbiano le comunità
parrocchiali rispetto all’ambiente e all’ecologia».
La ricerca è partita da Roma e si allargherà ad altre diocesi italiane.
Siamo curiosi di conoscere i risultati.