A ogni cosa il suo suono
di Ilaria Beretta Le nuove strade della comunicazione sonora A ogni cosa il suo suono Esperimenti di registrazione ed elaborazione ...
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Le nuove strade della comunicazione sonora
A ogni cosa il suo suono
Esperimenti di registrazione ed
elaborazione elettronica trasformano in musica ogni oggetto, meglio se
riciclato, e ogni rumore. Così tutto può diventare un’opera musicale.
Che suono ha un panino al prosciutto?
Matthew Herbert, inglese, 40 anni
suonati, di mestiere fa il musicista e sa qual è il suono di un panino al
prosciutto. Anzi, visto che la cosa interessa a pochi, Herbert è diventato un
vero e proprio guru in materia. Tanto
che di vibrazioni, urli, strilli è il
massimo esperto. In effetti l’esperienza musicale non gli manca, avendo
lavorato spalla a spalla come remixer di “pezzi grossi” del genere, per esempio
il compositore italiano Ennio Morricone.
Ma è stato l’interesse per scricchiolii,
graffi e strida che alla fine ha prevalso sulle note tradizionali. Sì, perché
Matthew Herbert ha già prodotto una lunga serie di album contenenti veri e
propri rumori creati dalle cose.
Funziona così: si sceglie un soggetto, si
accende il registratore, se necessario si amplifica il volume, poi si riavvolge
il nastro et voilà. Così ad esempio
nasce Tesco (del 2012), le cui tracce
sono suoni provenienti dagli scaffali di
una catena di supermercati inglesi. Ecco quindi l’accartocciarsi frenetico
di sacchetti di patatine (che ovviamente fanno un suono diverso a seconda della
marca), l’esplosione di una bibita gasata o il franare di una pila di piatti in
ceramica.
Insomma, l’idea è quella di prendere
qualcosa di temporaneo, esaminarlo, ascoltarlo e trasformarlo – grazie alle
magie della musica elettronica – in un “oggetto sonoro”. Nessuna meraviglia
quindi se in Plat du jour ci si
imbatte in tutti i rumori della catena alimentare catalogati uno per uno.
I rumori del Duemila
Certo, a qualcuno sembrerà un lavoro da
matti. In realtà le scelte del compositore inglese non sono affatto senza
senso. In un’intervista rilasciata al quotidiano britannico The Guardian Herbert rivelava: «Non puoi
leggere dell’occupazione israeliana di Gaza e non voler amplificare quella
storia. Mi sento costretto a raccontarlo in musica». Prendere un rumore vero ed emblematico può
risultare più efficace di un libro, di un articolo o di una foto per affrontare
e – perché no? – risolvere le sfide del nostro millennio.
C’è un suono per parlare di cambiamento
climatico, di crisi economica, di dipendenza dal petrolio, di consumismo e di
guerre violente. Il lavoro di Herbert sta qui: cercare un rumore, renderlo
udibile e con microfono e sampler aumentarne il volume e l’incisività.
Sbom!
Cinque anni dopo quella dichiarazione,
Herbert lavora al suo prossimo cd. Sarà un tremendo boato, un rumore di protesta contro la disinformazione mondiale e il
mutismo dell’industria musicale, che produce a raffica sottofondi per
pubblicità, ma quasi mai temi su cui riflettere. Il suono è l’esplosione di una bomba in Libia,
rimasto intrappolato per caso nel registratore del reporter inglese Sebastian
Meyer, poi incappato in Herbert.
Zitti, suona il silenzio
Una scelta di forte denuncia, di certo non destinata ad aumentare le vendite o
a compiacere il pubblico. Qualcosa di simile alla filosofia di John Cage, che
oggi avrebbe 101 anni, a cui piaceva molto fare esperimenti musicali,
indipendentemente dal successo – che poi ebbe, tra l’altro.
Studiando il concetto di silenzio,
chiuso per giorni in una stanza insonorizzata, produsse l’opera irriverente 4’33’’ in cui l’esecutore (sia un
pianista, un violinista o un trombettista) non suona il suo strumento per 4
minuti e 33 secondi, ma lascia spazio ai
rumori del momento. I mormorii in sala, il battito del suo cuore, il
traffico della strada entrano di botto nell’opera d’arte e – dopo un attimo di
sconcerto – fanno pensare.
Cambiare la qualità dell’ascolto e
togliere l’individualità dei grandi della musica del passato dalla melodia: la tecnica aleatoria (letteralmente “del
caso”) dell’americano consiste proprio in questo. Imaginary landscape no. 4 ad esempio è eseguita da due tecnici che
sintonizzano la frequenza e cambiano il volume di dodici radio, leggendo la
stessa partitura ma ogni volta producendo un risultato diverso.
Un po’ matti
Creativi,
provocatori, a volte un po’ Don Chisciotte. I musicisti sono così. Tanto che un pizzico di stranezza nella vita
sembra anche il segreto del loro mestiere.
Il
sassofonista americano Steve Lacy, ad esempio, si mise in testa di trovare la
musica primordiale per le strade di Roma. Qui acciuffava letteralmente qualche
senzatetto particolarmente artistico, lo portava in un appartamento, gli insegnava
a emettere suoni. Dopo un paio di giorni si sentivano pernacchie, fischi e
barriti: così da quelle stanze uscì un lp, intitolato non a caso Roba.
Musica spazzatura
Insomma, a
fare casino ci provano in molti, soprattutto i ragazzi, che nella musica
contemporanea si riciclano benissimo. È il caso dei Miatralvia, cinque studenti della cooperativa sociale Lunezia con
sede in provincia di Mantova, che con un po’ di colla, chiodi e creatività,
hanno messo in piedi una band di
successo.
Da loro tutto suona benissimo: coperchi di
bidoni della spazzatura, una scopa con delle corde stile chitarra... in un
attimo persino un tubo del wc può diventare uno strumento a percussione!
Il «non
buttarlo via» - questo il significato del nome della band – è un imperativo di vita per i Miatralvia,
che riciclano e suonano un (ex) sacco di spazzatura. Ne escono suoni un po’
zoppi e precari, sempre imprevedibili e diversi. Il bello però sta proprio nel saper improvvisare, visto che qui il la da diapason non esiste. Oltre al
fatto che capita spesso che lo strumento si spezzi durante un’esecuzione e
bisogna quindi inventarsene un altro sul momento. Tutte cose che piacciono al
pubblico delle città del centro-nord, dove lo scorso anno i magnifici cinque
hanno portato il loro primSpazza Tour.
o
Nel
frattempo i ragazzi affinano le tecniche
di riciclo per migliorare anche il sound; in cantiere tengono un pezzo
inedito, ma il divertente resta interpretare e sdoganare le c
anzoni italiane
più famose fino a trasformarle quasi in un pezzo nuovo.
L’iniziativa
ha colpito tanto l’opinione pubblica che nel 2010 i Miatralvia sono stati
invitati all’importante Festival della letteratura di Mantova.
Ma i veri
pionieri della musica green restano
campani: con alle spalle dieci anni di onorata carriera tra la monnezza i Capone & Bungt Bangt (in napoletano
“caos”)organizzano
corsi su e giù per l’Italia per tramandare l’arte del riciclo musicale,
mettendo a disposizione però anche video tutorial online. Inutile dire che la
materia prima non manca mai; e che oltre una visita periodica alle discariche
del circondario, per i ragazzi del napoletanissimo Maurizio Capone, l’assalto
ai cassonetti è ormai attività abituale.
tutt’oggi suonano professionalmente tastiere giocattolo, fondi di
bottiglie a mo’ di megafono e come campanacci interi set di bollitori da
cucina. Da qualche tempo poi
L’idea è ironizzare sulla situazione dei rifiuti
in Campania e di stimolare una
soluzione. Intanto le amministrazioni comunali ringraziano gli improvvisati, ma
soprattutto gratuiti, operatori ecologici.
È grazie a
loro che dal letame continuano a nascere fiori. Ma il bello è che la musica a
chilometro zero la possono fare proprio tutti: basta tenere le orecchie ritte e
fidarsi che a colpi di bang, crash e gulp si può davvero ribaltare il mondo. Al
Festival del riciclo artistico a Roma
dello scorso anno, hanno partecipato in tantissimi. Perché cambiare musica non
è solo mestiere da suonati.