Intervista a Omar Pedrini
di Claudio Facchetti Intervista a Omar Pedrini Il futuro del vintage Dopo otto anni ritorna alla musica uno degli artisti più...
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di Claudio Facchetti
Intervista a Omar Pedrini
Il futuro del vintage
Dopo otto anni ritorna alla musica uno degli artisti
più interessanti e poliedrici della scena italiana. E il suo cd è un vivace
mosaico di suoni psichedelici, brit rock e rap.
Se c’è un musicista che ha un
interesse a 360 gradi per ogni forma d’arte, questo è proprio Omar Pedrini. Nella sua lunga e nutrita
carriera non si è fatto scappare nulla: pittura, poesia, cinema, radio, tv,
teatro e naturalmente musica, la strada maestra mai abbandonata, da cui tutto
ha avuto inizio, e che oggi pratica non solo come valido cantautore, ma anche
come docente in Comunicazione Musicale all’Università Cattolica di Milano.
Le sette note, dunque, come
stella polare, che indicano alla fine degli anni ’80 quale direzione seguire a
Omar: quella del rock graffiante, che prende forma compiuta con il gruppo dei Timoria, che infiammerà l’Italia fino
al 2002.
Sciolta la band, Omar
inaugura la sua avventura da solista due anni dopo sul palco del Festival di
Sanremo con il brano Lavoro inutile, preludio
all’album Vidomàr, che spazia
liberamente tra i generi. Inizia il tour di supporto al cd, ma l’artista è
costretto a una brusca fermata: è colpito da un aneurisma aortico. Subisce un intervento di otto ore a cuore
aperto: la vita è salva, la carriera di cantante sembra compromessa.
Omar si reinventa autore e
conduttore televisivo, ma nel 2005 c’è la sorpresa: i medici gli danno il via
libera per tornare davanti a un
microfono. Lui non se lo fa ripetere due volte e l’anno dopo pubblica Pane, burro e medicine, dal gustoso
impianto elettro-rock.
Intanto continua la sua esperienza in tv, si affaccia alla
radio, scrive musiche per il cinema, torna in teatro con lo spettacolo Sangue impazzito dedicato a John Belushi
e infine, dopo otto anni, torna in sala d’incisione per varare Che ci vado a fare a Londra?, il nuovo
cd uscito alla fine di gennaio.
Un album che si muove tra
sonorità che spaziano dal brit rock alla
psichedelia vintage passando per il rap, con echi che richiamano i Byrds
come Neil Young, i Pink Floyd come gli Oasis. E proprio a Manchester, negli
uffici dell’etichetta di Noel Gallagher, Omar ha incontrato The Folks, band con
cui ha inciso il pezzo che titola il cd. Non sono gli unici ospiti di
prestigio: spuntano fuori anche Ron, i Modena City Ramblers, il poeta Lawrence
Ferlinghetti, i rapper Dargen D’Amico e Kiave, a lanciare un ponte tra passato,
presente e un po’ di futuro.
Otto anni di silenzio discografico sono un’eternità
nel pianeta delle sette note. Come mai solo oggi c’è un tuo cd?
Prima di tutto volevo avere
qualcosa di dignitoso da dire. Poi, quando ho avuto tra le mani dei buoni
brani, ho scoperto che il mondo della discografia in questi anni era
completamente mutato e ho trovato tante porte chiuse. Non interessavo più e senza
troppi piagnistei, ho pensato che forse avevo fatto il mio tempo. Potevo aspettare,
seguire gli altri miei interessi e non contribuire all’inquinamento sonoro che
c’è in giro.
Cosa ti ha fatto finire in sala di registrazione,
allora?
Un episodio incredibile. Un
amico, Andrea Dulio, che segue il management degli Oasis per il sud Europa, ha
sentito i miei pezzi e gli sono piaciuti. Quando Noel Gallagher è venuto in
tour a Firenze, mi ha convinto a dargli il mio cd, sicuro che avrebbe suscitato
il suo interesse. Qualche mese dopo, il suo staff mi ha telefonato per
convocarmi prima a Londra e poi a Manchester, nel loro quartiere generale. Non
ci credevo. Lì è scaturita la collaborazione con The Folks nel brano che dà il
titolo al disco, volutamente autoironico.
Da quel momento è cambiato tutto…
Sì, anche grazie al sostegno
di Ron, diventato il mio discografico. Aveva già ascoltato i miei pezzi e
promesso che, se non avessi trovato un’etichetta, ci avrebbe pensato lui a
pubblicare il cd. È stato di parola e, oltre tutto, ha voluto duettare con me
in un brano. Non potevo chiedere di più.
Tanti brani sono conditi con le spezie… sonore degli
anni ’60. È questo il volto che volevi dare al cd?
Le mie radici musicali
affondano in quell’epoca, in particolare quando si è sviluppato il rock
psichedelico. Ho sempre ammirato gruppi come Beatles, Who, i primi Pink Floyd,
per citare dei nomi, anche se non disdegno l’attualità. Vivo nel 2014, e per
questo nel cd si trovano riferimenti al brit rock e al rap, con ospiti come
Kiave e Dargen D’Amico.
Non stridono i rapper con il rock vintage?
No, perché oggi il rap, per
certi versi, è un genere di rottura come lo era il rock in quel periodo. Nel cd
ci sono dei brevi inserti di poesia e il gioco è persino troppo facile nel
trovare punti di contatto tra le due espressioni. Lo stesso Ferlinghetti, che
mi ha onorato con la sua partecipazione nel disco, ritiene che quello che fanno
ora i rapper equivale a quanto facevano i poeti e gli scrittori della beat
generation nei ’60, quando venivano arrestati se leggevano in pubblico le loro
poesie.
Quindi nessuna nostalgia…
Non è e non vuole essere un
album nostalgico. La nostalgia c’è, anzi, forse prevale più una sensazione di
malinconia per quegli anni in cui l’arte era carica di fermenti innovativi. Oggi
tanti artisti guardano indietro per proiettarsi avanti, come per esempio ha
fatto Sorrentino nel suo film La grande
bellezza. E poi serve da antidoto a una certa paura del domani: le
incognite sono tante e il passato è rassicurante. D’altra parte, dove stiamo
andando a finire? L’uomo sta distruggendo la Terra , non a caso ho sottotitolato il cd “storie
dal pianeta blu”.
Storie che hanno per protagoniste, in prevalenza,
figure femminili. Perché?
Per caso. Solo al termine
dell’album, ho visto che tornavano tante donne nei brani, forse perché mio papà
mi ha lasciato quando avevo 10 anni e sono cresciuto con la mamma, la sorella e
le loro amiche. In realtà, sono storie speciali di gente comune.
Tra queste donne, una particolare è l’Italia.
È quella che amo di più,
anche se è conciata male. La canto in Uno
straccio d’anima, tra amore e rabbia. L’ho immaginata come una donna
bellissima, con gli abiti strappati e il trucco sciolto sul viso. Forse l’anima
del disco è proprio in questa canzone.
Accanto alla musica, coltivi tanti interessi. Come
riesci a seguire tutto?
I miei problemi di salute
hanno fatto scattare il piano B, ovvero una maggiore attenzione ad alcune
passioni che prima lasciavo un po’ da parte per la musica. Questo mi ha portato
a confrontarmi e approfondire altre forme d’arte che sono diventate, a loro
volta, un mestiere, anche con mia grande sorpresa: per esempio, non mi
aspettavo il successo avuto a teatro con Sangue
impazzito. Certo, quando le sette note bussano alla mia porta, io apro
subito e abbandono tutto il resto.
Tra le altre cose, sei impegnato anche nel sociale.
Quando capita, non mi tiro
indietro, anche se non mi piace pubblicizzare la cosa. È una scelta intima:
dare una mano in una comunità o a chi soffre mi arricchisce, non cerco
complimenti.
In tale ottica, la fede trova posto nella tua vita?
Sono un credente, a modo mio.
Ho provato interesse per le religioni e incontrato il Dalai Lama: il buddismo,
per certi aspetti, lo sento più vicino alla mia sensibilità. Questo non mi ha
impedito, anni fa, di riscoprire il Cristo quando interpretai un prete nel film
Un Aldo qualunque. Mi trovai a
recitare in una parrocchia vera e di fronte al crocifisso mi sentii toccato. La
sua figura, la sua vita, però, stridevano con quella della Chiesa, almeno per
me. Non oggi, però, visto che mi sembra che papa Francesco stia riportandola
nel suo alveo naturale, quello per cui è nata e che ha avuto testimoni san
Francesco o don Bosco.
BOX
Di tutto, di più
Omar Pedrini
nasce a Brescia il 28
maggio 19 67. Alla fine degli anni ’80 fonda i Timoria, gruppo rock dove tra le sue fila milita anche Francesco
Renga. La band riscuote un buon successo, con vendite complessive di 600 mila
copie dei loro album.
Nel 2002 i Timoria si
sciolgono e Pedrini intraprende la
carriera da solista. Dopo l’uscita del cd Vidomàr (anche se aveva già pubblicato nel ’96 Beatnik, un album musical-letterario), l’artista è colpito da un
aneurisma aortico.
Superata la malattia, nel
2006 pubblica Pane, burro e medicine,
inciso in modo quasi amatoriale. Che ci
vado a fare a Londra? segna il suo ritorno discografico dopo otto anni.
In parallelo alla sua
avventura musicale, Omar ha coltivato molti
interessi. Tra i tanti: direttore artistico del Brescia Music Art; autore
del libro di poesie Acqua d’amore ai
fiori gialli; attore per il cinema in Un
Aldo qualunque e Il figlio più
piccolo, e per il teatro in Sangue
impazzito; è autore e conduttore di vari programmi tv e radio sui canali
RAI e SKY; insegna alla Cattolica di Milano.