Una vita nel segno dell’avventura
di Ferdinando Albertazzi Intervista allo scrittore Alberto Ongaro Una vita nel segno dell’avventura Sta per spegnere novanta candel...
https://www.dimensioni.org/2014/11/una-vita-nel-segno-dellavventura.html
di
Ferdinando Albertazzi
Intervista allo scrittore Alberto Ongaro
Una vita
nel segno dell’avventura
Sta per spegnere novanta candeline ma conserva la grinta
e lo spirito di un grande esploratore. Veneziano doc, è una delle prime penne
della narrativa italiana contemporanea.
Più che viaggiatore, Alberto Ongaro è stato
piuttosto un esploratore di luoghi, di emozioni, di atmosfere, di eventi
e soprattutto di persone, negli oltre trent’anni vissuti in Sudamerica prima e
in Inghilterra poi, dopo il trasferimento in Argentina (1948) in compagnia
dell’amico Hugo Pratt. L’artefice di Corto Maltese, personaggio ormai
mitico che ha fatto la storia del fumetto, ha avuto un lungo sodalizio con
Alberto Ongaro, con cui ha collaborato (affiancato da Dino Battaglia)
sceneggiando a soli vent’anni Asso di Picche e Jungleman.
Tornato a Venezia nel 1979 ha firmato
romanzi di forte spessore, con protagonisti che scintillano nella memoria del
lettore. Narrazioni accolte con molto favore dalla critica e dal pubblico, tra
cui spiccano La taverna del Doge Loredan, ritenuto il suo capolavoro e La
partita, vincitore del Super Campiello nel 1986 e portato sul grande
schermo due anni dopo, con un’interpretazione maiuscola di Faye Dunaway.
Punta sull’intreccio
limpidamente delineato della storia, sulla caratterizzazione minuziosa e
documentata dei personaggi e, ovviamente, sulle molteplici valenze
dell’avventura anche Athos, uno dei celeberrimi moschettieri di
Dumas al centro dell’ultimo romanzo di Ongaro che sta appassionando in
particolare i nuovi adulti, ai quali lo scrittore si indirizza nell’intervista
rilasciata in esclusiva per Dimensioni Nuove.
I tre
moschettieri è stata
una lettura di riferimento, nella sua formazione?
Sì, lo è stata assieme a molti romanzi nei
quali l’elemento romanzesco si coniughi senza sforzo, direi naturalmente, con
il carattere letterario della scrittura.
Può esserlo anche per i
giovani di oggi e, nel caso, per quali valenze?
Non vedo perché non dovrebbe esserlo. Al di
là della trama avventurosa e della grazia della scrittura, nei Tre moschettieri Dumas ha creato un
capolavoro raccontando la difficile arte dell’amicizia. Il meraviglioso
sodalizio che unisce i tre moschettieri a D’Artagnan durerà eternamente e son
convinto che affascini i giovani di tutte le epoche.
Quali
libri continuano ad accompagnarla, quali personaggi in pagina?
Sono troppi per elencarli tutti… Dirò dei
più importanti: Pinocchio, Vittoria di Conrad e il suo
protagonista, il barone svedese Heyst. Poi I Demoni di Dostojevski e il
protagonista Stavroghin, Lord Jim di Conrad, Sotto il vulcano di
Malcom Lowry con il protagonista Geoffrey Firmin.
Hanno
contribuito a fare della scrittura una tentazione irrinunciabile, per lei?
Certo, ma la folgorazione l’ho avuta nel
dopoguerra con la lettura dei Quaderni di Malte di Rainer Maria Rilke:
di colpo la realtà ha mostrato delle fessure attraverso le quali si avvertono
dimensioni misteriose e consiglierei questo libro a ogni ragazzo che dal liceo
va all’università.
Cos’altro è stato decisivo?
Il successo del mio primo libro, Il
complice, pubblicato anche in Inghilterra, Stati Uniti e Spagna. Ovviamente
se il primo libro va bene ci si sente incoraggiati a continuare...
Adesso,
però, i suoi moschettieri sono… Athos: un ritorno di fiamma o un’affinità
elettiva?
Sono sempre stato affascinato dai
personaggi immaginari e in particolare da Athos: conduce tutta la sua vita in
silenzio, ha un solo amore, è freddo come un lupo e altrettanto feroce quando
si sente offeso. Un libro su Athos ho sempre desiderato farlo, non so bene
perché. Per varie ragioni l’ho sempre rinviato, ma è arrivato il suo momento.
Quali,
le caratteristiche di Athos che possono stregare un giovane?
Il coraggio, l’onestà, il rigore verso se
stesso e gli altri, l’assoluta fedeltà verso l’amicizia.
A cosa può invogliarlo, la
vicenda?
Potrebbe invogliarlo a imparare a scrivere
delle storie!
D’altronde questa storia è costruita su tre
linee portanti: la lettera di Oswald, il nome dell’uomo di grandissimo valore,
la misteriosa data del 21 agosto. Quindi è una lezione strutturale di cui tener
conto…
“Attraverso”
Athos, il tempo potrebbe diventare “quel luogo dove qualcuno aspetta qualcun
altro che sta sorprendentemente per arrivare”, per il lettore pronto a cogliere
il testimone dell’avventura?
Il “peso” del tempo lo si sente soltanto
quando si è passivi mentre quando si agisce, quando si è proiettati verso
qualcosa o verso qualcuno, il tempo per così dire si spezza e non se ne sente
il peso. L’arrivo di qualcuno, per di più, può diventare un’avventura comune
tanto inattesa quanto sorprendente.
Ci sono
figure che ancora “ritornano”, dai suoi tanti anni trascorsi viaggiando?
Il primo è di sicuro Bimbo, un ex detenuto
del penitenziario della Cajenna. Il soprannome gli derivava dalla statura molto
bassa, ma era stato il capo di una banda di ladri mandato alla Cajenna per
omicidio. Però non aveva ucciso l’uomo che voleva uccidere, aveva sbagliato
bersaglio... Comunque era molto simpatico e fumava due sigarette alla volta!
Un bel
personaggio...
Come Happy Joseph, re
della grande tribù africana dei Bamilikè (Camerun): ha dato a me e a Gianfranco
Moroldo, il fotografo con il quale viaggiavo, un titolo nobiliare perché la
storia dell’Africa la facevamo raccontare non dai bianchi ma dagli stessi
africani.
Una
motivazione più che condivisibile…
Sicuro. Inoltre Tupou IV, il re
dell’arcipelago delle isole Tonga: alto due metri e dieci, che per fare
ginnastica andava su e giù per le scale della sua reggia (di legno) con
duecento chili distribuiti tra braccia e gambe. Voleva l’unificazione di gran
parte della Polinesia sotto il suo governo, ma l’operazione non gli è riuscita.
Altra
figura pittoresca!
Naturalmente ci sono stati incontri meno
pittoreschi, ma intellettualmente affascinanti. Ne cito due: i grandi scrittori
Vladimir Nabokov e George Simenon. Di entrambi menziono solo due annotazioni
curiose: Simenon teneva davanti alla porta di casa, come un totem, la statuetta
di Maigret, mentre Nabokov, appassionato entomologo, sosteneva che avrebbe
rinunciato a tutti i suoi libri pur di possedere un tipo di farfalla rarissimo
di cui non ricordo il nome.
Ci sono anche dei “luoghi
della memoria”, magari inventati?
Venezia c’è in ogni mio libro e non solo
per memoria. E del resto, no: non ho mai inventato città, quelle di cui ho
raccontato le ho conosciute veramente.
Nella
sua storia si ipotizza che una persona abbia potuto uccidersi “per
l’umiliazione, per l’impossibilità di vivere in quel modo”. Un gesto estremo di
dignità e orgoglio che potrebbe diventare una “pulce nell’orecchio”,
nell’appiattimento di valori odierno?
Non metterei una simile pulce nell’orecchio
di nessuno, né adulto né ragazzo. Preferisco che le persone si adattino in ogni
circostanza, piuttosto che pensare a gesti estremi.
Nel mio romanzo il suicidio di Lindo de la Fonte è soltanto ipotizzato
e per ciò che mi riguarda è stato invece ucciso dal suo servo. <