Ma cos’ho io di diverso?
di Elisa Murgese Garantire una vita dignitosa è un dovere civile Ma cos’ho io di diverso? La situazione di rom e sinti in Ita...
https://www.dimensioni.org/2015/02/ma-cosho-io-di-diverso.html
Garantire
una vita dignitosa è un dovere civile
Ma cos’ho io di diverso?
La situazione di rom e sinti in Italia continua ad
essere al di sotto dei minimi. E cancellare i campi non favorisce l’integrazione.
Problemi che la politica non riesce ad affrontare nonostante numeri
infinitamente piccoli.
«Non sono una persona? Non sono come te?
Non ho le braccia, le gambe. Non ho gli occhi, non ho il sangue. Non ho il
cuore? Ma cos’ho io di diverso?». Sul palco di un teatro milanese c’è una
giovanissima ragazza rom dai lunghi capelli scuri raccolti in una treccia.
Un teatro sfida i tabù
Oggi va
in scena la compagnia teatrale RomFaktor, ragazzi rom che sfidano i tabù
e nel cuore del centro storico di Milano raccontano il loro disagio alla
riscoperta delle tradizioni gitane. «Questi adolescenti provano un forte senso
di colpa. Una colpa quasi originaria non dovuta alle singole storie ma ad una
motivazione etnica – racconta Alberto Cavalleri, il regista che conduce
i laboratori teatrali –. Lavorando con loro, la prima difficoltà è proprio rimotivarli.
Mi è capitato più volte di sentirli parlare male di se stessi scherzando e
simulando una voce esterna come di qualcuno che gli dice “sporco zingaro”». Invece
loro non si chiamerebbero zingaro l’un l’altro, perché “zingaro” non è sinonimo
di “rom”.
Il
termine “rom” viene dall’hindi e significa “uomo”. “Zingaro”, viene dal greco
“intoccabile”. E intoccabili erano in India le caste di coloro che
esercitavano mestieri impuri: saltimbanchi, straccivendoli, fabbri, spazzini.
Dall’India, queste carovane si mossero verso l’Asia centrale e l’altopiano
Iranico. Poi arrivarono in Europa, Anatolia e ai confini dell’Egitto. I grandi
flussi migratori, terminarono con la prima guerra mondiale.
Si
risentì parlare degli zingari con il nazismo e i campi di concentramento. Una discriminazione
che dopo il fascismo è proseguita, tra internamenti in riformatori, ospedali
psichiatrici e classi per alunni speciali. Fino ad arrivare ad oggi, quando la
parola “zingaro” non può più essere usata perché è stata sporcata di una
connotazione negativa.
Italia: Paese dei campi (rom)
L’Italia
è l’unico paese in Europa che chiede a rom e sinti di vivere in campi comunali
finanziati con soldi pubblici, anche se la comunità rom italiana è una delle
meno numerose in Europa. «Se parliamo di rom e sinti in Italia, parliamo di
numeri infinitesimamente piccoli: 160mila persone. Ma è mai possibile che siamo
noi il problema?».
Mentre
racconta i tratti del suo popolo nel campo comunale di via Impastato di Milano,
Giorgio Bezzecchi mi mostra come l’umidità dell’inverno stia attaccando
vestiti e libri del Museo Fabrizio De Andrè, l’unico museo rom della Lombardia
relegato ad un container senza riscaldamento alla periferia della città.
«Ho fatto
il servizio militare. Ho sempre lavorato. Non ho precedenti penali. Non ho il
diritto anch’io di calpestare questa terra? – continua Bezzecchi – Sembra di
no. Sembra che io sia straniero. Basti pensare al fatto che gli indici di disoccupazione,
mortalità e analfabetismo per la comunità rom di Milano sono uguali a
quelli della Bolivia».
Una
politica, quella di sgomberi e campi comunali, che è rimasta la stessa anche
dopo l’elezione di Giuliano Pisapia nel 2011, «anche se prima lo sgombero dei
campi abusivi era fine a se stesso – precisa Alessandra De Bernardis, assessore
alla Sicurezza e coesione sociale –. Questa giunta invece cerca di avvisare
i rom qualche giorno prima degli sgombero. Così chi vuole può tornare in
Romania». Una modalità che secondo Annamaria Fiorillo, pubblico ministro
del Tribunale dei minori di Milano, equivale a «spazzare via la spazzatura
sotto il tappeto. Non è vero che tutti rubano o sono disonesti – continua il pm
– ma è vero invece che quelli che si comportano in maniera conforme alle regole
devono tenere sulle loro spalle questo peso e attaccata alla fronte questa
etichetta».
Quell’annoso problema delle case popolari
Ma cosa
succede ad un rom dopo che subisce uno sgombero da un campo abusivo? Una
possibilità potrebbe essere “tornare a casa sua”, ma la metà dei rom e dei
sinti che vivono a Milano sono nati proprio in Italia. «La verità è che
si vergognano di avere i rom italiani», esce dai denti ad un’anziana del campo
comunale milanese di via Negrotto.
Molti, invece, non possono tornare a casa, perché sono rifugiati
politici scappati negli anni ‘90 dalla guerra dei Balcani. Una fuga in
cerca di una terra libera da bombe e persecuzioni etniche.
Tra tutte
le critiche che sempre la gestione delle politiche rom porta con sé, la giunta
di Giuliano Pisapia ha sviluppato un piano di azione in aiuto di chi viene
sgomberato da un accampamento irregolare. «Dopo lo sgombero, i rom sono
ospitati in centri di emergenza sociale – continua l’assessore De Bernardis –
Nel mentre avviene l’inserimento in abitazioni, in collaborazione con il terzo
settore e grazie al pagamento di affitti calmierati».
Ed ecco
presentarsi la tanto nota questione delle case popolari in mano ai rom.
Un dipinto ben distante dalla realtà visto che a Milano più di 24mila persone
sono in attesa di una casa popolare. «Stiamo continuando a cercare case
sul mercato privato per destinarle ai rom con un affitto basso, ma non c’è
chance – conferma Benedetta Castelli, responsabile del villaggio solidale
Ce.A.S, uno dei progetti che dovrebbe proprio accompagnare la comunità rom
dagli sgomberi alla ricerca di lavoro e di un’abitazione –. È qui che l’ingranaggio
di accoglienza non funziona. Perché il terzo settore è a terra: non sappiamo
che soluzioni trovare». Inoltre, rom e sinti hanno difficoltà ad entrare nelle
graduatorie per problemi burocratici legati ai loro documenti.
Ed è così
che, paure degli italiani o meno, non sono certo i membri della comunità rom e
sinti a spodestare gli italiani dalle interminabili liste per
l’assegnazione delle case popolari.
Molto più
facile trovarli segregati in questi stessi campi dove secondo la European Committee
of Social Rights è impossibile condurre una vita dignitosa. Campi, che
saranno chiamati “casa”, anche dalla prossima generazione. <
Una piccola rettifica: Alessandra Debernardis, non è assessore, (Che è Marco Granelli), ma lavora nel suo staff.
RispondiEliminaci scusiamo gentilmente. la redazione