Ma cos’ho io di diverso?

di Elisa Murgese     Garantire una vita dignitosa è un dovere civile Ma cos’ho io di diverso? La situazione di rom e sinti in Ita...

di Elisa Murgese

  

Garantire una vita dignitosa è un dovere civile
Ma cos’ho io di diverso?
La situazione di rom e sinti in Italia continua ad essere al di sotto dei minimi. E cancellare i campi non favorisce l’integrazione. Problemi che la politica non riesce ad affrontare nonostante numeri infinitamente piccoli.

 «Non sono una persona? Non sono come te? Non ho le braccia, le gambe. Non ho gli occhi, non ho il sangue. Non ho il cuore? Ma cos’ho io di diverso?». Sul palco di un teatro milanese c’è una giovanissima ragazza rom dai lunghi capelli scuri raccolti in una treccia.

Un teatro sfida i tabù
Oggi va in scena la compagnia teatrale RomFaktor, ragazzi rom che sfidano i tabù e nel cuore del centro storico di Milano raccontano il loro disagio alla riscoperta delle tradizioni gitane. «Questi adolescenti provano un forte senso di colpa. Una colpa quasi originaria non dovuta alle singole storie ma ad una motivazione etnica – racconta Alberto Cavalleri, il regista che conduce i laboratori teatrali –. Lavorando con loro, la prima difficoltà è proprio rimotivarli. Mi è capitato più volte di sentirli parlare male di se stessi scherzando e simulando una voce esterna come di qualcuno che gli dice “sporco zingaro”». Invece loro non si chiamerebbero zingaro l’un l’altro, perché “zingaro” non è sinonimo di “rom”.
Il termine “rom” viene dall’hindi e significa “uomo”. “Zingaro”, viene dal greco “intoccabile”. E intoccabili erano in India le caste di coloro che esercitavano mestieri impuri: saltimbanchi, straccivendoli, fabbri, spazzini. Dall’India, queste carovane si mossero verso l’Asia centrale e l’altopiano Iranico. Poi arrivarono in Europa, Anatolia e ai confini dell’Egitto. I grandi flussi migratori, terminarono con la prima guerra mondiale.
Si risentì parlare degli zingari con il nazismo e i campi di concentramento. Una discriminazione che dopo il fascismo è proseguita, tra internamenti in riformatori, ospedali psichiatrici e classi per alunni speciali. Fino ad arrivare ad oggi, quando la parola “zingaro” non può più essere usata perché è stata sporcata di una connotazione negativa.

Italia: Paese dei campi (rom)
L’Italia è l’unico paese in Europa che chiede a rom e sinti di vivere in campi comunali finanziati con soldi pubblici, anche se la comunità rom italiana è una delle meno numerose in Europa. «Se parliamo di rom e sinti in Italia, parliamo di numeri infinitesimamente piccoli: 160mila persone. Ma è mai possibile che siamo noi il problema?».
Mentre racconta i tratti del suo popolo nel campo comunale di via Impastato di Milano, Giorgio Bezzecchi mi mostra come l’umidità dell’inverno stia attaccando vestiti e libri del Museo Fabrizio De Andrè, l’unico museo rom della Lombardia relegato ad un container senza riscaldamento alla periferia della città.
La European Committee of Social Rights ha denunciato la gestione italiana dei campi rom perché “non garantiscono condizioni minime per una vita dignitosa”. E mentre le autorità consigliano a rom e sinti di sostare in campi comunali, la maggior parte di loro vive in campi abusivi, dove gli sgomberi sono all’ordine del giorno. Tra il 2006 e il 2011 ad esempio – con il sindaco Letizia Moratti – Milano ha avuto una delle più severe politiche rivolte ai rom, che sono stati sgomberati da accampamenti abusivi una media di nove volte al mese.
«Ho fatto il servizio militare. Ho sempre lavorato. Non ho precedenti penali. Non ho il diritto anch’io di calpestare questa terra? – continua Bezzecchi – Sembra di no. Sembra che io sia straniero. Basti pensare al fatto che gli indici di disoccupazione, mortalità e analfabetismo per la comunità rom di Milano sono uguali a quelli della Bolivia».
Una politica, quella di sgomberi e campi comunali, che è rimasta la stessa anche dopo l’elezione di Giuliano Pisapia nel 2011, «anche se prima lo sgombero dei campi abusivi era fine a se stesso – precisa Alessandra De Bernardis, assessore alla Sicurezza e coesione sociale –. Questa giunta invece cerca di avvisare i rom qualche giorno prima degli sgombero. Così chi vuole può tornare in Romania». Una modalità che secondo Annamaria Fiorillo, pubblico ministro del Tribunale dei minori di Milano, equivale a «spazzare via la spazzatura sotto il tappeto. Non è vero che tutti rubano o sono disonesti – continua il pm – ma è vero invece che quelli che si comportano in maniera conforme alle regole devono tenere sulle loro spalle questo peso e attaccata alla fronte questa etichetta».

Quell’annoso problema delle case popolari
Ma cosa succede ad un rom dopo che subisce uno sgombero da un campo abusivo? Una possibilità potrebbe essere “tornare a casa sua”, ma la metà dei rom e dei sinti che vivono a Milano sono nati proprio in Italia. «La verità è che si vergognano di avere i rom italiani», esce dai denti ad un’anziana del campo comunale milanese di via Negrotto.
Molti, invece, non possono tornare a casa, perché sono rifugiati politici scappati negli anni ‘90 dalla guerra dei Balcani. Una fuga in cerca di una terra libera da bombe e persecuzioni etniche.
Tra tutte le critiche che sempre la gestione delle politiche rom porta con sé, la giunta di Giuliano Pisapia ha sviluppato un piano di azione in aiuto di chi viene sgomberato da un accampamento irregolare. «Dopo lo sgombero, i rom sono ospitati in centri di emergenza sociale – continua l’assessore De Bernardis – Nel mentre avviene l’inserimento in abitazioni, in collaborazione con il terzo settore e grazie al pagamento di affitti calmierati».
Ed ecco presentarsi la tanto nota questione delle case popolari in mano ai rom. Un dipinto ben distante dalla realtà visto che a Milano più di 24mila persone sono in attesa di una casa popolare. «Stiamo continuando a cercare case sul mercato privato per destinarle ai rom con un affitto basso, ma non c’è chance – conferma Benedetta Castelli, responsabile del villaggio solidale Ce.A.S, uno dei progetti che dovrebbe proprio accompagnare la comunità rom dagli sgomberi alla ricerca di lavoro e di un’abitazione –. È qui che l’ingranaggio di accoglienza non funziona. Perché il terzo settore è a terra: non sappiamo che soluzioni trovare». Inoltre, rom e sinti hanno difficoltà ad entrare nelle graduatorie per problemi burocratici legati ai loro documenti.
Ed è così che, paure degli italiani o meno, non sono certo i membri della comunità rom e sinti a spodestare gli italiani dalle interminabili liste per l’assegnazione delle case popolari.

Molto più facile trovarli segregati in questi stessi campi dove secondo la European Committee of Social Rights è impossibile condurre una vita dignitosa. Campi, che saranno chiamati “casa”, anche dalla prossima generazione. <

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  1. Una piccola rettifica: Alessandra Debernardis, non è assessore, (Che è Marco Granelli), ma lavora nel suo staff.
    ci scusiamo gentilmente. la redazione

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