Un mare di plastica

di Enrico Molineri Un mare di plastica È blu ma tende al nero. Il mare, un mondo ancora sconosciuto, molto compromesso e diff...

di Enrico Molineri




Un mare di plastica

È blu ma tende al nero. Il mare, un mondo ancora sconosciuto,

molto compromesso e difficile da comprendere.



Nel mondo dell’economia globalizzata anche l’inquinamento è globale e un piccolo gesto fatto a casa nostra può avere conseguenze in altre parti del Mondo. Ne è un esempio l’inquinamento dei ghiacci riscontrato ai poli, nonostante non ci siano fabbriche, come pure il Great Pacific Garbage Patch, (letteralmente grande chiazza di immondizia del Pacifico). Nell’oceano Pacifico si trova un’enorme isola di plastica, stimata in circa 100 milioni di tonnellate di detriti e molto probabilmente estesa come la superficie degli Stati Uniti. L’accumulo di plastica ha iniziato a crearsi negli anni ‘50 dello scorso secolo a causa delle correnti marine. Simili discariche sono presenti in tutti gli oceani del mondo.

I rifiuti che finiscono in mare, non essendo biodegradabili, sono molto dannosi, sia perché inquinano e distruggono gli ecosistemi e sia perché vengono mangiati dai pesci e quindi finiscono nella catena alimentare ed arrivano sulla nostra tavola. L’inquinamento dei mari è dovuto per il 12% dai trasporti marini, per il 44% proviene dalla terra ferma e per il 33% dall’atmosfera. Le scorie provenienti dalla terra ferma colpiscono soprattutto le acque costiere e tra le cause più importanti del degrado ci sono le acque agricole ricche di fertilizzanti: il loro eccesso provoca un aumento anomalo del numero delle alghe.

Un’altra attività dannosa per l’habitat costiero è il dragaggio di sabbia e ghiaia di fronte alla costa che provoca un duplice danno: la distruzione dei fondali bassi, dove molte specie acquatiche vengono a riprodursi, e la scomparsa progressiva degli ambienti estuari, molto ricchi di biodiversità e di alta produttività.

Un’altra causa dell’inquinamento delle acque costiere è data dal petrolio: il versamento in mare delle acque di lavaggio dei contenitori delle petroliere; una perdita accidentale durante le operazioni di carico e di scarico nei porti; la fuoriuscita del combustibile causata da incidenti...

La custodia del mare dipende quindi da comportamenti virtuosi dei singoli, ma anche da azioni politiche, quale l’istituzione dei parchi blu. Ne è un esempio l’Australia che ha creato un’area protetta che si estende nella barriera corallina per 11.800 kmdi superficie e ospita 400 specie di coralli diversi e 1500 specie di pesci.



Storie di vita

Boyan Slat, olandese, classe 1994 ha fondato la The Cleanup Ocean, azienda che si propone di ripulire il mare dalla plastica ed in particolare di far scomparire entro dieci anni il Great Pacific Garbage Patch. Nel 2011 il neo imprenditore si trovava in Grecia; dopo un’immersione in cui osservò più sacchetti di plastica che pesci, si chiese se fosse possibile ripulire il mare dalla plastica.

Grazie ad una campagna di crowdfunding sono stati raccolti 2,2 milioni di dollari che hanno permesso l’avvio della fase pilota del progetto. Boyan è stato riconosciuto come uno dei 20 più promettenti giovani imprenditori in tutto il mondo (Intel EYE50), e nel 2014 ha vinto il premio “Campione della Terra” delle Nazioni Unite. Il meccanismo di funzionamento del sistema di rimozione della plastica dal mare è piuttosto semplice, ma efficace: un nucleo centrale si occuperà del filtraggio dei materiali raccolti separandoli dal plancton mentre dei bracci galleggianti permetteranno alle onde marine di convogliare in maniera naturale i rifiuti presenti.

http://www.theoceancleanup.com/ 

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