L'essenziale è visibile agli occhi
di Paolo Morelli Un classico in immagini L’essenziale è visibile agli occhi Il capolavoro di Antoine de Saint Exupéry, “Il Piccol...
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di Paolo Morelli
Un classico in immagini
L’essenziale èvisibile agli occhi
Il capolavoro di Antoine de Saint Exupéry, “Il Piccolo Principe”,si trasforma in un cartoon dal grande impatto visivo e poetico.
Per parlare dell’ultimo film d’animazione, diretto da Mark Osborne e prodotto, con un investimento di 60 milioni di dollari, dalla On Animation Studios di Aton Soumache, Dimitri Rassam e Alexis Vonarb, dobbiamo fare un passo indietro nella storia.
Sono passati più di settant’anni da quando Antoine de Saint Exupéry, aviatore francese di nobili origini e appassionato di letteratura, diede alle stampe un libro, un romanzo destinato a diventare una delle opere più note al mondo, intitolato Il piccolo principe. Era uno scrittore molto prolifico, che tra gli anni Venti e la sua tragica scomparsa, avvenuta nel 1944, consegnò alle tipografie moltissimo materiale ispirato alla propria professione.
Diverse furono le opere che raccontavano la sua dimensione di pilota e, soprattutto, la guerra. Il primo vero romanzo fu L’aviatore, pubblicato nel 1926, mentre per arrivare a vedere stampato Il Piccolo Principe si attese il 1943 (in Italia arrivò soltanto nel 1984 con una prefazione del critico e scrittore Nico Orengo). A firma di Saint Exupéry sono poi uscite diverse opere postume, ma è la novella del principe venuto dallo spazio ad aver trasportato il nome dell’aviatore francese attraverso le epoche storiche.
Tradotto in ben 253 lingue e dialetti (sì, dialetti, tra cui diverse lingue regionali e locali in Italia), ha venduto oltre 134 milioni di copie in tutto il mondo. Insieme al racconto, hanno viaggiato per decenni, fino a diventare parte dell’immaginario collettivo di quasi ogni persona, anche gli acquerelli che l’aviatore aveva realizzato per corredare il libro. Disegni realizzati con tratto semplice, sfumato e poco accurato, che stimolano la fantasia e l’immedesimazione del lettore, giocando sull’empatia, esattamente come fa il libro.
Due tecniche di animazione
Perché ne parliamo proprio adesso? Le Petit Prince, titolo originale del romanzo, è ora anche il titolo di un film di animazione, come detto firmato da Mark Osborne, che porta sul grande schermo il principe bambino e l’aviatore. Presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes, lo scorso maggio, la pellicola rappresenta un tentativo originale nel trasporre al cinema un’opera così nota.
A onor del vero, il primo a provarci fu Stanley Donen, che diresse un cartone animato per il cinema nel 1974. Fu poi la volta, quattro anni più tardi, delle anime giapponesi, con Hironari Hachimura che diede vita, grazie allo studio Knack, a 39 episodi della serie Piccolo Principe.
Tentativo ripetuto, nel 2010, prima del nuovo film. Questa volta si è tornati in Francia, con lo studio Method Animation, sotto la direzione artistica di Gabrielle Vilatte e Pierre-Alain Chartier, per avere ben 52 episodi in 3D. La serie, tra il 2010 e il 2012, è stata trasmessa dal canale France 3, dal Festival del Cinema di Roma (un solo episodio) e dalla Rai.
Ma torniamo al film di Mark Osborne. Già in nomination agli Oscar per Kung Fu Panda (2009), il regista statunitense ha dovuto confrontarsi con numerose difficoltà. La storia parte dai ricordi di un vecchio aviatore, che racconta di quando, da giovane, incontrò un principino venuto dallo spazio durante un atterraggio di fortuna in un deserto.
Seguendo fedelmente il libro, ma utilizzando uno stratagemma narrativo, il vecchio aviatore convince, non senza difficoltà, una giovane ragazzina, vicina di casa, ad ascoltare la sua storia.
Ci si perde, insieme alla giovane, tra le pagine del Piccolo Principe, attraverso i disegni originali – riportati sul grande schermo grazie alla computer grafica – scaturiti dal tratto di Antoine de Saint Exupéry. È in questo momento che lo spettatore entra in un secondo livello narrativo, segnato da un cambiamento tecnico spiazzante: si passa dalla grafica 3D (CGI) allo stop motion per rappresentare i numerosi flashback che entrano dentro la storia del principino.
Due diversi modi per costruire un film di animazione trovano, qui, una curiosa commistione. È come se il flashback avesse un sapore storico, datato e impolverato: una finestra su un mondo diverso e, forse, perduto, che spetta a noi tenere vivo almeno nei nostri ricordi.
Il bambino dentro di noi
Il problema di Osborne era quello di non allontanarsi troppo dalla narrazione dedicata ai bambini ma non per questo creare un film rivolto esclusivamente a loro. Saint Exupéry parla sì ai bambini, ma anche al nostro bambino interiore, quello che ogni adulto porta – o dovrebbe portare – dentro di sé.
È questa la vera innovazione introdotta dall’opera nel 1943, che ha iniziato a rappresentare i bambini come portatori di verità, non più soltanto come esserini in balia degli eventi. Una novità che, oggi, ci sembra persino banale, ma che settant’anni fa rappresentava una sorta di rivoluzione. Evidente, quindi, che riportare tutto all’interno di un adattamento cinematografico sarebbe stato un’impresa ardua.
Come racconta Aton Soumache, uno dei produttori del film (la cui lavorazione è iniziata otto anni fa), «abbiamo percepito una enorme responsabilità nel rendere giustizia a quest’opera, amata in tutto il mondo. Ognuno ha la propria personale impressione de Il Piccolo Principe e del suo mondo. Ricordo che mio padre mi leggeva il libro prima che iniziassi ad andare a scuola, e molte persone avevano un rapporto fortissimo con l’opera. Quindi è stato molto importante per noi (produttori, ndr) trovare un regista che adottasse un approccio innovativo».
Dopo un lungo ragionare, la scelta è caduta su Mark Osborne, già regista di Kung Fu Panda e con due nomination agli Oscar nel suo curriculum: l’ultima nel 2009, proprio con Kung Fu Panda, per il miglior film d’animazione (con John Stevenson); la prima, invece, era arrivata già nel 1999 nella categoria miglior cortometraggio d’animazione, ottenuta con More (in condivisione con Steve Kalafer).
«Nel 2009 – ha spiegato Osborne – il mio agente mi chiese se conoscessi il libro, perché dei produttori francesi ne volevano fare un grande film d’animazione. Lo conoscevo bene e, quando mi chiesero di dirigere la pellicola, dissi subito di no. Credevo che non ci fosse modo di realizzare un corretto adattamento. Poi ci pensai su parecchio e capii che le premesse erano troppo interessanti per rifiutare. Era la chance di una vita: le tematiche del libro sono ricche e godono di molta risonanza. In più, l’opportunità di proteggere il libro con il film era qualcosa che non potevo ignorare».
Il Piccolo Principe è la storia del bambino che noi abbiamo dentro, anche quando diventiamo adulti, e che con fatica conserviamo attraverso le difficoltà della vita, un dolce monito. È una storia semplice quanto emozionante, che parla una lingua comprensibile alla stragrande maggioranza delle persone. È ciò che voleva Antoine de Saint Exupéry: parlare al bambino interiore di ogni persona al mondo per trasmettere un messaggio di fratellanza e rispetto, di semplicità e stupore. Trovare lo stesso sistema anche sul grande schermo, probabilmente, è stata l’avventura più complicata che produttori e regista hanno affrontato nelle rispettive carriere. Riuscendoci. <