L’Alphabet di Google
speciale di Lorenzo Corvi Una galassia in espansione L’Alphabet di Google Nato nel 1997 come progetto di due studen...
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speciale
di Lorenzo Corvi
Una galassia in espansione
L’Alphabet di Google
Nato nel 1997 come progetto di due
studenti di Stanford, il motore di ricerca più usato nel mondo ha ormai
cambiato pelle. E oggi è un contenitore finanziario.
Tutto iniziò con un progetto per la catalogazione
digitale del materiale bibliografico in possesso dell’Università di Stanford in
California. Larry Page doveva occuparsi di sviluppare un algoritmo in
grado di ottimizzare la ricerca all’interno dello sconfinato catalogo della
biblioteca universitaria.
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Larry Page |
In quello stesso periodo Larry strinse amicizia con il dottorando di
origine russa Sergey Brin. I due iniziarono a fare coppia fissa e a
lavorare sullo sviluppo di un algoritmo di ricerca per il web che fosse in
grado di catalogare i risultati non solo in base al numero di volte che la
parola cercata compariva in una pagina, ma anche in base all’importanza della
pagina stessa.
I due decisero di chiamare questo algoritmo PageRank e resta
ancora oggi il fondamento delle ricerche effettuate attraverso Google. Dopo
notti insonni di esperimenti sulla rete interna della Stanford University, i
due studenti decisero che era tempo di lanciarsi “in mare aperto”.
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Sergey Brin |
Il garage dell’amica
Page e Brin, come spesso accade alle piccole start-up americane,
stabiliscono la prima sede societaria all’interno del garage di una loro amica
comune, Susan Wojcicki, oggi vice presidente di Google, a Menlo Park,
California. È il mese di settembre del 1997, quando i due ex studenti
registrano il dominio google.com.
Dopo un anno tutt’altro che semplice, nell’agosto del 1998, arriva il
primo finanziamento: 100.000 dollari donati da Andy Bechtolsheim,
fondatore di Sun Microsystem. Google cresce a vista d’occhio e a giugno del
1999, racimola sul mercato 19 milioni di dollari.
L’approdo in Borsa
A seguito di un processo di crescita lento e graduale, Brin e Page
decidono che è ora di fare il grande passo: la quotazione in Borsa. Il 19
agosto 2004 Google immette sul mercato oltre 19 milioni di azioni con un prezzo
di partenza di 85 dollari. La vendita è un successo e fa balzare il valore
complessivo di Google a circa 27 miliardi di dollari.
Nel frattempo, Google, dopo un breve periodo a Palo Alto, si stabilisce
nella sua residenza definitiva. Nel 2003 infatti gli uffici vengono trasferiti
al numero 1600 di Amphitheatre Parkway, Mountain View, “la casa” di Google.
Parallelamente alla quotazione in Borsa, Google cerca di “irrobustirsi”
attraverso l’acquisizione di altre aziende, in modo da assorbirne le
competenze in poco tempo.
La più famosa di tutte le acquisizioni resta senza dubbio quella di YouTube,
servizio di condivisione video che, nel giro di pochi mesi, aveva conquistato
milioni di utenti in tutto il mondo. L’accordo venne finalizzato il 13 novembre
2006 per 1,67 miliardi di dollari in azioni Google.
L’anno successivo è il turno di DoubleClick, azienda leader nel
campo della pubblicità online. Segue nell’agosto del 2011 l’acquisto per 12,5
miliardi di dollari della divisione telefonia di Motorola. Gli azionisti
giudicano inopportuna l’acquisizione, ma Larry Page e Sergey Brin difendono la
loro scelta. Il gran numero di brevetti in possesso di Motorola, infatti, ha
messo più volte Google al riparo da possibili cause per violazioni di materiale
protetto da diritto d’autore.
La società totale
Grazie al successo fatto registrare in Borsa, Google ha sviluppato negli
anni una strategia espansionistica che va oltre i servizi di ricerca sul web.
Oggi è in grado di offrire servizi online come Gmail o la suite di applicativi
d’ufficio su Google, ma anche servizi offline come Picasa per la
gestione delle foto e Google Earth per l’esplorazione del mondo.
Inoltre dal 2003 contribuisce allo sviluppo del sistema operativo mobile
open source Android, di cui è diventata recentemente proprietaria. Nel
2009, si concentra sull’universo pc con Chrome OS, un sistema operativo
incentrato sul web e rivolto a notebook di fascia medio-bassa e netbook (i
portatili per la sola navigazione su internet).
Ma smartphone e tablet sono solo una delle passioni sviluppate nel tempo
dalla società di Mountain View. Pensiamo ad esempio a progetti innovativi come Google
Fiber e Project Loon. Nel primo caso, Big G diventa fornitore di
servizi Internet cablando con la fibra ottica l’intera città di Kansas City e
offrendo connettività a banda ultralarga a prezzi competitivi. Con il Project
Loon, invece, Google si pone l’obiettivo di portare la connessione a Internet
anche in aree poco sviluppate e disagiate o difficilmente raggiungibili dalla
linea telefonica.
Questa voglia di sperimentare spinge Larry e Sergey a
interessarsi anche del settore automobilistico. Nella prima metà del 2015 Big G
ha mostrato al pubblico il primo prototipo di Google Car che si guida da
sola e omologato per la circolazione stradale. Una macchinina elettrica senza
volante né pedaliera capace di raggiungere una velocità di circa 40 km/h.
Anche la realtà aumentata viene ripensata in salsa Google grazie al
progetto Google Glass: occhiali futuristici che dovrebbero permettere,
nei piani di Sergey Brin, una diffusione capillare della realtà aumentata,
andando via via a sostituire lo smartphone nella vita di tutti i giorni.

Sa tutto di noi?
In un mondo sempre più “googlizzato”, fatto di servizi che utilizziamo
quotidianamente sia online che offline, viene da chiedersi: che fine fanno i
dati quando navighiamo? Ormai tutti hanno capito che le informazioni che
produciamo quando siamo sul web si vendono a peso d’oro ma pochi sanno quali
sono.
Per farci un’idea, Google offre la possibilità di scaricare l’archivio
storico delle nostre ricerche su Google. Per farlo bisogna andare su
history.google.com. Provando a scandagliare questo enorme archivio si ha la
sensazione di trovarsi di fronte a un enorme scatolone dei ricordi dove vengono
conservate le singole azioni di un navigatore del web, da qui a ritroso fino
a cinque anni. Peccato che questa scatola dei ricordi non è nascosta in
fondo a un armadio, ma è raggiungibile da tutti.
Qualche tempo fa, un giornalista del Wall Street Journal, ha
cercato di analizzare, nel profondo, cosa voglia dire essere un utente di
Google, soprattutto se si utilizzano diversi servizi di Big G come Gmail,
YouTube e uno smartphone Android. Una volta che si accede ad internet con il
proprio account Google, l’azienda può tracciare i nostri movimenti sul
web, e non solo.
Ad esempio portando con noi lo smartphone, con piano dati attivo e
localizzazione accesa, consentiamo a Google Maps di registrare i nostri
spostamenti degli ultimi cinque anni. È evidente che si tratta di due facce
della stessa medaglia: sfruttare i vantaggi e i servizi della tecnologia porta
con sé il fatto di essere “schedati”.
I nostri gusti e abitudini valgono un bel po’ di
soldi nel mercato della pubblicità online e i cosiddetti cyber-criminali ne
sono ben consci. Ecco spiegati i furti di identità finalizzati proprio a
guadagnare dalla vendita delle informazioni a probabili interessati.
Al momento non vi è una via d’uscita se non quella di
essere totalmente trasparenti su internet. Comportarsi eticamente sul
web, come nella vita del resto, è un requisito fondamentale per chiunque voglia
mantenere la sua fedina penale cibernetica pulita, e non rischiare di cadere
nelle maglie dei malintenzionati. Anche di quelli digitali. <