TTIP: è il commercio, bellezza!
dossier di Giovanni Godio TTIP: è il commercio, bellezza! UE e USA stanno da tempo cercando un accor...
https://www.dimensioni.org/2016/03/ttip-e-il-commercio-bellezza.html
di Giovanni Godio
TTIP:
è il commercio,
bellezza!
UE e USA stanno da
tempo cercando
un accordo
commerciale di vaste proporzioni.
Che solleva
preoccupazioni e allarmi.
in bianco e nero
TTIP:
dicesi di sigla ignota ai più, che alcuni
pronunciano titìp e altri titiaipì, all’inglese. Sta
per Transatlantic Trade and Investment Partnership, ovvero Partenariato
transatlantico su commercio e investimenti, ed è un accordo che l’Unione
Europea tratta dal 2013 con gli Stati Uniti.
Cecilia Malmström |
A un
lato del tavolo c’è il commissario UE per il Commercio, oggi la svedese
Cecilia Malmström con una squadra di negoziatori e specialisti, dall’altro
il rappresentante degli USA per il Commercio Michael Froman, anche lui con
tanto di team. Obiettivi dichiarati: facilitare il commercio di beni e servizi fra le due sponde
dell’Atlantico, abbattendo dazi doganali, burocrazia e restrizioni agli
investimenti, e mettendo a punto nuove norme per rendere «più agevole ed equo» esportare, importare e investire oltreoceano.
Michael Froman |
La
sigla sarà ignota ai più, ma la posta in gioco è immensa: il più grande accordo
bilaterale commerciale mai negoziato nella Storia, perché le economie degli USA e dell’UE fanno insieme quasi la metà del PIL globale (il 46%) e circa un terzo dei flussi commerciali del
pianeta.
Il
termine del negoziato non si sa: a quanto pare la Commissione Europea contava
di arrivare a una bozza di accordo per la fine del 2015, ma le trattative sono tutt’altro
che concluse.
Già, a quanto pare. Perché il negoziato è condotto in una sostanziale segretezza. «Solo a fine 2014 l’Ombudsman europeo su pressione della
società civile e dei cittadini europei ha imposto alla
Commissione Europea di rendere più accessibili i
documenti. Si
è ottenuta la pubblicazione dei documenti di
posizionamento dell’UE, ma non i testi negoziali veri e propri, su cui si gioca
la vera trattativa».
Questa
precisazione è di “Stop TTIP Italia”, la campagna di società civile che, in rete
con analoghe iniziative europee, chiede dal 2014 di fermare il negoziato. E non
solo per la questione di metodo relativa alla segretezza, bensì per una nutrita batteria di questioni di merito. Che
non interessano solo grandi e piccoli investitori, grandi piccoli produttori,
grandi e piccoli commercianti, ma tutti noi cittadini d’Europa (e d’America).
«Il TTIP è qualcosa di più di una semplice trattativa di liberalizzazione
commerciale. È l’ennesimo attacco frontale che vede lobby economiche,
governi e poteri forti accanirsi su quello che rimane dei diritti del lavoro,
della persona, dell’ambiente e di cittadinanza dopo anni di crisi...»: la “piattaforma” della campagna “Stop TTIP” va giù dura. Ma poiché non ci si può fermare agli slogan da volantino, urge dossier sulle
posizioni in campo.
La Commissione UE: PIL, prosciutti & qualità
Un
punto fermo: il TTIP di per sé non esiste ancora.
Abbiamo solo trattative che conosciamo a metà, una documentazione
ufficiale parziale e un’architettura generale fatta di 24 capitoli suddivisi in tre
parti: “Accesso al mercato”, “Cooperazione in campo normativo” e “Norme”.
Tuttavia,
secondo la Commissione Europea, se l’accordo sarà concluso e
ratificato le ricadute
economiche positive saranno numerose: «Il TTIP
potenzierebbe gli scambi commerciali in un’epoca di crisi economica – dice
Bruxelles agli euro-cittadini – . Ciò significa maggiori
opportunità commerciali e crescita, e più posti di lavoro. I prezzi più bassi, una maggiore varietà di prodotti e la fiducia che i prodotti e i servizi
provenienti dall’altra parte dell’Atlantico rispettino gli standard più elevati di sicurezza contribuirebbero alla prosperità di oltre 800 milioni di cittadini europei e
statunitensi». Citando uno studio commissionato al Centre for
Economic Policy Research di Londra, la Commissione afferma che il TTIP, una
volta pienamente operativo, “potrebbe apportare” un + 0,5% al PIL dell’UE.
Questi
i vantaggi previsti in particolare per il made in Europe di qualità: «L’UE esporta negli USA soprattutto
prodotti ad alto
valore aggiunto, come
formaggi, prosciutti, vini, olio d’oliva, liquori e cioccolato. A causa delle
alte tariffe doganali statunitensi fino al 30%, questi prodotti sono fuori
dalla portata di molti americani, e per le imprese e gli agricoltori europei
oggi è difficile esportarli».
Stop TTIP: se salute e servizi pubblici “distorcono il mercato”...
Vantaggi? –
replicano a “Stop TTIP Italia” – Davvero non ce n’è. O ce n’è per pochi, i soliti pochi: il negoziato sul TTIP va bocciato e fermato, senza diritto di appello. Ecco quello
che rischiamo, secondo i dossier preparati dalla campagna di protesta, con un
TTIP firmato e sottoscritto sulle due sponde dell’Atlantico.
Nel campo
della sicurezza
alimentare, accusa “Stop
TTIP”, «le norme europee su pesticidi, OGM, carne agli ormoni e più in generale sulla qualità degli alimenti, più restrittive di quelle americane e internazionali, potrebbero essere
condannate come “barriere commerciali illegali”».
I settori acqua ed energia sarebbero sempre più «a rischio
privatizzazione», cosicché le comunità che decidessero altrimenti «potrebbero essere accusate di
distorsione del mercato». Più in generale, alla voce servizi pubblici «il TTIP limiterebbe il potere degli
Stati nell’organizzare i servizi pubblici come la sanità, i trasporti, l’istruzione, i
servizi idrici, educativi e metterebbe a rischio l’accesso per tutti a tali
servizi a vantaggio di una privatizzazione che rischia di escludere i meno
privilegiati».
Non basta: «La legislazione sul
lavoro, già drasticamente
deregolamentata dalle politiche di austerity dell’Unione Europea, verrebbe
ulteriormente attaccata in quanto potrebbe essere considerata “barriera non
tariffaria” da rimuovere». Per quanto
riguarda la finanza, «il trattato
comporterebbe l’impossibilità di qualsivoglia
controllo sui movimenti di capitali e sulla speculazione bancaria e finanziaria». Per quanto riguarda brevetti e
proprietà intellettuale, «la difesa dei diritti di proprietà delle imprese sui brevetti
metterebbe a rischio la disponibilità di beni essenziali,
quali ad esempio i medicinali generici».
Senza contare un principio di fondo del TTIP, la tutela dell’investitore
privato, che secondo i negoziatori dovrà essere difesa da un
arbitrato internazionale. Le aziende potranno appellarsi ad esso, denuncia “Stop
TTIP”, «per rivalersi su
governi colpevoli, a loro dire, di aver ostacolato la loro corsa al profitto. Qualsiasi
regolamentazione pubblica che tuteli i diritti sociali, economici ed
ambientali, con la scusa della tutela della competizione e degli investimenti,
rischierà di soccombere
dinanzi alle esigenze delle aziende e dei mercati, tutelate da sentenze
inappellabili».
Scarsa trasparenza sull’accordo
Monica Di Sisto |
Monica Di Sisto, giornalista e docente di “Modelli di sviluppo economico” alla
Pontificia Università Gregoriana, è portavoce della campagna “Stop TTIP Italia”.
Monica Di
Sisto, a che punto siamo con i negoziati per il TTIP?
Siamo
arrivati a 12 incontri fra le parti, la Commissione Europea per l’Europa e il
rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti. Abbiamo testi su circa sei
capitoli, proposti da almeno una delle due parti, e un’architettura del
trattato.
Quali
sono gli argomenti sul tappeto?
Dai dazi
e dogane alle misure sanitarie, dalla “cooperazione regolatoria” ai servizi,
dalla protezione dei brevetti alla proprietà intellettuale, ai “prodotti”. Insieme
allo “sviluppo sostenibile” sono già capitoli “consolidati”, c’è già uno scambio tra le parti. Inoltre l’Europa
spinge per un capitolo sull’energia, ma gli USA lo stanno respingendo. Poi ci
sono tutta una serie di proposte collaterali. Peccato però che il trattato sia formalmente
secretato.
Cioè?
È accessibile soltanto ai negoziatori, e quindi alla
Commissione Europea e al ministero USA, e a un numero ridotto di parlamentari
dell’UE e di esperti nominati dal Congresso USA. A novembre la commissaria
europea Cecilia Malmström ha annunciato l’apertura di una sala di lettura per il
TTIP in tutti i ministeri degli Esteri dell’UE, ma alla Farnesina alla fine del
2015 non c’era ancora...
Lo spazio
Internet “TTIP” della Commissione di Bruxelles ha la sezione “Dite la
vostra”...
La
Commissione ha organizzato dialoghi con la società civile, noi ci
siamo entrati. Siamo nelle loro mailing list, siamo regolarmente alla ricerca
dei testi in circolazione. Però se la società civile non si fosse incaricata di sfidare la
segretezza, “a che punto siamo” proprio non lo sapremmo.
Perché ad
oggi secondo voi il TTIP dovrebbe essere fermato?
Perché sfugge al controllo democratico dei
Parlamenti nazionali. Perché ogni capitolo ha come primo obiettivo
quello di ridurre i costi di produzione e gli ostacoli al commercio, cosicché la protezione dei cittadini, dell’ambiente
e dei diritti sociali viene sempre dopo i costi di produzione e di erogazione:
certe norme possono andare bene, metti caso, per le marmitte...
Beh,
almeno su marmitte e ambiente pare che negli USA siano piuttosto severi, Volkswagen
docet...
Non
solo sulle marmitte, se è per questo. Ma il
punto è un altro: il trattato introdurrebbe un Consiglio
transnazionale di cooperazione regolatoria nelle cui valutazioni tutto ciò che non è agevolazione del
commercio starà un gradino più sotto. Questo non
può non farci problema.
C’è
dell’altro?
Da un punto di vista strettamente economico, chi ci
perde e chi ci guadagna col TTIP? Premierà chi lavora sulle grandi, lunghe “filiere”
transnazionali. Prendiamo ad esempio l’agricoltura: la filiera lunga è quella che strozza i
produttori, e se fa prezzi più
bassi ai consumatori abbassa anche la qualità. Ma soprattutto, che cosa ne sarà di tutto quello che
non è
filiera lunga? Sembra che gli USA potranno guadagnare un 120% di esportazioni
in più
verso l’Europa, e noi invece solo il 60% in più. Questo è preoccupante: in
Europa diminuirebbero gli scambi interni, e questo toglierebbe spazio alle
piccole e medie imprese che hanno come massimo raggio quello europeo, appunto,
e che sono la grande maggioranza delle attività.
C’è poi
la questione del cosiddetto ISDS, il “sistema giudiziario” per la “protezione
degli investimenti”, poi diventato ICS (Investment Court System) nelle proposte
dell’UE...
È l’arbitrato
sovrannazionale per gli investimenti europei negli USA e quelli statunitensi da
noi, rispetto alle decisioni degli Stati che potrebbero danneggiarli.
Meccanismi di questo genere non sono una novità, ma sono un
pericoloso bypass per gli interessi di pochi rispetto ai diritti di tutti. Ad
esempio, anche nel caso di interessi superiori come la salute delle persone, un
singolo investitore, una singola società, potrebbe citare in
giudizio uno Stato e vederlo condannato. Sì, l’UE ha presentato
di recente una proposta riformata, ma il meccanismo rimane quello.
C’è chi
fa notare che le clausole del TTIP non potrebbero mai avere la meglio sui
regolamenti dell’UE...
Le
imprese potrebbero chiedere comunque i “danni commerciali”: puoi tenerti la tua
normativa ma devi pagare. All’UE è già successo, in sede di WTO, per la disputa sulla carne
agli ormoni contro USA e Canada...
Ci vuole cautela:
il trattato non c’è ancora
Mario Deaglio |
DN
ha raggiunto a Torino Mario Deaglio, già professore
ordinario di Economia internazionale all’università subalpina ed editorialista de La Stampa.
Professore,
ci converrà sottoscrivere il TTIP, alla fine del suo iter?
È una domanda a cui
per ora è impossibile rispondere, bisognerà vedere che cosa uscirà proprio da questo
iter. Il TTIP è stato proposto in termini generali ed è partita una lunga, incerta trattativa, perché ci sono punti di contrasto sugli elementi chiave. Così, per adesso, a parte il quadro generale non “ci siamo”
ancora. Sicuramente la proposta “politica”, più che economica, è da guardare con interesse.
Cioè?
Ne
parlo con lei in settimane di sconvolgimenti di borsa, in un quadro perturbato
di economia globale: una grande area di scambi che sia meno soggetta a
perturbazioni merita di essere presa in considerazione.
Contro i
negoziati, lo saprà, si è mobilitata in Europa una federazione di campagne di
società civile, secondo le quali il TTIP, se messo a punto e ratificato,
allargherà lo strapotere delle società transnazionali a scapito della qualità
dei prodotti, delle produzioni locali, dei servizi pubblici, della nostra
salute e dell’ambiente.
Questo
dipenderà solo da ciò che andremo, appunto, a ratificare. Non
esiste ancora nemmeno un testo di trattato. È giusto additare i possibili pericoli, ma
non concludere che siano automatici. In Europa si teme tra l’altro la
concorrenza americana, però anche negli USA c’è qualcuno che teme la concorrenza
europea, in particolare di quella italiana.
Se il
TTIP regolerà l’esportazione dei prodotti tipici in maniera
favorevole agli esportatori, questo non potrà che giovare ai marchi nostrani, cosa che
tra l’altro è già stata ottenuta dall’UE con il Canada
nell’ambito del CETA (l’Accordo economico e commerciale globale negoziato di
recente con il Canada, ndr). Per l’Italia probabilmente i vantaggi saranno
superiori agli svantaggi.
Ad
esempio?
Potremmo
difendere il nostro olio d’oliva e il parmigiano (negli USA oggi si può vendere un formaggio qualunque con l’etichetta
parmesan) e, anche a livello europeo, la moda, forse l’artigianato.
Vada per
l’export. Però le campagne di opposizione lanciano l’allarme su quello che
potrebbe arrivare da noi, inondazioni di cibi OGM, carne agli ormoni...
Sicuramente è uno dei punti
chiave. Ma c’è in Europa, anche a
livello di funzionari e di direzioni generali, un forte orientamento secondo il
quale nessun trattato internazionale potrà mai modificare una
regolamentazione interna. Al momento questo è un importante punto
fermo. Ma ripeto, fino a che non ci sarà un testo di
trattato possiamo solo indicare delle aree “sensibili”.
I servizi
pubblici in mano privata e... multinazionale: che ne pensa?
Sinceramente
mi domando se siano sempre un male, tra l’altro quando vedo che il nostro
Parlamento ha approvato la semplificazione degli enti pubblici individuando
proprio nelle aziende che forniscono servizi pubblici una della maggiori cause
di sprechi...
Lei stesso però nel 2015 ha ricordato il tema scottante delle future
controversie fra Stati e imprese: il loro arbitrato, secondo il TTIP, potrebbe
essere affidato a “tribunali privati”, a scapito delle sovranità nazionali e
della normativa UE. All’epoca lei scriveva che su questa proposta americana le
posizioni sembravano flessibili, non si era al “muro contro muro”. È ancora
così?
A
quanto mi consta, sì. Anche se queste
trattative (ed è probabilmente un errore) sono state condotte in una
grande riservatezza...
Che certo
non tranquillizza gli spiriti.
Sì, anche se in parte ne capisco i motivi:
se il dettaglio delle trattative, ancora ipotetiche, fosse divulgato, si
rischierebbe di mettere le organizzazioni del settore in stato di agitazione
permanente, interferendo col mercato con progetti che potrebbero non avverarsi.
Così si è deciso che i negoziatori bisogna “lasciarli
lavorare”. Ma il fatto che lavorino così a lungo significa che non sono molto d’accordo...