Se il gioco si fa sporco

Cartellino rosso Se il gioco si fa sporco Per soldi, per potere, per vincere.  Sono i motivi per cui atleti e dirigenti  vengono compra...

Cartellino rosso

Se il gioco si fa sporco

Per soldi, per potere, per vincere. 
Sono i motivi per cui atleti e dirigenti 
vengono comprati o fanno uso di doping. 
In barba alle regole e ai valori sportivi.

   Arrivare primi ma “perdere” sul fronte dell’etica e della sportività. Il mondo dello sport – i cui valori fondativi sono antichissimi e legati a filo doppio a salute, educazione e moralità fin dai primi secoli della storia umana – si risveglia oggi “malato grave” per una sindrome di scandali e irregolarità che rischia di trasformare gli “idolatrati” campioni, dai calciatori ai tennisti, in “campioni” del cattivo esempio. Certo, non si può fare di tutta l’erba un fascio ma è indubbio che mentre gli atleti continuano ad essere acclamati sul podio, l’altro lato della “medaglia” – dai campionati nazionali alle olimpiadi – si rivela amarissimo.
Ad essere finite sotto inchiesta in questi ultimi anni, infatti, sono le federazioni sportive di mezzo mondo, accusate di avere manipolato con mezzi illeciti i risultati in classifica dei propri associati. Il 2015 in particolare è stato un anno nero per chi sogna uno sport pulito: infatti, in pochi mesi, gli ennesimi scandali (a partire da quelli calcistici, sempre i più eclatanti in Italia) hanno tirato un’altra pallonata in faccia al sogno di una competizione sana e regolare.

Un calcio alla sportività
La spirale della corruzione ultimamente ha toccato i più alti vertici delle autorità del pallone, scoperchiando un vero e proprio “caso” internazionale. Il presidente della Fifa (l’organo massimo del calcio mondiale) Joseph Blatter è stato infatti accusato dalle autorità svizzere (in collaborazione con la polizia americana dell’Fbi) di gestione fraudolenta e appropriazione indebita dei (tanti) fondi che girano intorno allo sport più amato in Occidente. Con lui altri 14 dirigenti della federazione sono finiti sotto accusa: tra loro anche l’“icona” calcistica Michel Platini – ex-centrocampista della Juventus nei suoi anni “gloriosi”.
I due si sarebbero accordati per un versamento indebito di 2 milioni di franchi in favore di Platini e avrebbero pilotato le assegnazioni dei prossimi mondiali (fra due anni in Russia e nel 2022 in Qatar): le indagini si stanno ancora svolgendo ma, intanto, i grandi sponsor del calcio stanno pensando di non mettere la faccia nelle prossime competizioni, mentre il comitato etico della Fifa ha tirato fuori il cartellino rosso e – sospendendoli – ha messo fuori gioco i due presidenti per i prossimi 8 anni. 
In Italia, una bufera simile si era già scatenata nel 2006 con il celebre Calciopoli, lo scandalo sportivo che aveva coinvolto diverse società con i loro dirigenti (in particolare Luciano Moggi della Juventus, alla quale venne persino tolto uno scudetto perché “truccato”). Le accuse – confermate dal processo archiviato nel 2011 – parlavano allora di scambio di tangenti tra alcuni responsabili delle squadre di serie A e gli arbitri le cui decisioni in campo venivano di fatto “comprate” a caro prezzo. Non per niente, in Portogallo, la corruzione di tre anni prima di un gruppo di arbitri da parte di alcune squadre venne ribattezzato il caso “Fischietto d’oro”.
Anche alcuni club di football, lo sport americano per eccellenza, si sono macchiati di gesti ben poco sportivi. Lo scorso gennaio (2015, ndr), per esempio, i New England Patriots, pur di portare a casa una vittoria difficile, hanno sgonfiato i palloni della finale (compresi quelli di riserva) ad una pressione inferiore alla norma. I difensori del New Orleans Saints, invece, per anni presero soldi addirittura per infortunare gli avversari!
Gli sport 
“stupefacenti”
Ma un modo per “saltare” gli o-stacoli sulla strada della vittoria ce l’hanno anche maratoneti e ciclisti. Le discipline di atletica leggera, i cui atleti si bruciano in pochi anni, sono proprio quelle più afflitte dalla piaga del doping. 
Il miraggio di dilatare la propria carriera ben oltre i limiti fisici infatti spinge ancora tanti di questi sportivi a fare ricorso a sostanze stupefacenti, che – oltre ad essere proibite da qualsiasi competizione – al di là degli effetti “positivi” immediati, recano danni permanenti alla salute.
La pratica d’uso del doping ha in realtà origini molto antiche e pare che la parola derivi da un termine sudafricano per indicare una bevanda alcolica stimolante. Già durante i primi giochi olimpici in Grecia, alcuni concorrenti ingerivano preparati per aumentare la propria prestazione e vincere i ricchi premi in palio (cibo, case o esenzioni delle tasse); mentre a Roma erano i cavalli ad essere “drogati” per correre di più.
Fino al 1960, però, l’uso di eccitanti non era mai stato ufficialmente condannato dalla comunità sportiva: solo dopo le Olimpiadi di Roma ci si rese conto della dimensione del problema (che aveva già causato parecchi morti nell’atletica come nel ciclismo) e 21 nazioni europee promossero i primi test anti-doping, stilando una lista delle sostanze proibite.
Negli anni, gli esami medici per gli sportivi sono diventati sempre più precisi e i controlli difficili da evitare, ma il doping non è stato sconfitto. Nel 1988 venne annullata la medaglia d’oro e il record mondiale al velocista Ben Johnson, accusato di aver fatto uso di anabolizzanti; mentre più recentemente il ciclista texano Lance Armstrong – vincitore di ben 7 Tour de France consecutivi – è stato privato di tutte le sue maglie gialle proprio per colpa del doping. Per non parlare della tennista Maria Sharapova, che lo scorso marzo ha ammesso di aver usato una sostanza proibita agli ultimi Australian Open.
In Italia, la “droga sportiva” fa sempre pensare al ciclista Marco Pantani, il cui coinvolgimento nel giro delle sostanze proibite è però ancora una questione controversa. Solo quattro anni fa anche il nostro campione olimpico di marcia Alex Schwazer è risultato positivo ai test anti-doping ed è stato squalificato dalle competizioni mondiali. 
Ma non sono solo le iniziative di “singoli” atleti che riescono a evadere i controlli: l’associazione internazionale delle federazioni atletiche (Iaaf), per esempio, è appena stata al centro di uno scandalo secondo cui l’ex presidente Lamine Diack, con la collaborazione dello Stato, avrebbe intascato 200mila euro per coprire gli atleti russi dopati i quali – se le ipotesi fossero confermate – non potrebbero nemmeno gareggiare alle prossime olimpiadi.
Persino sullo sport leale per eccellenza, il rugby, si stende una minacciosa ombra nera: secondo alcune indagini ancora in corso a cura della magistratura francese, infatti, alcune farmacie d’oltralpe avrebbero “spacciato” dopaggio ai giocatori della squadra del Tolone.

Spie e scommesse
Per creatività, a volte, le oscenità sportive superano la fantasia: per esempio, un eclatante caso automobilistico scoppiato nel 2007 potrebbe benissimo essere la trama di un film di spionaggio e invece è l’ennesimo lato buio dello sport, fatto di rancori e malaffare.
Si tratta del piano architettato dieci anni fa esatti dal tecnico della Ferrari Nigel Stepney, il quale – arrabbiato per una mancata promozione – ha trafugato i segretissimi progetti per la nuova monoposto del Cavallino e li ha trasmessi fotocopiati ai meccanici della scuderia rivale McLaren. Non solo: il tecnico ha aggiunto una polvere nel serbatoio delle vetture dei piloti per compromettere il funzionamento dei motori in gara.
Meno grave ma comunque scorretto il gesto della squadra di football New England Patriots, che ha filmato i gesti di suggerimento dell’allenatore avversario da una posizione non consentita meritandosi una multa salatissima di 250mila dollari!
Per rischiare meno (e guadagnarci di più), altri sportivi hanno inventato la truffa della scommessa, applicabile alle più diverse discipline. Il metodo consiste nel pagare i giocatori per perdere una partita e poi scommettere sul risultato falsato, assicurandosi così una vincita certa. Già nel 1919 il baseball americano fu al centro di uno scandalo di questo tipo che toccò sei giocatori del Chicago White Sox, accordatosi con degli scommettitori d’azzardo per perdere la finale.
Ma la pratica illegale ha conquistato tutti gli sport e tutti i Paesi: i calciatori italiani, tedeschi e persino norvegesi sono stati coinvolti in episodi simili. 
Ma le scommesse non hanno risparmiato i tennisti Daniele Bracciali e Potito Starace, appena multati con 60mila euro dal tribunale federale dello sport per aver alterato alcuni incontri, e nemmeno il campionato di cricket indiano.

Deve vincere lo sport pulito
In questo quadro apocalittico, però, c’è ancora chi prova (e riesce) a fare un gioco pulito. Il comitato sportivo della Valle d’Aosta, per esempio, ha da poco organizzato un ciclo di conferenze sul tema del doping rivolte soprattutto agli atleti più giovani; mentre la Lega calcistica di serie B ha dato il via – insieme a una società che gestisce le puntate sportive – al progetto «Regoliamoci. Le regole del gioco pulito», un’iniziativa per sconfiggere il calcioscommesse.
Già due anni fa, poi, 15 Paesi europei hanno firmato una convenzione (detta “Macolin”, dal nome della città svizzera dove è nato l’accordo) per discutere misure contro la corruzione nello sport e il nostro Comitato Olimpico Nazionale (Coni) ha preso la palla al balzo e ha lanciato una piattaforma online per denunciare (in modo anonimo) le attività di corruzione sportiva a livello locale.
Ma il vero “campione anti-scandalo” è il ventiquattrenne ciclista Eugenio Bani, il quale nel 2009 fu trovato positivo a un controllo ed ebbe il coraggio di denunciare la sua squadra di allora che lo riempiva di medicinali per correre più forte. 
Il suo gesto è stato incredibilmente punito con due anni di squalifica ma tornato in sella nel 2016, ha già vinto un’importante tappa della Vuelta Al Tachira, il giro del Venezuela. 
La ruota, per lui, ha ricominciato finalmente a girare nel verso giusto. <

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