Generazioni lontane, ma non troppo

Cinema di Paolo Morelli   “Un’estate in Provenza”,  commedia con Jean Reno Generazioni lontane, ma non troppo Una f...



Cinema
di Paolo Morelli
 
“Un’estate in Provenza”, 
commedia con Jean Reno
Generazioni lontane,
ma non troppo
Una forzata vacanza mette a confronto un nonno burbero, legato alla vita di campagna, con i suoi tre “tecnologici” nipoti. Due mondi distanti, che impareranno a scoprirsi.

   Se in genere nonni e nipoti stabiliscono un forte legame tra loro, che spesso è indispensabile alla loro crescita (e fa tornare i nonni un po’ bambini), in altri casi è frequente un conflitto generazionale piuttosto duro. La differenza di età, infatti, è evidente. Non è scontato che le due generazioni possano parlare la stessa lingua e comprendersi.
Nel film Un’estate in Provenza, diretto da Roselyne Bosch, il conflitto tra nonni e nipoti è al centro della storia. Anna Galiena, nei panni di Irene, è la nonna di Léa (Chloé Jouannet), Adrien (il noto youtuber francese Hugo Dessioux) e Théo (Lukas Pellissier), sordomuto dalla nascita. È lei a badare ai nipoti, dato che la figlia glieli ha affidati per seguire un dottorato a Montréal.

Inquietudini famigliari
È estate, tempo di vacanze, e Irene decide di portare i nipoti, abituati alla frenetica e tecnologica vita di Parigi, in Provenza, dal nonno Paul, interpretato da Jean Reno, burbero e dedito alla vita di campagna. Il nonno non ha un telefono, non sa cosa sia Internet, non ama passare il tempo con gli amici e si è separato dalla nonna tanti anni prima.
Il pessimo rapporto che ha con la figlia non lo ha aiutato a stabilire un legame con i nipoti. In più, i ragazzi vivono la vacanza come un’imposizione, visto che avrebbero preferito un posto vicino alla città, magari con l’accesso a Internet. Ci sono tutti gli ingredienti perché la vacanza vada a finire malissimo, invece, come nella migliore tradizione della commedia a lieto fine, accade qualcosa.
I tre nipoti, all’interno della fattoria del nonno, riscoprono uno stile di vita bucolico che nemmeno immaginavano possibile, trasformando il periodo in Provenza in un piacevole momento di confronto intergenerazionale. Non si tratta, infatti, di una semplice pellicola divertente, per quanto i momenti di ilarità non manchino e lascino all’estro di Jean Reno un ruolo da vero mattatore, ma è una felice commistione di generi.
Negli ultimi anni, il cinema è andato decisamente in questa direzione. A metà tra la commedia e il dramma, Un’estate in Provenza alterna alle meravigliose inquadrature della natura, dal forte impatto estetico, a dialoghi che lasciano emergere profonde inquietudini famigliari, il tutto nella cornice ironica del cinico humour francese.
«L’idea del film? Arriva dai miei nonni – ha detto la regista, Roselyne Bosch, al suo terzo lungometraggio – . Li ho conosciuti a stento ma ne conservo un ricordo poetico. È un gran vuoto. E poi avevo voglia di descrivere un conflitto generazionale tra nonni e nipoti. Amo il fatto che i nonni di oggi siano gli hippy di ieri».

Legami forti
E, in effetti, i due nonni interpretati da Jean Reno e Anna Galiena erano, da giovani, un perfetto stereotipo dei “figli dei fiori”, ed è curioso come nell’opera si riscoprano le loro origini, a volte dimenticate (come nel caso di Irene), a volte addirittura rinnegate (come per Paul). Un cambiamento che svela un malessere: la nostalgia dei tempi andati e la sconfitta personale per non essere riusciti a cambiare la società.
C’è chi, come la nonna, ha accettato questa situazione e si è adattata al modo di vivere urbano, e chi, al contrario, ha rifiutato questa impostazione di vita, allontanandosene il più possibile, esattamente come ha fatto il nonno. Due facce della stessa medaglia, unite da un legame fortissimo che, tra i campi di lavanda e la vita con i nipoti, i due ex coniugi finiscono per riscoprire. Sarà proprio questa forza, inaspettatamente viva, a tenere insieme la famiglia. «Oggi corrono in soccorso delle famiglie più sconquassate – ha aggiunto la regista – . Loro sono ancora in forma e quindi gli si chiede molto. Si meritavano un omaggio».
I genitori di Léa, Adrien e Théo stanno per separarsi. Mentre i due nonni si riavvicinano, mamma e papà si allontanano. L’unico punto fermo per i tre ragazzi diventano quei nonni che hanno sempre faticato a capire, Paul soprattutto, e che con la loro storia, i loro ricordi e la loro esperienza riescono a sostituirsi ai genitori nell’accompagnare il processo di crescita di tre giovani che, da un giorno all’altro, si ritrovano senza guida.
Spicca l’interpretazione di Jean Reno, già protagonista di Vento di primavera (2010), secondo film diretto da Roselyne Bosch. «Interpretare un nonno di solito intenerisce gli attori – ha spiegato Jean Reno a Repubblica – , temono di ritrovarsi intrappolati in ruoli da vecchi. Ma non soffro della sindrome del giovanilismo. Mi prendo in carico la mia età, non mi faccio stirare le rughe o eliminare le borse sotto agli occhi.
Paul è un uomo del ventesimo secolo costretto a rapportarsi con giovani del ventunesimo, il conflitto si snoda all’interno di una famiglia molto simile a quelle di oggi. Hugo, Chloé e il piccolo Lukas sono andati benissimo, il rapporto con loro mi ha ricordato quello che ho vissuto con Natalie Portman sul set di Lèon».
Nell’agile thriller drammatico diretto da Luc Besson nel 1994, Jean Reno interpretava un sicario italo-americano che si affezionava a una ragazzina, interpretata da Natalie Portman, comportandosi come un nuovo padre. «Jean è necessario – ha commentato la regista – . Anche fuori campo. Ha creato naturalmente un cerchio che mette tutti a distanza rispettabile. Con Jean non ci sono pacche sulle spalle. La dignità è una componente essenziale. Nel film, i suoi nipoti vogliono intromettersi per effrazione in questo cerchio.
Penso che il pubblico sarà toccato da questi momenti in cui Jean è disarmato, come nella scena del giardino con il piccolo Théo che gli prende la mano senza preavviso. Jean è come una melagrana, un frutto che esplode e rivela i suoi chicchi preziosi. Il rosso è il colore della pellicola, del resto».

Ritorno alla terra
Al di là della storia e del potente spaccato generazionale messo in scena da Roselyne Bosch, il film ha il merito di mostrare uno stile di vita che, oggi, sembra appartenere a un mondo d’altri tempi. La Provenza, così come altre zone a noi vicine, ospita abitanti che hanno ripreso a coltivare il loro giardino, è una regione dove il rapporto con la terra non si è interrotto, filtrato dall’asfalto e dal cemento, ma è stato addirittura rafforzato e rappresenta una componente imprescindibile della vita quotidiana.
Il nonno Paul, il contadino Paul, è una sintesi di questo “nuovo” modo di vivere, che è in realtà un semplice recupero del “vecchio” stile di vita. Si può rintracciare, nel film, un messaggio che esorta l’uomo a recuperare il proprio rapporto con la natura, perché è solo in questo modo che è possibile restare umani, coltivando le relazioni come si coltiva un orto: con impegno, attenzione e costanza.
«Credo che vivremo un grande esodo al contrario – conclude la regista – . Come negli anni Settanta. Le città sono diventate spietate. Paul dice tutto questo verso la fine del film. Si dice che ormai molte persone stiano cominciando a capire che la felicità non è fare delle lunghe passeggiate al centro commerciale di domenica».<

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