Joan Mirò, la forza della materia
arte di Francesca Binfarè La mostra al Mudec di Milano Joan Miró, la forza della materia Oltre cento opere ci guidano alla sc...
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di
Francesca Binfarè
La mostra al Mudec di Milano
Joan Miró,
la forza
della materia
Oltre cento opere ci guidano alla
scoperta del mondo
del grande artista spagnolo,
plasmate con tecniche,
forme e materiali diversi tra
loro.
Poliedrico. È questa la parola che
descrive meglio (ma non basta) Joan Mirò, il grande artista spagnolo
protagonista appunto della mostra “Joan Miró. La forza della materia”
presso il Museo delle Culture Mudec e visitabile fino al prossimo 11 settembre.
Ci si rende conto di questa sua particolare versatilità passando in
rassegna le oltre cento opere esposte, diverse tra loro per materiali,
tecniche e forme: a Mirò l’arte tradizionalmente intesa non interessava. Lui
voleva stravolgerne le regole, abbatterle, fare altro; per lui, il germe
creativo dell’arte si trovava nella materia.
Per questa sua particolare visione l'artista catalano ha avuto
un’influenza decisamente dirompente nell’arte del ’900. Secolo che ha
attraversato con una parabola creativa lunghissima, essendo nato nel
1893 e scomparso nel 1983, e con una potenza innegabile: guardando le sue opere
si sente, chiara e forte, ancora oggi.
Tra donne, stelle e costellazioni
Le opere
esposte al Mudec provengono dalla Fundació Joan Miró di Barcellona, da raccolte
private e dalla collezione della famiglia dell’artista. Entrando alla mostra si
viene accolti dalle note di Blues for Joan Miró di Duke Ellington,
un pezzo che il famosissimo compositore jazz improvvisò durante una visita a
una fondazione d’arte in occasione della quale conobbe il grande maestro
catalano.
L’allestimento
proposto dà l’idea che le opere di Miró emergano potenti da un ambiente
essenziale e scuro, che prendano vita con la forza dei loro colori.
Pochi − rossi potenti, blu intensi, gialli carichi e pennellate di nero
assoluto – ma caratteristici dell’arte di Miró.
I soggetti
più ricorrenti della sua produzione sono le donne, le stelle e le
costellazioni, gli uccelli: anche il dipinto scelto come simbolo della mostra
si intitola Due personaggi perseguitati da un uccello, un olio su tela
proveniente da una collezione privata e datato 1976.
Pur
essendo un forte innovatore, spesso spiazzante, il tratto di Miró è
caratteristico e riconoscibile. Il
percorso di visita, suddiviso in quattro sezioni, accompagna i
visitatori dentro il contesto storico dell’epoca in cui ha vissuto e operato
questo grande maestro dell’arte, attraverso le diverse tecniche artistiche
da lui utilizzate, e pone particolare attenzione sulla materia, come si
comprende fin dal titolo scelto per l’esposizione.
La
pittura di Miró è legata al surrealismo e agli influssi che i poeti di
questa corrente artistica e di pensiero esercitarono su di lui negli anni ’20 e
’30 del secolo scorso. I suoi amici poeti si lasciavano ispirare da parole
scelte a caso: è attraverso questo movimento culturale che Miró sperimenta
l’esigenza di una fusione tra pittura e poesia, semplificando la realtà
che riproduce nella sua opera, rimandando così all’arte primitiva.
È proprio
attraverso la semplificazione che Miró si concentra sui materiali, o meglio
sull’importanza della materia, raccontata nella mostra con opere realizzate tra
il 1931 e il 1981. La materia non è solo uno strumento per sperimentare nuove
tecniche, ma è fine a se stessa: così Miró rompe le regole dell’arte. Per
questo lungo il percorso artistico di
“Joan Miró. La forza della materia” si trovano opere realizzate su supporti
diversi, dal legno alle vecchie stoffe alla carta da imballaggio, ma anche
sculture in vari materiali così come arazzi e incisioni.
“Voglio assassinare la pittura”
Incamminandosi lungo il percorso di queste sperimentazioni Miró esprime
uno dei suoi concetti più noti, quello di “voler assassinare la pittura”. Per
ottenere questo risultato usa ogni tipo di superficie e di tecnica,
dipingendo anche per un certo periodo opere di formato molto piccolo (in mostra
a queste si contrappongono opere di dimensioni più notevoli), ma non solo:
verso la fine degli anni ’60, Miró si dedica con intensità alla scultura del
bronzo.
Negli
anni ’70 continua a creare opere su tela estremamente poetiche ma, sempre alla
ricerca di pratiche poco ortodosse, arriva a bruciare, lacerare e perforare le
tele, lavorando ad esempio su supporti come assi di legno e carta vetrata, distruggendo
e creando al tempo stesso. Come ha detto Miró, e come leggiamo lungo il
percorso della mostra, “L’inizio è qualcosa di immediato. È la materia a
decidere”. Così, ad esempio, il grande artista ha lasciato l’iniziativa a un
tovagliolo piegato in maniera un po’ particolare: da lì è nata la scultura di
un personaggio creata nel 1981.
Come ha
spiegato la direttrice della Fundació Joan
Miró, Rosa Maria Malet: «Se la condizione necessaria perché uno scrittore o un
artista possa essere considerato un classico è che la sua opera continui a
valere indipendentemente dal trascorrere del tempo, possiamo affermare che Joan
Miró è, effettivamente, un classico». Ma di certo il “classicismo” di
Miró non corrisponde ad alcun canone tradizionale. È proprio per questo che
visitare la mostra a lui dedicata è una continua sorpresa.
Lungo il
percorso espositivo sono inserite alcune postazioni di realtà virtuale:
infilandosi occhiali e cuffie si viene trasportati nell’atelier di Miró a Palma
di Maiorca, in quello che è stata battezzato “Dentro il sogno di Miró” ed è un
viaggio virtuale nella natura che lo ha ispirato, nei suoi studi e anche
nell’uomo dietro l’artista.
Il
percorso espositivo si chiude con “Inafferrabile caduta”, una videoinstallazione
ispirata a tecniche, colori e materiali usati da Mirò; dalla mostra si esce
attraversando la materia che si muove fluida: un ultimo passo (che qui non
sveliamo) che il grande maestro avrebbe apprezzato.<