Nella prigione con Caparezza

musica di Francesca Binfarè Intervista con il rapper Nella prigione con Caparezza A "rinchiuderlo in cella" è stato...

musica

di Francesca Binfarè

Intervista con il rapper

Nella prigione con Caparezza

A "rinchiuderlo in cella" è stato un disturbo alle orecchieche lo ha fatto sentire prigioniero della sua stessa vita.E ha reagito con un album denso e sfaccettato, dove parla di sé.


   Perché proprio a me? Questa è la domanda da cui è scaturito il fluire delle idee e dell’ispirazione che ha portato Caparezza a scrivere il suo nuovo disco, Prisoner 709. Tutto è iniziato quando il fischio che sentiva nelle orecchie da qualche anno (l’acufene, una patologia probabilmente dovuta all’esposizione ad alti volumi) è diventato insopportabile.
   Da qui è nata nel rapper una riflessione: «Perché proprio a me? Me lo sono chiesto perché ho concentrato tutta l’esistenza sulla musica come fossi un predestinato, come se nulla potesse accadermi, almeno fino a questo colpo di scena. Nell’arco della mia vita, centinaia di scelte diverse mi avrebbero portato in centinaia di direzioni e oggi avrei potuto essere l’esatto opposto di ciò che presumo io sia. E invece, anche stavolta sono tornato a scrivere».
   Ma chi “presumiamo” che sia Caparezza? In realtà, lo sappiamo: Michele Salvemini (così all’anagrafe) ha esordito nel mondo della musica con il nome di Mikimix, ha partecipato ad alcuni Festival di Sanremo tra i giovani, ma non funzionava. È dunque diventato Caparezza e con la nuova “identità” ha raggiunto il grande pubblico nel 2003 grazie al successo del brano Fuori dal tunnel, proponendo una sorta di rap alternativo con diverse sollecitazioni sonore e testi ricchi di spunti e di messaggi. Ed è così anche per Prisoner 709.

Come descriveresti il tuo nuovo disco?
   È un album sulla mia prigionia. Il ruolo centrale in questo cd lo riveste lo zero, che ha la forma del disco e che rappresenta la scelta tra una parola di 7 o di 9 lettere.

Cosa significa il numero che hai scelto per il titolo?
7 e 9 sono due poli. 709 sta per Michele – 7 lettere – o Caparezza – 9. Ma possono significare anche aprirsi o chiudersi, libertà o prigionia, per stare nella metafora che ho scelto.

E il senso di prisoner, prigioniero, qual è in questo contesto?
Dopo tanti anni di dischi e di concerti mi sono sentito un po’ prigioniero della mia vita. Ho avuto bisogno di un momento di riflessione, non a caso i colori del cd sono bianco e nero, ancora una volta i due poli. Per la prima volta nella mia carriera mi sono messo al centro dell’album.

Come mai hai sentito questa esigenza?
La musica, come tutte le cose che si amano e si odiano, mi ha dato tanto ma mi ha anche tolto qualcosa. Nel brano che apre Prisoner 709, che è Prosopagnosia (un deficit che impedisce il riconoscimento dei volti altrui), ho buttato fuori tutto quello che provavo, è stato uno sfogo: non riconoscevo più me stesso. Una volta esorcizzati quei pensieri, il disco è nato in maniera abbastanza naturale.

Hai detto che la musica ti ha tolto qualcosa: a cosa ti riferisci?
A un po’ del mio udito. Ho un deficit uditivo, causato da continui ronzii che sento. Sono cose che capitano, io non amo i piagnistei e detesto i vittimismi e quindi, dopo aver messo tutto sul piatto della bilancia, ho ricominciato a scrivere. Ho deciso dove andare, in questo caso nella direzione di un disco introverso, rivolto verso di me e non verso l’esterno, in cui analizzo me stesso.

Tu sei il prigioniero di questo album: ma per quale reato sei in carcere?
Il reato è l’esistere. Nella mia presa di coscienza di persona adulta ho pensato alle gabbie, al corpo, alla mancanza di serenità nonostante io faccia un lavoro privilegiato che mi dà anche alcune libertà: ad esempio certe mattine posso svegliarmi quando voglio.

E chi è la guardia di questo carcere in cui sei rinchiuso?
Il prigioniero è Michele e la guardia è Caparezza, che è una sentinella benevola. La prigione è la mia mente, quindi tutto deve essere riferito a me.

Ti sei mai interessato di psicologia e analisi?
Non ho le conoscenze adeguate per approfondire il discorso, ma la materia mi incuriosisce molto. La musica per me è terapeutica quindi non mi serve andare in analisi, però sto cercando di capire qualcosa di più della psicologia.

La musica è terapeutica, quindi alla fine del disco hai risolto le tensioni iniziali?
Sì. Infatti l’album si chiude con Prosopagno sia!, cioè passo dall’angoscia del primo brano all’accettazione che finalmente trovo nell’ultimo.

Nel brano Ti fa stare bene hai voluto la complicità e la freschezza di un coro di bambini.
La leggerezza dei bambini è fondamentale nel contesto di questa canzone. L’ho scritta al culmine delle mie angosce, ma non ero e non sono depresso! Anzi, sono sereno. Quando ti vedono triste gli adulti ti dicono “stai su”. Se chiedi a un bambino come venirne fuori, la sua risposta ti sorprende. Ti dice una cosa come «fai le bolle di sapone che ti passa», e in quel momento rifletti sul fatto che da bambino facevi così e tornavi felice.

Il tuo è un disco complesso...
Ha molti livelli di lettura, se si vogliono scoprire. Però capita di essere affascinati da qualcosa che non capiamo. Penso alle canzoni in inglese: non ne comprendiamo il testo ma ci piacciono ugualmente. Ecco, si può anche far finta che Prisoner 709 sia un disco di canzoni in inglese (dice ridendo, nda). Le canzoni devono esistere, al limite interessare. La logica di realizzare un album che debba piacere non mi appartiene. Si fa, ci sono fior di professionisti bravissimi in questo, ma io rispondo esclusivamente a me e a quello che voglio dire, nel momento in cui compongo.

Quanto impegno ci è voluto per scrivere un disco così articolato?
Penso che un artista debba confrontarsi con la voglia di non ripetersi. Personalmente cerco di far evolvere la grammatica del rap italiano, mi sento messo alla prova ogni volta e questo mi piace. Prisoner 709 l’ho cesellato finché sono stato davanti al microfono in studio di registrazione.

Lo possiamo definire un concept album?
Sì, ma prima mettiamoci d’accordo sul significato di concept. Se intendiamo che le canzoni raccontano una storia che si dipana lungo diversi capitoli, allora Prisoner 709 è un concept. Io però lo vedo più come un disco tematico, sull’argomento “come uscire da una situazione mentale”.

Tu sei una figura di artista che sfugge alle definizioni: ad esempio, con quella di rapper come ti vedi?
Il rap è una musica molto giovane, per sua natura è attaccato al presente e alla gioventù perché da ragazzi c’è quella voglia di raccontarsi che è la linfa di questo genere. Fare rap a 44 anni (l’età di Caparezza, nda) non è facile come a 20, ma mi piace continuare a farlo. <

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