La tecnologia non basta
attualità di Carlo Mantovani Idee brillanti La tecnologia non basta È quanto sostiene Massimiano Bucchi in un suo libro, ...
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attualità
di Carlo Mantovani
Idee
brillanti
La tecnologia
non basta
È quanto sostiene Massimiano Bucchi
in un suo libro,
dove dimostra come tante invenzioni
sono frutto di un lungo processo e le soluzioni hi-tech non sempre sono
sufficienti.
È vero che parlare di innovazione
in un Paese come il nostro, dove servono anni di dibattito anche solo per
cambiare sistema elettorale, è un po’ come parlare di crisi in Svizzera, ma
l’intervento di Massimiano Bucchi allo scorso Festival Letteratura di
Mantova, significativamente intitolato La tecnologia non basta, ha
dimostrato quanto la materia possa essere interessante.
Soprattutto se a parlarne è un sociologo della scienza come il
professor Bucchi, che nel suo libro Per un pugno di idee spiega
che l’innovazione non è come il Campo dei Miracoli di Pinocchio, dove
basta seminare quattro monete per raccogliere palate di soldi il giorno dopo: è
un processo lungo e complesso, dove la soluzione hi-tech, come avverte il
titolo della conferenza, non è sufficiente.
L'affollata conferenza di Massimiano Bucchi |
Perché, come diceva Bacone con una frase di sorprendente attualità,
«l’innovazione è uno straniero che bussa alla nostra porta e ci chiede di
cambiare». Insomma: anche quando la tecnologia è disponibile, non è detto che lo
siano le persone.
Tra forchetta e kalashnikov
Per perorare la sua illuminante causa, l’autore analizza una serie di
invenzioni che, come recita il sottotitolo del libro, “hanno cambiato la nostra
vita”. Prendiamo, ad esempio, il caso della forchetta, uno strumento il
cui uso oggi appare normale, ma che in realtà ha impiegato settecento anni ad
imporsi sulle tavole italiane: pur avendo notizia della sua esistenza, anche se
in forma rudimentale, intorno all’anno Mille, solo nel Settecento usare la
forchetta è considerata una questione di igiene ed eleganza, una specie di
obbligo sociale.
Un’invenzione che ha cambiato il nostro approccio al cibo e il modo di
stare a tavola, pur avendo un contenuto tecnologico bassissimo; e favorita, in
Italia, dall’esigenza di mangiare la pasta. Per convincersi che senza
l’approvazione sociale non ci può essere innovazione, basta pensare a
Google: un motore di ricerca imprescindibile, un oracolo dei giorni nostri il
cui successo si basa sul quotidiano utilizzo del web da parte dei navigatori.
L’invenzione della vera arma di distruzione di massa, avvenuta nel 1947
con la produzione del tristemente famoso kalashnikov, serve a sfatare un
altro luogo comune: quello secondo cui le invenzioni provengono dagli istituti
di ricerca tecnologica.
Questo mitragliatore, utilizzato in tutto il mondo per
la sua praticità e robustezza, è stato ideato da un ex soldato russo rimasto
ferito durante la Seconda Guerra Mondiale, a suo vedere per colpa dell’arma non
abbastanza efficiente: il quale, ad un concorso per progettare un nuovo
mitragliatore, sbaragliò la concorrenza apparentemente insuperabile di
ingegneri e quotati professionisti del settore. A conferma che l’idea vincente
non sempre proviene da ambienti accademici: la freschezza mentale
dell’outsider, non condizionato dalle conoscenze attuali, a volte ha la meglio.
Un salto da record
Un altro esempio di invenzione rivoluzionaria a basso contenuto
tecnologico è la disinfezione, introdotta nella seconda metà dell’800 da
un medico ostetrico ungherese, Ignaz Philipp Semmelweis, il quale comprese che
i tanti decessi tra le partorienti erano dovuti al semplice ma drammatico fatto
che il personale degli ospedali, fino ad allora, non si lavava le mani.
Il rimedio, una semplice soluzione antisettica a base di calce che
avrebbe cambiato la storia dell’igiene pubblica, non fu però accettato dalla
comunità medica, che considerò Sommelweis alla stregua di un pazzo.
Emarginato dai colleghi, il nostro eroe morì in un ospedale psichiatrico: a
conferma che per produrre innovazione e quindi cambiamento, l’invenzione deve
superare una serie di insidiose resistenze sociali.
Di I, Bjarteh, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2369822 |
Il nuovo stile funziona così bene che Fosbury vince la medaglia d’oro,
stabilendo anche il nuovo record. Nonostante lo strepitoso successo, tuttavia,
lo stile Fosbury non venne adottato immediatamente da tutti: alle Olimpiadi del
’72, infatti, più della metà degli atleti continuava ad utilizzare lo stile
ventrale e debbono passare almeno altri quattro-cinque anni prima che il salto
alla Fosbury si affermi definitivamente.
La musica nelle orecchie
Come abbiamo detto, le invenzioni non sono quasi mai il frutto di un
processo lineare. A volte, addirittura, sono frutto del caso, come è accaduto
nel 1958 per Tennis for two, il primo video gioco della storia:
che non venne fuori da qualche creativo dell’informatica, come sarebbe lecito
attendersi, ma da un fisico americano, che aveva l’esigenza di intrattenere i
visitatori del centro in cui lavorava. Il gioco ebbe un tale successo che le
persone facevano la fila per provarlo.
Il primo walkman della Sony |
L’ingegnere insiste e alla fine il suo registratore
viene prodotto: dopo un mese, sono già stati venduti due milioni di pezzi.
Morita aveva capito che la tecnologia è importante, ma non è tutto: e che tanti
giovani, pur di portare la musica con sé e fare altre cose mentre la ascoltano
(dando così vita al fenomeno, oggi dilagante, del multitasking), erano disposti
a rinunciare ad un po’ di tecnologia.
Segno che alla fine, per avere
successo, l’invenzione deve intercettare un’esigenza sociale. Insomma,
ormai è chiaro: per innovare davvero e cambiare il mondo, oltre alla tecnica bisogna capire anche le persone. <