Mondiali di calcio
SPORT di Stefano Ferrio Fischio d’inizio Un lupo in campo È la mascotte dei Mondiali di calcio in Russia che vedranno sfidarsi 3...
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di Stefano
Ferrio
Fischio
d’inizio
Un lupo in
campo
È la mascotte dei Mondiali di calcio in Russia che
vedranno sfidarsi 32 Nazionali. Mancano gli azzurri, ma noi tiferemo per la
piccola Islanda: stessa maglia e grande simpatia.
Con l’Italia
fuori, eliminata ai play off dalla Svezia, ci sentiremo tutti un po’ islandesi,
idealmente in campo con la nazionale
“più piccola” mai vista a questi livelli: anche e soprattutto contro la
Germania campione in carica, il Brasile a caccia del suo sesto titolo, la
Spagna dei fuoriclasse, la Russia padrona di casa.
Sono
pensieri in libertà facilmente percepibili considerando che dal 14 giugno al 15
luglio prossimi la ventunesima edizione dei campionati mondiali di calcio, in
programma in Russia, catalizzerà l’attenzione di buona parte del pianeta. Giusto
assecondarli, questi pensieri, riferiti a una grande festa mediatico-popolare che coinvolge e appassiona
centinaia di milioni di persone, anche se potremo farlo nel modo migliore
possibile dopo due indispensabili considerazioni.
Business e violenza
La prima:
mai si dimentichi che, come tutti i grandi eventi sportivi, in grado di
attivare un indotto affaristico-pubblicitario da miliardi di euro, i Mondiali
di calcio sono innanzitutto un business,
di fronte al quale i cosiddetti “buoni principi” compiono spesso un passo
indietro.
Lo ricorda
il documentario The Workers Cup, “La
coppa dei lavoratori”, visibile di questi tempi anche nelle sale italiane; lo
ha girato l’inglese Adam Sobel, dando testimonianza delle condizioni di sfruttamento in cui sgobba per stipendi da fame un
milione e mezzo di immigrati, asiatici e africani, nei cantieri dove si stanno
preparando i Mondiali successivi, quelli del 2022, assegnati fra infinite
polemiche all’emirato arabo del Qatar.
La seconda: il
calcio continua a esercitare forza
attrattiva verso la violenza, anche nelle sue forme più tetramente squadristiche.
È un tema riaffiorato in vari servizi giornalistici degli ultimi tempi,
dedicati al tema degli hooligan, dediti a un tifo estremo e “armato” in grado
di deflagrare nel modo più drammatico con l’approssimarsi di eventi così
importanti e seguiti.
Per quel che
riguarda i Mondiali 2018, le frange più agguerrite degli ultras russi si stanno addestrando da tempo, in veri e propri campi
paramilitari, al solo scopo di affrontare nel modo più sanguinario possibile le
schiere di tifosi inglesi, rese solitamente moleste dalla smodata assunzione
collettiva di alcolici. Attorno a queste due “bande” si segnalano da tempo,
potenzialmente alleate o dell’una o dell’altra, “spedizioni” in arrivo da altri
Paesi, come Argentina e Polonia.
Quanto meno
ovvio che quest’emergenza sia in cima alle priorità del governo russo del
presidente Vladimir Putin,
determinato a utilizzare i Mondiali come gigantesco spot del proprio potere
politico e mediatico; ma le imponenti misure preventive e repressive che il
regime di Mosca sarà in grado di attuare, utilizzando anche le risorse del
proprio notissimo servizio segreto, il Kgb, potrebbero non essere sufficienti
di fronte alla forza d’urto messa in
campo da migliaia di ultras, di cui colpiscono la dotazione di armi di ogni
tipo e la strenua capacità di organizzarsi.
I gironi
Ragioni di
più per tifare Islanda, ovvero il
calcio, corale e un po’ scanzonato, che interpreta in campo la squadra in
maglia azzurra ammirata due anni fa agli Europei disputati in Francia. Non solo
per il colore della maglia, uguale a quello della modestissima Italia spedita a
casa nel novembre scorso dopo due partite di playoff giocate contro la Svezia.
C’è
dell’altro, che consiste nella
freschezza e nel coraggio con cui la nazionale del Paese più piccolo mai
qualificatosi ai Mondiali giostra contro qualsiasi avversaria, trascinata dai
numeri e dalla fisicità di giocatori come il centrocampista Bikir Bjarnason e l’attaccante
Johann Berg Gudmundsson, entrambi tesserati in Premier League, con le maglie di
Aston Villa e Burnley.
Della forza
d’urto espressa in campo dagli islandesi sanno anche troppo bene nazionali più ricche e illustri mandate
al tappeto dalla nazionale del ct Heimir Hallgrimsson, come l’Inghilterra,
l’Olanda, la Turchia e la Croazia.
Detto dei
nordici più caldi del mondo, come testimoniato dai canti che la squadra intona
assieme ai propri irriducibili tifosi, a cominciare dall’inno Feroalok (Io sono a casa), guardiamo
all’assieme delle trentadue nazionali
iscritte a Mosca 2018, suddivise in otto gironi da quattro.
Gruppo A: Russia, Arabia, Uruguay, Egitto
Sulla carta
è un girone più che sorteggiato, disegnato a uso e consumo dei padroni di casa,
da tempo non al top delle classifiche mondiali. Per loro, dopo la partita che
inaugurerà i Mondiali, il 14 giugno contro l’Arabia, due avversarie sulla carta
abbordabili, anche se l’Uruguay di un cannoniere come Luis Suarez, e l’Egitto
del possibile Pallone d’Oro Mohamed Salah, superstar del Liverpool, hanno i
propri assi da gettare in campo.
Gruppo B: Spagna, Portogallo, Marocco, Iran
Arduo
pensare che il Marocco dello juventino Benatia e l’Iran, dove il football ha
come primo avversario l’integralismo degli ayatollah, riescano a ostacolare il
cammino verso gli ottavi di finale della “Roja” già campione del mondo e
d’Europa, e del Portogallo del fenomeno Cristiano Ronaldo.
Gruppo C: Francia, Perù, Australia, Danimarca
Più che come
un girone, si annuncia come un monologo dei Blues guidati dal talento offensivo
di Antoine Greizmann. Alle loro spalle lotta aperta per il secondo posto, con
attenzione particolare all’entusiasmo del Perù, tornato a qualificarsi ai
Mondiali dopo trentasei anni di assenza.
Gruppo D: Argentina, Croazia, Islanda, Nigeria
Girone fatto
apposta per misurare la competitività dell’Islanda, opposta all’Argentina delle
superstar Messi e Aguero, alla proverbiale durezza dei croati, e alle
strepitose potenzialità fisiche dei nigeriani.
Gruppo E: Brasile, Costa Rica, Serbia, Svizzera
Da quattro
anni in Brasile pensano solo a lavare l’onta del Mondiale naufragato in casa
con quello storico 1-7 subito dalla Germania. La missione è affidata a uno
squadrone reso formidabile da giocatori come Marcelo, laterale del Real Madrid,
e Firmino, attaccante del Liverpool. Le altre tre sono date più o meno alla
pari per il secondo posto.
Gruppo F: Germania, Messico, Corea del Sud, Svezia
Come spesso
succede, l’urna ha avuto un occhio di riguardo per la nazionale campione del
mondo in carica, una Germania che poco dovrebbe sudare per avere ragione di
avversarie tranquillamente alla sua portata, compreso il Messico candidato al
secondo posto.
Gruppo G: Belgio, Inghilterra, Panama, Tunisia
Più che della
solita Inghilterra, famosa per i proclami di vittoria e non per i successi
ottenuti sul campo, qui occorre tenere conto del carisma espresso dal Belgio
dei Mertens e dei Nainggolan ben noti ai tifosi di Napoli e Roma. Non sono i
soli, dovendo aggiungere altri talenti, come quelli del centrocampista Kevin De
Bruyne, blindato dal Manchester City fino al 2023, o dell’attaccante Eden
Hazard, stella del Chelsea in Premier League. Quanto alle altre due, la Tunisia
appartiene alla migliore scuola africana, e la nazionale panamense ha già vinto
il proprio Mondiale, eliminando gli Stati Uniti e facendo impazzire di gioia un
Paese intero.
Gruppo H: Polonia, Senegal, Colombia, Giappone
Girone di
potenziali outsider, su cui spicca la Polonia di Robert Lewandowski, folgorante
e spesso incontenibile bomber del Bayern Monaco.
Da questi
otto gruppi usciranno le sedici
nazionali ammesse ai turni a eliminazione diretta: dagli ottavi fino alla
finalissima, in programma il 15 luglio a Mosca. In attesa di scoprire chi
alzerà la Coppa del Mondo 2018, a noi italiani resta solo da fare da
spettatori. Sperando di imparare come si fa a volare così in alto. Anche
dall’Islanda.