Facciamo acqua!

DOSSIER di Consolata Morbelli Facciamo acqua! L’oro blu è sempre più prezioso. L’uomo lo spreca e sembra non curarsene troppo, m...


DOSSIER
di Consolata Morbelli

Facciamo acqua!

L’oro blu è sempre più prezioso. L’uomo lo spreca e sembra non curarsene troppo, mentre le riserve diminuiscono e gli ecosistemi marini sono vicini al collasso.

L’acqua è un bene comune fondamentale per la vita, eppure non lo sappiamo o volutamente lo vogliamo ignorare. Le nostre cattive abitudini porteranno in breve tempo a conseguenze drammatiche. Eppure l’acqua è un elemento cardine del nostro pianeta.
La Terra è ricoperta di 1.390 milioni di Km cubi di acqua, di cui il 97,5% è acqua salata presente nei mari e negli oceani e solo il 2,5% è acqua dolce, la gran parte sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari.
Dunque gli esseri umani hanno a disposizione solo 93.000 Km cubi, pari a circa allo 0,5% del totale. La classica goccia nel mare. Di quest’acqua solo una parte è potabile o non-contaminata, e di questa distribuita in maniera diseguale tra aree del pianeta.
Ad oggi lo stato di salute della biosfera del nostro pianeta è pessimo. Il danno che stiamo creando agli ecosistemi marini, d’acqua dolce e terrestri, da cui dipendono lo sviluppo e il benessere delle società umane, è tale che negli ultimi 50-60 anni abbiamo eroso le strutture, i processi, le funzioni e i servizi degli stessi ecosistemi ad una velocità che non conosce paragoni nella storia umana. Il sistema Terra non è mai stato così fragile, da quando sono comparse le moderne società umane.

Sempre meno risorse idriche
Con l’aumento dei consumi idrici e della popolazione, la disponibilità pro-capite a livello globale è passata da 9.000 metri cubi d’acqua potabile a disposizione negli anni Novanta a 7.800 nella prima decade del XXI secolo e si prevede che nel 2025 scenderà ancora, a poco più di 5.000 metri cubi.
Per questo negli ultimi anni sta prendendo piede, silenziosamente, una corsa all’accaparramento delle risorse idriche. Fiumi, bacini, fonti: imprese private e Stati fortemente esposti a crisi idriche hanno iniziato a lavorare attivamente per garantirsi approvvigionamenti costanti per agricoltura, industria e uso civile, attraverso l’acquisizione di risorse strategiche e la realizzazione di mega-infrastrutture.
Gli effetti dei mutamenti climatici, l’inquinamento, gli sprechi, la rendono una risorsa sempre più scarsa e al centro di gravi tensioni sociali, in particolare nei Paesi del sud del mondo.
Anche in Italia è diventato più urgente il problema della corretta gestione di questa risorsa che presenta varie problematiche. Ancora oggi nel nostro Paese 18 milioni di cittadini scaricano i loro reflui nei fiumi, nei laghi e nel mare senza depurazione, 9 milioni non sono serviti dalla rete fognaria, 1 milione beve acqua del rubinetto in deroga ai parametri di qualità per arsenico, boro e fluoruri.

Tanti consumi, scarsa qualità
La Giornata Mondiale dell’Acqua (in inglese World Water Day) è una ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1992, prevista all’interno delle direttive dell’agenda 21, risultato della conferenza di Rio. Il 22 marzo di ogni anno gli Stati che siedono all’interno dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sono invitati alla promozione dell’acqua con attività concrete nei loro rispettivi Paesi.
Nel 2005, con la coordinazione del dipartimento degli affari sociali ed economici dell’ONU, la giornata internazionale dell’acqua determinò l’inizio di una seconda decade dedicata alle azioni per salvaguardare l’oro blu.
Oltre ai rappresentanti dell’ONU, dal 2005 anche una serie di Organizzazioni Non Governative hanno utilizzato tale giornata come momento per sensibilizzare l’attenzione del pubblico sulla questione, con occhio di riguardo all’accesso all’acqua dolce e alla sostenibilità degli habitat acquatici.
Nonostante gli sforzi, quest’anno i dati diffusi dalle Nazioni Unite hanno rivelato che 2,1 miliardi di persone vivono senza acqua potabile nella propria abitazione e, poiché si stima che entro il 2050 la popolazione del mondo crescerà di altri 2 miliardi, la domanda globale di acqua potrebbe salire del 30%. Ma dove sono i consumi maggiori di acqua?
L’agricoltura conta il 70% dei consumi globali di acqua, soprattutto per l’irrigazione; l’industria prende il 20% del totale, dominato da energia e manifattura; il restante 10% va all’uso domestico, di cui la porzione usata per bere è meno dell’1%.
I dati sottolineano anche i problemi nella qualità dell’acqua: l’80% delle acque di scarico fluiscono nell’ambiente senza essere trattate e 2,3 miliardi di persone non dispongono ancora di impianti igienici di base, con il risultato che ogni anno muoiono di diarrea 361.000 bambini di meno di 5 anni. Le pietose condizioni dei centri sanitari e l’acqua contaminata favoriscono anche la trasmissione di malattie come il colera, la dissenteria, l’epatite e il tifo.
  
BOX

Mi presento: sono l’acquaNome - Ufficialmente H₂O, cioè composto di due atomi di idrogeno legati a uno di ossigeno. Fu battezzata così da Lavoisier e Cavendish alla fine del 1700.
Nascita - 5 miliardi di anni fa circa in circostanze ancora poco chiare.
Cittadinanza - Terrestre. Ma ce ne sono tracce anche su altri pianeti. Almeno sembra.
Residenza - Molte. Per il 97% sta in mari e oceani; nei ghiacciai si trova per il 2%; intorno all’1% nelle falde sotterranee e solo per lo 0,02% nei fiumi e nei laghi.
Stato - Sono tre. Solido, quand’è ghiaccio, liquido e gassoso, sottoforma di vapore acqueo.
Colore - Nessuno. Ai nostri occhi quella del mare appare blu perché le sue molecole assorbono meglio i raggi rossi e arancioni della luce del Sole, lasciando visibili i colori più azzurrati. 

La Campagna “Acqua è vita”
«L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani».
Lo scrive papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, eppure ancora troppe persone oggi non hanno accesso all’acqua. L’indisponibilità totale e duratura di acqua corrente in Europa si immagina debellata ma, al contrario, può tornare a colpire ovunque, anche in Italia.
La mancanza d’acqua è uno dei fattori che più velocemente produce emarginazione sociale. Ancora una volta il divario tra chi ha accesso all’acqua e chi non lo ha è lo stesso che separa i ricchi dai poveri.
L’associazione di volontariato Onlus LVIA (Associazione Internazionale Volontari Laici), impegnata da anni nel campo dello sviluppo e della lotta alla povertà dei Paesi più disagiati, ha lanciato nel 2003 “Acqua è vita”, una Campagna d’informazione e raccolta fondi finalizzata a sensibilizzare la società civile sulla crisi idrica mondiale e per garantire il diritto e l’accesso all’acqua sicura e potabile alle popolazioni africane che ancora ne sono prive.
L’appello di Ezio Elia, presidente di LVIA, alle istituzioni e alla società civile è di non fermarsi. «Tra il 2000 e il 2015 – sostiene – è stata dimezzata la percentuale delle persone senza accesso a fonti di acqua potabile “migliorate”, ossia reti idriche e pozzi in cui la qualità dell’acqua è soggetta a controllo. Significa che l’impegno della comunità internazionale ha dato i suoi frutti».
La situazione, tuttavia, resta critica. Continua Elia: «Ad oggi ancora 1,8 miliardi di persone bevono acqua contaminata: bisogna continuare ad impegnarsi, anche adottando nuove strategie soprattutto di fronte a situazioni di cambiamento climatico e da cui le comunità devono imparare a tutelarsi per evitare effetti catastrofici sulle popolazioni, come le carestie e crisi alimentari».
Con le sue battaglie LVIA ha testimoniato che quando arriva l’acqua, la vita si trasforma: migliora l’esistenza delle famiglie, soprattutto delle donne, migliorano l’economia, la salute e l’alimentazione, diminuiscono i conflitti.

Cambia il clima e porta siccità
La situazione idrica nel mondo è resa più difficile dal cambiamento climatico. Le piogge diminuiscono e in contesti già fragili queste situazioni possono causare delle crisi umanitarie e alimentari.
È il caso dell’Afar, regione nel nord Etiopia, che nel 2012 è stata toccata dalla più grave siccità degli ultimi 30 anni. Le piogge sono mancate per due stagioni consecutive e hanno messo a rischio la vita di 10 milioni di persone in tutto il Paese, con la regione particolarmente colpita.
Tre milioni di anni fa l’uomo popolava l’Etiopia Orientale: era l’inizio della storia della specie. La valle del fiume Awash, nell’Afar, è considerata la culla dell’umanità ma oggi si presenta come una savana inaridita e inospitale per gran parte dell’anno. Nella stagione secca, cioè il periodo in cui tendenzialmente non piove e che qui dura ben sette mesi l’anno, le temperature possono sfiorare i 50 gradi.
Il cambiamento climatico mostra più che altrove le sue drammatiche conseguenze, acqua e pascoli scarseggiano e le siccità si ripetono con maggior frequenza negli anni.
L’Organizzazione Meteorologica delle Nazioni Unite ha confermato a maggio 2017 che c’è una probabilità tra il 50 e il 60% che l’Oceano Pacifico subirà un’altra ondata di riscaldamento, fenomeno che colpirà nuovamente le aree del Corno d’Africa, compresa l’Etiopia.
Paradossalmente, anche se hanno la più piccola impronta ecologica del globo, la fragile esistenza dei pastori nel Corno d’Africa è probabilmente la più minacciata dal cambiamento climatico. LVIA ha operato in Afar dall’inizio della crisi: «Insieme alle autorità e comunità locali – ha spiegato Ezio Elia – , ci siamo occupati di realizzare infrastrutture idriche e igienico-sanitarie come le latrine.
La scelta condivisa è stata di privilegiare la costruzione di pozzi alimentati da sistemi semplici, facilmente gestibili e riparabili in caso di guasti, con tecnologie a basso impatto ambientale e di rafforzare attività economiche come la pastorizia, già praticate e alla base dell’economia locale. Si tratta di azioni puntuali ma essenziali per risollevare persone così fortemente provate dalla mancanza di acqua».

Allarme 2020: il caso ExxonMobil
Un gruppo di leader climatici e di esperti di business ha identificato nel 2020 l’anno che potrebbe cambiare il destino del nostro pianeta, che sembrerebbe avviato verso conseguenze devastanti a causa delle emissioni di gas serra.
Convocato a Londra da Christiana Figueres, l’ex segretaria esecutiva dell’United Nations framework convention on climate change (Unfccc), il gruppo punta a incoraggiare un’azione climatica urgente nei prossimi tre anni con lo scopo di tenere alta l’attenzione sulle popolazioni vulnerabili dai peggiori impatti dei cambiamenti climatici e raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Ciò che sta avvenendo sul clima è dunque una delle cause complesse del water grabbing. Indubbiamente alla base del cambiamento c’è il settore energetico, nello specifico l’industria petrolifera, che per anni ha fatto pressione per contrastare la scienza climatica, arrivando addirittura, com’è stato denunciato da alcuni studi, a fuorviare l’opinione pubblica.
Nell’agosto 2017 è stato pubblicato su Environmental Research Letters un articolo di Geoffrey Supran e Naomi Oreskes (Dipartimento di Storia della Scienza dell’Università di Harvard) dal titolo Assessing ExxonMobil’s climate change communications (1977-2014)”. La ricerca ha preso avvio dal fatto che nel 2016 l’avvocatura generale di 17 Stati dell’Unione aveva annunciato di voler collaborare a iniziative relative al cambiamento climatico, come indagini in corso per stabilire se la compagnia petrolifera
ExxonMobil avesse violato ripetutamente la protezione dei consumatori o degli investitori attraverso comunicazioni riguardanti il riscaldamento globale antropogenico (AGW).
Stando a quello che veniva scritto, il gigante petrolifero americano, avrebbe ingannato per quattro decenni l’opinione pubblica sui rischi climatici; mentre uno studio del 1968 dell’American Petroil Institute (Api) aveva già trovato una correlazione tra combustibili fossili e aumento della temperatura.
Oggi la scienza è chiara: le emissioni di gas climalteranti come anidride carbonica e metano sono alla base di una trasformazione delle temperature, dei regimi piovosi e nevosi, di un aumento della siccità e dell’acidificazione degli oceani, con una serie di diramazioni che vanno dalla perdita di biodiversità animale alla messa a rischio della sicurezza globale alimentare. A pagare le principali conseguenze sarà la geografia idrica del pianeta, scompigliando una stabilità dei cicli rimasta invariata per oltre undicimila anni.
Gli effetti più palesi e violenti del cambiamento climatico sulla nostra quotidianità si scateneranno sotto forma di siccità, di tempeste, di innalzamento delle acque, di allagamenti, di salinizzazioni delle falde acquifere. Per questo il 2020 è stato identificato come un anno cruciale per invertire il modello di industrializzazione e di consumo del pianeta.
La campagna si basa su un rapporto appena pubblicato, 2020: The Climate Turning Point e punta ad evidenziare perché è necessario che proprio questo anno sia il punto di svolta per il clima e, soprattutto, come ciò possa essere realisticamente raggiunto, grazie alla crescita esponenziale dell’azione per il clima.
Il nuovo rapporto, redatto da Yale University, Carbon Tracker e Climate Action Tracker (un consorzio tra Ecofys, New Climate Institute e Climate Analytics), al quale ha contribuito anche il Potsdam Institute per quanto riguarda la ricerca sull’impatto climatico, riassume le più aggiornate basi scientifiche per un’azione urgente per ridurre le emissioni di carbonio e fornisce una serie di azioni precise e mirate.


Sei punti cardine
Per salvare il mondo da una possibile catastrofe climatica, nei prossimi tre anni imprese, investitori e politici (compresi quelli del G7 che intanto a Roma stavano sprofondando nella palude dei veti Usa) devono fare subito i passi necessari, e realizzabili, per raggiungere i principali traguardi entro il 2020. Tra questi il rapporto individua sei argomenti su cui interrogarsi e su cui lavorare per attuare il cambiamento:
1 Energia: le rinnovabili devono poter essere competitive con i combustibili fossili come nuove fonti di energia elettrica in tutto il mondo.
2 Trasporti: il trasporto a emissioni zero è la forma preferita per tutta la nuova mobilità nelle grandi città del mondo e per le rotte dei trasporti.
3 Infrastrutture: le città e gli Stati devono stabilire piani e attuare politiche e regolamenti con l’obiettivo di decarbonizzare completamente le infrastrutture entro il 2050.
4 Utilizzo del suolo: la deforestazione su vasta scala deve essere sostituita dal recupero e dal ripristino su vasta scala del territorio e l’agricoltura deve indirizzarsi verso pratiche rispettose della terra.
5 Industria: l’industria pesante – tra cui ferro e acciaio, cemento, prodotti chimici, oil & gas – deve impegnarsi ad essere compatibile con l’accordo di Parigi.
6 Finanza: gli investimenti in azione per il clima devono arrivare a oltre un trilione di dollari all’anno e tutte le istituzioni finanziarie devono rendere nota una strategia di transizione
Christiana Figueres ha spiegato l’urgenza che sta dietro l’individuazione delle pietre miliari del 2020: «Ogni individuo ha il diritto di prosperare, e se nel 2020 le emissioni non inizieranno un rapido declino, le persone più vulnerabili del mondo soffriranno ancora di più per gli impatti devastanti dei cambiamenti climatici.

La scienza ci dice che questo è il nostro imperativo, la tecnologia ci dimostra che abbiamo quello che ci vuole, l’economia che stiamo andando nella giusta direzione ed i benefici per l’umanità saranno immensi. Questo non è il momento di vacillare. Quel che è mancato dopo Parigi è un focal point per l’azione a breve termine, che è il motivo per cui abbiamo riunito alcune delle migliori menti in materia per dimostrare collettivamente che è possibile la trasformazione del sistema in uno libero dall’energia fossile in un arco di tempo ragionevole.
Abbiamo la responsabilità collettiva di aumentare l’ambizione, elevare le nostre azioni e andare avanti insieme più velocemente per salvaguardare gli obiettivi dello sviluppo sostenibile e proteggere il diritto inalienabile alla vita delle nostre generazioni e di quelle future. Cerchiamo di non essere in ritardo».

Bottiglie costose
Il settore dell’acqua in bottiglia in Italia non conosce crisi: un giro d’affari stimato intorno ai 10 miliardi di euro all’anno con un fatturato, per le sole aziende imbottigliatrici, di 2,8 miliardi di euro, di cui solo lo 0,6% arriva nelle casse dello Stato.
Questo è quanto è stato denunciato dal rapporto di “Legambiente” e “Altreconomia” Acqua in bottiglia: un’anomalia tutta italiana, che ha evidenziato come in media le Regioni chiedano alle società appena 1 millesimo di euro al litro, 250 volte meno del prezzo che in media i cittadini pagano una bottiglia.
In Italia ci sono oltre 260 marchi distribuiti in circa 140 stabilimenti che imbottigliano gli oltre 14 miliardi di litri necessari per garantire il consumo procapite di 206 litri annui, che fa dell’Italia il primo Paese in Europa e il secondo al mondo (dietro solo al Messico) per consumo di acqua imbottigliata, stando ai dati forniti da Censis.
«Proponiamo di applicare un canone minimo a livello nazionale di almeno 20 euro al metro cubo, cioè 2 centesimi di euro al litro imbottigliato – ha detto Giorgio Zampetti, direttore generale di “Legambiente” – . Un canone comunque irrisorio, ma già dieci volte superiore a quello attuale e che permetterebbe alle Regioni di incrementare gli introiti di almeno 280 milioni di euro l’anno, da reinvestire in politiche e interventi in favore dell’acqua di rubinetto».
L’obiettivo di incrementare l’utilizzo dell’acqua di rubinetto e ridurre l’eccessivo uso di bottiglie di plastica è anche al centro dei recenti cambiamenti in atto nella legislazione europea, dalla Plastic Strategy alla nuova proposta di revisione della direttiva sulle acque potabili.
Eppure il consumo di acqua in bottiglia nel nostro Paese continua a crescere, con una produzione che oscilla tra i 7 e gli 8 miliardi di bottiglie all’anno. Nel 2010 erano 12 i miliardi di litri confezionati, saliti a 14 nel 2016. Il 90% dell’acqua emunta e imbottigliata in Italia non valica i confini. Oggi si contano oltre 290 concessioni attive nel territorio per un totale di circa 250 kmq di aree date in affidamento.
A questo quadro già di per sé allarmante si aggiunge un altro elemento non da poco: l’acqua nelle bottiglie di plastica è inquinante. In più ci sono dubbi sugli effetti dei possibili microframmenti di Pet delle confezioni che ingeriamo insieme all’acqua, tanto che qualche giorno fa l'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato ricerche più approfondite in merito.
In Italia, in base ai dati elaborati da “Legambiente”, tra il 90 e il 95% delle acque viene imbottigliato in contenitori di plastica e tra il 5 e il 10% in contenitori in vetro: in pratica, ogni anno vengono utilizzate tra i 7 e gli 8 miliardi di bottiglie di plastica. Numeri impressionanti anche rispetto agli impatti ambientali: più del 90% delle plastiche prodotte derivano da materie prime fossili vergini (il 6% del consumo globale di petrolio), senza contare poi che l’80% dell’acqua imbottigliata in Italia viene trasportata su gomma (un autotreno immette nell’ambiente anche 1300 kg di CO2 ogni 1000 km).
Dall’indagine Beach Litter condotta da “Legambiente” lo scorso anno emerge che oltre l’80% dei rifiuti rinvenuti sulle spiagge italiane tra il 2014 e il 2017 sono oggetti in plastica e che bottiglie e tappi ne rappresentano il 18%: l’equivalente di oltre 15mila bottiglie. Senza calcolare che i rifiuti visibili sono stimati in una percentuale di circa il 15% rispetto a quelli in realtà sommersi e presenti sui nostri fondali.

Cambiare stili di vita
“Senza acqua la vita è minacciata”: questo è quanto è stato sottolineato dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica, riportato nell’ambito di un referendum interamente dedicato al tema della gestione dell’acqua organizzato dal gruppo diocesano Giorgio La Pira di Cagliari. Anche il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha spesso sottolineato la relazione tra la considerazione dell’acqua come dono e il diritto ad essa di persone e popoli.
L’acqua è un bene comune della famiglia umana, da gestire in modo adeguato per garantire la vivibilità del pianeta anche alle prossime generazioni. È necessario, perciò, impostare politiche dell’acqua capaci di contrastare gli sprechi e le inefficienze e di promuovere, nello stesso tempo, un uso responsabile nei vari settori.
Occorre tutelare la disponibilità di acqua pulita dalle varie forme di inquinamento che la minacciano e assicurare la stabilità del clima e del regime delle piogge, facendo tutto ciò che è possibile per contenere la portata dei mutamenti climatici. Bisogna, infine, salvaguardare gli ecosistemi marini e fluviali, la cui bellezza serve a custodire spesso la diversità biologica che li abita.
Queste gravi e complesse problematiche sollecitano, in primo luogo, le responsabilità dei governanti e dei politici, ma interpellano tutti in ordine al consumo individuale; tutti, infatti, siamo invitati a rinnovare i nostri stili di vita, nel segno della sobrietà e dell’efficienza, testimoniando nel quotidiano il valore che riconosciamo all’acqua.

Un approccio alternativo
In quanto bene di tutti, d’altra parte, l’acqua non è una realtà puramente economica. Come dono derivante dalla creazione, l’acqua ha destinazione universale, da regolamentare a livello normativo. Il contributo che anche i soggetti privati possono dare alla sua gestione non deve, però, in alcun modo andare a detrimento di quel fondamentale diritto all’acqua, che i soggetti pubblici devono garantire a ogni essere umano.
Nel suo libro Le guerre dell’acqua, Vandana Shiva, scienziata indiana e nota attivista a livello mondiale sui temi dell’ambiente e l’uso sostenibile delle risorse, ha scritto che stiamo vivendo una crisi ecologica che ha cause commerciali ma non ha soluzioni di mercato.
Le soluzioni possibili, invece, potrebbero trovarsi nella diversa destinazione degli utili delle aziende che gestiscono il servizio idrico. Una posizione in linea con quella del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua pubblica, secondo il quale ciò che oggi servirebbe è un approccio radicalmente alternativo, con la messa in campo di un piano straordinario nazionale di investimenti volto all’ammodernamento della rete idrica.
Esistono dunque i margini per creare un pianeta sensibile e informato sui temi dell’acqua? Risolvere le questioni ambientali significa affrontare con estrema attenzione problemi di equilibrio globale di lungo termine. Nel 2015 è nato il progetto Water grabbing: prima una serie di reportage giornalistici e fotografici in collaborazione con diversi fotoreporter, poi un atlante, una serie di mostre, un Osservatorio e, infine, il libro omonimo scritto da Emanuele Bompan e Marirosa Iannelli.

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Water Grabbing
Letteralmente vuol dire “accaparramento dell’acqua”. Con questa espressione, ci si riferisce a situazioni in cui un attore di potere (un governo, una corporation, un’autorità) prenda il controllo o dirotti a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o intere nazioni, la cui sussistenza si basa proprio su quelle stesse risorse e quegli stessi ecosistemi che vengono depredati. 

Questo progetto, come tantissimi altri messi in atto negli ultimi anni, ha lo scopo di educare, fare ricerca e comunicare. L’obiettivo primario è quello di creare consapevolezza, continuando a monitorare in maniera attenta e documentata, raccogliendo nuovi casi, e fomentando la ricerca universitaria in tutti i campi specifici e correlati. Prima che il rubinetto si chiuda per sempre per l’umanità.

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SOS Italia
Per la giornata mondiale dell’acqua (22 marzo), l’ultimo studio dell’Istat (Istituto nazionale di statistica) ha presentato uno studio dettagliato che ha portato alla luce uno spaccato dell’Italia ben poco confortante: gli italiani sarebbero infatti degli spreconi e degli spendaccioni poco propensi alla sostenibilità.
Stando a quanto dicono i dati, il consumo pro capite di acqua nei capoluoghi di provincia è di 245 litri al giorno e la spesa mensile media di una famiglia italiana per l’acquisto di acqua minerale è di circa 100 euro: su 100 famiglie, ben 29 non si fidano dell’acqua del rubinetto.

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Per non sprecarla
·         Applica i riduttori di flusso sui rubinetti di doccia e lavabi.
·         Fai la doccia piuttosto che il bagno.
·         Lascia scorrere l’acqua solo per il tempo necessario quando lavi i denti, i piatti, le verdure.
·         Raccogli l’acqua piovana: potrai utilizzarla per usi non alimentari o igienici.
·         Preferisci l’acqua del rubinetto a casa e nei locali pubblici.

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