Bell’Europa!

DOSSIER di Lorenzo Grosso Bell’Europa! Sotto la lente del microscopio i due virus che stanno distruggendo il progetto eur...


DOSSIER

di Lorenzo Grosso


Bell’Europa!

Sotto la lente del microscopio i due virus che stanno distruggendo il progetto europeo: le tasse e il debito.


«Lo vuole l’Europa», «Lo si fa per restare in Europa», «Non possiamo uscire dall’Europa», sono alcune delle frasi che sovente si dicono per giustificare scelte anche dolorose e impopolari che bisogna fare per avere un futuro decente.
Questo porta però a un malcontento che è poi facile cavalcare, senza però capire da dove viene e quali sono le conseguenze di operazioni che, se fatte, portano solo abbandono e miseria, proprio come nella storia è già avvenuto.
Dopo lo splendido Rinascimento, invidiato ancora oggi da tutto il mondo, l’Italia entrò in un periodo di nebbia, fatiscenza e degrado da cui ha impiegato alcuni secoli a rialzarsi, pur mantenendo isole di sviluppo e floridezza impareggiabili, come la Napoli del ’700.

Da dove veniamo
Per capire come siamo arrivati a questo punto, occorre fare un passo indietro, anzi alcuni passi indietro. Sono passati 100 anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale ed è lì che bisogna andare se vogliamo comprendere perché senza Europa unita non ci può essere futuro. Ma un’Europa diversa da quella in cui si siamo infognati oggi.
Gli oltre 10 milioni di militari e i 17 milioni di civili morti, con nazioni come la Serbia che persero il 21% della loro popolazione, non rendono ancora lo squallore in cui riversava il panorama europeo. I mutilati che non trovavano sostegno e lavoro erano oltre 10 milioni e questi affogavano la loro disperazione nell’alcol e nella violenza, anche autodistruttiva.
Alla guerra seguì un periodo di forte instabilità sociale con tumulti, aggressioni e brutalità che rendevano insicure le città del Continente per almeno tre anni. In questo contesto in cui si rischiava l’implosione delle società, alcuni politici e grandi industriali, fra cui alcuni italiani, iniziarono a pensare che bisognava mettere da parte le secolari divisioni e cercare una stabilità monetaria e politica.
Le due dovevano andare insieme, perché una delle cause che scatenò il conflitto furono proprio gli interessi economici, specie bancari, sostenuti e alimentati dalla massoneria che impedì a Carlo d’Asburgo di porre fine alla guerra già nel 1917. L’ultimo imperatore d’Austria sarà proclamato beato da Giovanni Paolo II, il 3 ottobre 2004.
Purtroppo il trattato di pace di Versailles impose alla Germania un debito enorme che causò gravi disordini fino a giungere al 1933 con l’ascesa al potere di Hitler. La Germania nazista volendo anche vendicarsi delle umiliazioni subite, soprattutto a causa della Francia e dell’Inghilterra, scatenò poi il secondo conflitto mondiale con tutte le conseguenze che conosciamo.
Uscita dalle proprie ceneri, l’Europa volle ricostruirsi riprendendo il progetto di collaborazione, assistenza e unità che diventava ora più urgente che mai. Uomini di chiara ispirazione cristiana come Schuman, Adenauer e De Gasperi iniziarono a lavorare per costruire un’Europa dove tutti si potessero sentire cittadini (trattato di Bruxelles, 1948), iniziando dal lavoro e dagli scambi commerciali.
Si firmarono i primi accordi come la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) con il Trattato di Parigi, 1952, per giungere ai trattati di Roma (1957-1958) in cui si fonda la Comunità Economica Europea (CEE) che ha l’Italia fra i Paesi fondatori. Nel 1985 si raggiunge un accordo per la libera circolazione delle persone all’interno dello spazio europeo, i famosi accordi di Schengen e nel 1992 con il Trattato di Maastricht, 12 Paesi europei fissano le regole economiche e sociali che avrebbero gettato le fondamenta dell’Euro, la moneta unica adottata da 19 dei 28 Paesi membri dell’Unione Europea ed entrata nelle nostre tasche dal 1° gennaio 2002.

Ma dove stiamo andando?
Forse sembrerà strano che fin qui non si siano fatti grandi discorsi ideali, pieni di paroloni capaci di suscitare emozioni circa la necessità dell’armonia, del vivere insieme, e bla bla bla. Il motivo? Molto semplice: anche le migliori intenzioni hanno bisogno di fatti per essere credibili. E qui i fatti hanno un nome ben preciso: soldi.
Perché senza un’equa distribuzione della ricchezza prodotta e una concreta e seria lotta alla povertà (anche e forse, soprattutto morale e spirituale), non è pensabile un futuro degno dell’uomo. Ora, in Europa la ricchezza c’è. Ogni anno il Prodotto interno lordo (PIL) cresce, di poco, ma cresce, quindi vuol dire che non si sta andando indietro, ma si produce più ricchezza. Ma dove va? Dove si trova? Perché è sempre più difficile trovare lavoro e i servizi pubblici sono meno efficienti?
Bene, fra fake news e realtà c’è una bella differenza, perché non è vero che tutto va male, però ci sono cose che devono essere cambiate, anche a livello di consumi… giovanili (questa è una cosa che brucia, ma va detta). Ma vediamo con calma.
Se la ricchezza c’è, cosa fa sì che sia difficile distribuirla? Semplice: le tasse. I diversi Paesi europei hanno tasse diverse, servizi diversi e privilegi diversi. Quando nel Trattato di Maastricht si scrisse che il debito annuale di un Paese non deve superare il 3% rispetto al Pil si è scritta una cosa giusta e nel contempo ingiusta per il semplice fatto che quel numero non trova nessuna giustificazione né economica né finanziaria.
Perché non il 2% o il 5%? E poi occorre vedere come quel debito è distribuito e chi lo possiede e a cosa è servito e quali sono le condizioni per poterlo restituire: vedi tempo di restituzione e inflazione. Il 3% poi non tiene conto dell’efficienza fiscale, ossia di quanto un Paese è capace di riscuotere le tasse.
Quando c’è un’alta evasione fiscale, un serio contrasto potrebbe addirittura produrre un avanzo di bilancio invece di un debito… una prima arma sarebbe quella di limitare moltissimo l’uso del contante e favorire quello dei pagamenti elettronici.

Paese che vai tassa che trovi
Nei Paesi che formano l’Unione Europea e fra quelle che aderiscono all’Euro, le tasse non sono tutte uguali. Questa è una prima fonte di problemi. Come si fa ad avere una moneta unica se le tasse sono fortemente sbilanciate fra un Paese e l’altro?
La pressione fiscale in Francia è del 45,6% mentre in Irlanda è solo del 23,3% e tutti e due sono nell’Euro. La tassazione sul lavoro in Italia è del 42,6% un vero record che scoraggia assunzioni e investimenti e favorisce la delocalizzazione. Si pensi che a Malta e Cipro è del 23 e del 25%. Per non parlare degli altri Paese dell’Est Europa.
Anche l’Iva è diversa: 17-18% per Lussemburgo e Malta mentre in Ungheria è del 27%. Da noi, per ora del 22%. I guadagni sui capitali sono tassati al 52,8% in Francia (di cui fra poco diremo) mentre in Lussemburgo son il 6,8% e sotto il 15% anche in Lituania, Estonia e Irlanda (tutti Paesi Euro).


I magnifici sette
Un vero caos. Lo sa anche la Commissione europea che ha definito come aggressivi Paesi come Lussemburgo, Belgio, Olanda, Irlanda, Malta, Cipro e Ungheria che con le loro tasse esercitano “una distorsione sleale di risorse dagli obiettivi di spesa dei governi” (report del 7 marzo 2018).
In altre parole l’Italia deve guardarsi le spalle dai propri amici. Sono veri paradisi fiscali che sottraggono almeno 70 miliardi l’anno di Euro alle casse degli altri Stati. Per non parlare di McDonald’s che non ha pagato le imposte né negli Usa né in Lussemburgo, come ha ammesso la commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager. Un altro caso? L’Olanda che ha deciso di cancellare la tassa sui dividendi per i non residenti. Con un danno di oltre due miliardi di Euro per le casse dello Stato.

Un clic e via… i soldi
Facile fare acquisti da casa. Non si esce. Stiamo comodi e il pacco arriva a casa. Sì, ma inostri soldi dove vanno? Se faccio un acquisto dal salumiere sotto casa, lui le tasse le deve pagare in Italia. Ma se compro on line? Dove vanno a finire i miei soldi?
In una piccola stradina, dentro una casa piccina piccina: rue Plaetis 5. No, non sto parlando del paese delle fate, ma della sede di Amazon in Lussemburgo (difficile trovare immagini persino in Google). Tutti gli acquisti sono fatturati lì, per un totale di 24,9 miliardi di euro l’anno. Sono soldi fatturati in Lussemburgo e non negli Stati dove gli acquisti vengono fatti. Questo si chiama eludere le tasse. Eppure dal 2016 ci sono delle direttive europee che richiedono misure concrete per combattere l’elusione fiscale.

Vini & Moda
Bernard Arnault. A molti non dice niente. Eppure è l’uomo più ricco d’Europa. Patron di Lvmh, il più grande conglomerato del lusso mondiale con un fatturato di oltre 40 miliardi di Euro l’anno, 140.000 dipendenti. Sono suoi i marchi Louis Vuitton, Dior, Dom Perignon, Bulgari, Fendi, Givenchy, Sephora, Kenzo.
Quando in Francia si profilava all’orizzonte il rischio di una super tassa sui redditi più alti, ha pensato di fare pochi chilometri e stabilirsi in Belgio, a Uccle, richiedendo anche la cittadinanza belga. Le polemiche in Francia furono violentissime e la richiesta di Monsieur Arnault è stata ritirata.
Ma il fatto che il Belgio resti un paradiso fiscale per i ricchi francesi è risaputo. A Néchin, un prato di mucche, trattori e patate ha spostato la propria residenza Gerard Depardieu, la cui fortuna deve essere troppo Obelix per sottostare al fisco francese. Ma ad interessarsi delle mucche di Nénchin non c’è solo lui. Anche membri della famiglia Mulliez gli danno una mano. Chi sono costoro? Siete mai entrati in un supermercato Decathlon, o da Auchan o una capatina da Leroy Merlin l’avete mai fatta? Ebbene la famiglia Mulliez è la fondatrice di questi templi delle meraviglie.
Da anni, il Belgio è invaso da questi nomadi fiscali che arrivano non solo dalla Francia, ma anche dall’Olanda. E Bruxelles, certo, non ci pensa due volte a spalancare loro le porte. Questi non sono migranti da rimandare al mittente.

Canta che ti passa
Se i prati del Belgio hanno ospiti così illustri e le casette del Lussemburgo sono i forzieri di Amazon, che dire dei placidi canali di Amsterdam? Questa affascinante città, al numero 566 di Herengracht, in una linda e semplice palazzina, con la consueta bicicletta posta dinanzi, ospita negli studi di notai e avvocati i segreti di ben oltre 90 società.
L’avvocato Johannes Nicolaas Favié, forse preferisce Bach, ma in ufficio non gli dispiace gestire i soldi di alcuni cantanti del rock: Bono e Mick Jagger. Sì, stiamo parlando proprio dei ribelli Rolling Stones e dei moralisti U2. Perché preferiscono i mulini a vento piuttosto che restarsene nei loro Paesi, visto che l’Irlanda ha una tassazione già mite e così dicasi per l’Inghilterra? Già, perché?
Forse perché in Olanda, la tanto virtuosa che si permette di fare prediche di buona amministrazione a noi, la tassazione è ancora più clemente. Ma non è solo più clemente, possiamo dire che non esiste affatto! Perché i redditi derivanti dai diritti di autore (royalties), nel momento in cui escono dal Paese, non sono tassati!
Nel 2017 gli U2 hanno incassato 54,4 milioni di dollari e non si dimenticano affatto di visitare i Paesi africani per raccomandare l’uso del profilattico (dimenticandosi che col caldo che fa, serve a poco) così come andar al Parlamento europeo a dire che in Europa si sentono a casa. Certo, purché il portafoglio sia in Olanda.
Stesso discorso per i Rollling Stones che mediante società a scatola cinese, controllano i proventi delle vendite e dei concerti. La ricchezza di Mick Jagger si attesterebbe sui 360 milioni di dollari, mentre quella del più morigerato (in tutti i sensi) batterista Charles Watts, si fermerebbe a 170 milioni (fonte celebritynetworth.com). Ma l’Olanda non attira solo i cantanti d’oltre Manica. Pare che anche alcuni dei nostrani non resistano al richiamo dei canali di Amsterdam.


L’Europa da costruire
È evidente anche a un bambino che per mantenere l’unità politica occorre la stabilità economica e questa non la si può raggiungere se non armonizzando il sistema fiscale dei vari Stati membri, lasciando alcune tasse di carattere locale per rispondere ad esigenze particolari. Ma il grande sistema delle tassazioni non può essere così variegato come è ora.
Tutti devono fare dei sacrifici se si vuole che l’Europa cresca e crei lavoro e ricchezza nella giustizia. In fondo basta pensare questo. Quando si va a un concerto, si paga un biglietto. I soldi provengono dal lavoro fatto in Italia. Gli artisti prendono questi soldi che sono il frutto delle fatiche nostrane e li portano all’estero dove son tassati di meno, mentre hanno svolto il loro lavoro in Italia! Un operaio, un artigiano, un impiegato non può fare questo! Verrebbe immediatamente perseguito. Si tratta di giustizia.
Lo stesso dicasi per Amazon e per le altre multinazionali hi-tech. Le tasse vanno pagate lì dove si produce il reddito. Se venisse applicata questa semplice norma a cui i poveri cittadini debbono sottostare, anche alle stelle dello spettacolo e dello sport, nelle casse dello Stato rientrerebbero tanti milioni di Euro. Quando invece a favorire questa fuga di denaro sono alcuni Stati che dovrebbero condividere con noi gli stessi ideali… si fatica a trovare parole per definirli. E dire che la parola Eu-ropa significa ben irrigata, di acqua e nel nostro caso… di soldi. Basta riportare i canali nella giusta direzione. Amsterdam è avvisata.

Euro contro dollaro
L’Euro nasce per assicurare stabilità economica e politica all’interno dell’Unione Europea. Viene da subito adottato anche in aree instabili come il Kosovo e il Montenegro. Molti Stati lo assumono come valuta di riserva per la loro ricchezza. Ma questo non basta. L’Euro rimane una moneta sottomessa al dominio del dollaro e questo significa che una parte delle turbolenze prima economiche e poi politiche sono frutto anche di questa mancata sovranità.
Sovranità che si manifesta non solo economicamente ma anche come una vera sudditanza culturale nei confronti del modello americano ormai seriamente minacciato dalla crisi ecologica che imporrà un diverso modello di sviluppo e… di vita.
Finita la Seconda Guerra Mondiale, tutto il mondo era attraversa da un felice ottimismo di sviluppo e di crescita. Per garantire stabilità (il valore in assoluto più importante tanto della psiche quanto dell’economia) si vincolò la stampa della moneta alla quantità di oro posseduto (il Gold Exchange Standard). Questo garantì la crescita e nello stesso tempo limitava la condanna che pesa sull’uomo: avidità sfrenata e dominio incontrastato.
Gli accordi di Bretton Woods (1944) erano le fondamenta del nuovo ordine mondiale: il dollaro dominava il mondo ma era convertibile in oro e le varie monete erano convertibili fra loro mediante il riferimento al dollaro. Almeno fino al 1971, quando il presidente degli Usa, Nixon, a causa delle ingenti spese per la guerra in Vietnam, dichiarò finito quel periodo, sganciando il dollaro dalla convertibilità con l’oro. Da allora i cambi valutari sono entrati in una tempesta oscillante senza fine.
Per evitare una superinflazione, grazie alla loro potenza economica e militare, gli Stati Uniti, imposero il pagamento del petrolio, considerato un nuovo oro, in dollari. Le banche europee si adeguarono, adottando il dollaro come unica o quasi, moneta di riferimento per tutti i pagamenti internazionali. La nascita dell’Euro ha solo ridotto in parte il predominio americano, ma la cosa più grave e che ancora molti pagamenti delle merci importate dall’Unione Europea sono fatti in dollari e non in euro. Questo mette l’Europa facilmente sotto scacco…

Il debito italiano
Fino agli anni ’70, il debito del nostro Paese era sotto il 40% del Pil. Il cambio passa da 630 lire per un dollaro e raggiunge anche le 2.400 lire. Il costo della vita aumenta spaventosamente: dal 4% di inflazione al 24%. Il debito pubblico da 300 miliardi (calcolati in euro) schizza, a fine anni ’80 a 850 miliardi, anche a causa degli interessi pagati dallo Stato al 20%. Così dal 40% del Pil degli anni ’70 si passa al 100% del 1991.
Fabrizio Pezzani, professore ordinario di Economia alla Bocconi, afferma che l’Europa «ha responsabilità enormi nel non aver creato un mercato difendibile, non esposto alla finanza rapace». Le autorità europee avrebbero dovuto «fare un’agenzia di rating europea, bloccare i derivati speculativi sul debito dei Paesi, fermare le banche d’affari tornando ad una loro separazione dalle banche commerciali, dovevano denunciare l’uso di prodotti tossici che hanno destabilizzato il Paese e hanno contribuito a deprezzare i nostri titoli pubblici.
Per questo andrebbero denunciati per grave infrazione del patto di solidarietà alla base dell’unione altro che minacciare. Infine sarebbe utile e necessario dare un segnale di cambiamento ai mercati e ai loro padroni emettendo una parte – 20 o 30 % - dei BTP vincolati all’oro, noi siamo il terzo Paese al mondo per riserve auree. Sarebbe un segnale di svolta importante per il primo paese che dimostra di avere un minimo di creatività».
Viviamo in un periodo storico bellissimo, ma rischiamo di infrangere il grande sogno di pace che i nostri genitori e nonni avevano pensato per noi.

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Scatole cinesiSi dice così quando una società ne possiede altre le quali a loro volta ne posseggono altre ancora. Senza però che si sappia cosa facciano. Semplicemente incastonate le une nelle altre per coprire le vere attività. Molte di queste società hanno sede nei paradisi fiscali: isole lontane immerse negli oceani, in genere piccolissimi Stati che godono di una indipendenza formale e autorizzano queste società ad avere in qualche ufficio la loro sede legale.Queste società poi, tramite altre operano nei Paesi Occidentali, prendono i profitti ottenuti e li portano presso la società principale che ha sede in uno di questi paradisi dove la tassazione è molto bassa. La proprietà definitiva poi molte volte è oscurata da una fiduciaria. Società fiduciariaLa fiduciaria (trust in inglese) è un’impresa che amministra i beni di altri (per conto terzi) e li rappresenta nello svolgimento delle sue attività. La titolarità della proprietà rimane a chi ha affidato alla società i propri beni. In questo modo non si rende pubblico il proprio nome come avviene invece per le altre società. 

La fiduciaria degli U2La Pearse Trust Nominees scherma i nomi dei suoi soci, ma possiede la società fondata nel 1981 da Bono con il nome di Irish Stereo Production Export Lmtd che diventerà Not Us Lmtd e la U2 Lmtd, registrata a Dublino il 19 aprile 1990. Il 1° giugno 2006 sbarca ad Amsterdam ed è amministrata da Johannes Favié, per gli amici Jan. Gli Stones raddoppianoAvete in mente il logo dei Rolling Stones, quella lingua irriverente? Ebbene quel marchio, disegnato nel 1971 e comparso per la prima volta nell’album Sticky Fingers, è di proprietà della Promogroup che si prende cura dei diritti d’autore della band. Questa è controllata dalla fondazione Stichting Administratiekantoor Herengracht A, la quale possiede anche la Musidor (proprietaria del logo “Lips and tongue”, la “lingua”), la Promogracht, la Promolane, la Promotone e la Promotours.La Musidor, in particolare, registrava attività correnti per 5,8 milioni di dollari nel 2016, in calo rispetto ai circa 12 milioni registrati sia nel 2015. Mentre i testi e le musiche sono posti sotto un’altra fondazione la Stichting Administratiekantoor Herengracht B. I soldi incassati che arrivano in Olanda sono stati nel 2016 10,9 milioni di dollari (fonte Billiboard). Senza contare che la Promogroup controlla anche società negli Stati Uniti.

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