Come diventare dottore doc
Incominciamo da questo numero un viaggio tra le professioni del mondo del lavoro, parlando direttamente con i protago nisti. La prima di...
https://www.dimensioni.org/2014/01/come-diventare-dottore-doc.html
Incominciamo
da questo numero un viaggio tra le professioni del mondo del lavoro, parlando
direttamente con i protago
nisti. La prima di questi è Olga Benedetti, medico dirigente ASL.
Dopo l’esame di maturità, il 2014
rappresenterà un anno di decisioni importanti per migliaia di ragazzi
che devono prepararsi al mondo adulto affrontando una scelta “matura”, nell’ambito
del lavoro o in quello dello studio. I suggerimenti di Olga Benedetti, medico
dirigente della ASL 3 genovese, possono servire a chi sogna di diventare un
medico.
Anche chi ha già superato quel
momento inserendosi nella complessa macchina produttiva che sorregge e porta
avanti la società ricorda l’apprensione
e le aspettative legate a questo periodo. Ci sono, poi, corsi di studio che, più di altri, comportano un notevole impegno per lo
studente e un consistente sacrificio economico per le famiglie. Lo sa chi oggi
indossa già un camice bianco o forse chi, in questo momento,
accarezza l’idea di diventare un medico chirurgo.
La facoltà di medicina e
chirurgia è, in Italia, ancora una delle più gettonate e, a parte alcune serie televisive che negli
anni scorsi ne hanno enfatizzato, in modo poco realista, l’aspetto più glamour (ci riferiamo ad ER e a Doctor House), resta il
sogno di tanti giovani pronti ad affrontare sei anni di studio intenso.
La medicina, che nei secoli ha dovuto superare
pregiudizi e superare le barriere poste dalla visione teocentrica del mondo,
oggi è entrata nelle nostre case per salvare e migliorare la
qualità della vita. Difficile, pertanto, non lasciarsi attirare
dal suo fascino e dalle sue infinite potenzialità, soprattutto nel
campo della ricerca. Nessuno, meglio di un medico, può spiegarci gli alti e i bassi di questo lungo cammino.
Un sogno coltivato da sempre
Abbiamo perciò chiesto ad Olga
Benedetti, medico dirigente della ASL 3 genovese, di parlarci della sua
carriera partendo proprio da quando si recò all’Università degli Studi di Genova per iscriversi ad una facoltà dalle tempistiche assai lunghe. «Già da piccola
sapevo che sarei diventata un medico – esordisce – o per lo meno, che avrei
svolto una professione in cui avrei potuto dedicarmi agli altri. La scelta di
medicina, pertanto, fu facile anche se lo studio, da subito si rivelò particolarmente impegnativo.
Fortunatamente, provenendo dal liceo scientifico fui avvantaggiata
nell’affrontare materie come la chimica e la fisica. Anche il latino mi è stato utile. Per ciò che concerne il
greco, che a me mancava, e da cui derivano molti termini medici, ho sopperito
sviluppando una memoria di ferro».
I primi due anni sono fondamentali per porre solide basi
e per affrontare il praticantato nelle diverse cliniche. I test d’ingresso,
nonostante le recenti critiche mosse proprio da alcuni medici che non li
ritengono un buon mezzo per filtrare i potenziali dottori del futuro, per Olga
Benedetti costituiscono un ottimo modo per limitare lo sconfinamento nei fuori
corso che, al contrario era molto diffuso in passato: «Spesso tali test non sono determinanti per comprendere
se un ragazzo è predisposto alla professione medica, tuttavia, specie
se fossero accompagnati da un colloquio attitudinale individuale che peraltro
non è possibile dato l’alto numero dei partecipanti,
potrebbero essere veramente utili».
Imperativo: specializzazione
Se anni fa dopo la laurea era possibile inserirsi nel
mondo del lavoro oggi la specializzazione è sempre più richiesta sia nel settore privato che in quello
pubblico. «Ciò significa –
continua la dottoressa – che il laureando debba già pensare a dare un taglio più specifico ai suoi studi scegliendo il ramo a lui più congeniale.
La neurofisiopatologia che scelsi come specializzazione
mi ha aperto molte porte per la sua attinenza con altri campi della scienza
medica. Inoltre, durante questo corso, il
neolaureato viene pagato, al contrario di qualche decennio fa».
Se il lettore, a questo punto, non si fosse ancora
demoralizzato e continuasse a sognare un futuro tra bisturi e stetoscopio, per
lui ora arriva il lato piacevole di questa professione. È sempre il dirigente medico genovese a parlarcene: «Dopo la specializzazione – e quindi dopo dieci anni di
studi – finalmente si può iniziare a
lavorare».
Un po’ di gavetta è d’obbligo
«Personalmente – racconta la dottoressa – la mia gavetta
non è durata molto e mi ha permesso di imparare dall’esperienza
diretta e dalla varietà dei miei primi
incarichi. Un neolaureato può spaziare dalle
sostituzioni di un medico di medicina generale, ai prelievi di sangue, oppure,
come nel mio caso, alle iniezioni conservative, alle guardie per gli espianti d’organi,
a incarichi in fisiatria e ad altri impieghi in cui lo studio si consolida con
il lavoro. Anche per i medici esiste una graduatoria ed io, accumulando
punteggio grazie ai concorsi e vincendone vari, sono stata nominata dirigente
medico di una struttura residenziale e semiresidenziale a diretta gestione
della Asl che si occupa di disabili gravi e gravissimi fino ai 64 anni di età».
Il lavoro nell’ambito pubblico non differisce molto da
quello nel privato che forse offre maggiori guadagni. Certamente, l’aspetto
economico che è altresì importante, non
può essere una ragione sufficiente a motivare la scelta di
questo tipo di studi, però esistono branche
economicamente più gratificanti
come la chirurgia estetica, la dermatologia, l’oculistica ecc.
È indubbio che all’estero, soprattutto oggi, ci siano più opportunità di successo
rispetto all’Italia. A tal proposito Olga Benedetti aggiunge: «Prepararsi seriamente ed imparare le lingue sono due
aspetti assai richiesti nel mondo. In alcuni Paesi europei e negli Stati Uniti
i medici sono retribuiti meglio, anche se devono essere pronti a fare molti
sacrifici: la meritocrazia, infatti, si basa sulle vere capacità dei professionisti e i medici, spesso, sono sottoposti
a turni stressanti e a dover dare il meglio di sé per molte ore
alla settimana; però, se sono bravi,
possono fare carriera.
Bisogna anche riconoscere che le nostre università preparano molto bene i futuri medici ed anzi talvolta
sono gli stranieri a sceglierci per le specializzazioni». Le opportunità, dunque, non
mancano, se esiste la determinazione ed il coraggio nell’affrontare un percorso
difficile.
Ciò che non
deve mancare
Fondamentalmente però tutti i medici
devono avere una caratteristica in comune: la voglia di aiutare il prossimo, di
donarsi generosamente, di vedere nel malato un altro sé, di voler alleviare le sue pene strappandogli un
sorriso anche quando la disperazione sembra togliere ogni colore alla vita.
«Il momento di maggior appagamento – conclude la
dottoressa – è proprio il rapporto con il paziente, anche con il
malato grave e perfino con chi conduce un’esistenza pressoché vegetale: il suo rispondere alle terapie ma anche al
calore di una persona di cui si fida sono la mia grande soddisfazione
quotidiana». Umanità ed amore verso
il prossimo. Se ci sono vale la pena di intraprendere questa strada.