Donne più dure della pietra

di Elisa Murgese Incontro con Barbara Monachesi Donne più dure  della pietra     L’associazione italiana Apeiron lavora in Ne...

di Elisa Murgese

Incontro con Barbara Monachesi




Donne più dure della pietra
   
L’associazione italiana Apeiron lavora in Nepal per sostenere le famiglie che vivono nel letto di un fiume con un’unica occupazione: spaccare pietre raccolte.


  Una vita passata a distruggere pietre. Alcuni vengono dalla vicina Kathmandu, altri da angoli del Nepal più lontani.
Tutte si raccolgono lungo le sponde del fiume Agarakhola, per essere sfruttate da broker locali, che le pagano dieci rupie (circa tredici centesimi di euro) ogni quindici chili di pietre frantumate.
È la vita della comunità di spaccapietre nepalesi. Sono centinaia di famiglie che vivono nel letto del fiume con un’unica occupazione: raccogliere e spaccare pietre, necessarie alla costruzione di edifici. Il lavoro coinvolge bambini, uomini, donne e anziani. Un lavoro senza speranza e senza futuro che diventa ancora più duro e difficile durante la stagione delle piogge. Gli italiani sono in prima fila per aiutare a costruire un futuro migliore per questi moderni schiavi e per i loro bambini.



              L'associazione Apeiron                     

È pomeriggio inoltrato quando incontro la presidente dell’Onlus Apeiron al centro di Durbar Square, la caotica piazza centrale di Kathmandu. Barbara Monachesi è italiana e da quindici anni lavora sul Tetto del Mondo con progetti principalmente rivolti alle donne. Salgo sulla sua jeep, e ci lasciamo alle spalle le vie disordinate e impolverate del centro per dirigerci vero il distretto di Dhading, 80 chilometri a nord della capitale.
Tra piantagioni di mais verde e colline sempre più irte, passiamo le ultime case di mattoni e lamiera e in un sottofondo di clacson senza pausa, arriviamo al fiume Agrakola. Dall’alto del piccolo ponte che lo sovrasta una costellazione di tende, dimora delle oltre cinquemila donne spaccapietre che vivono sui dieci chilometri di rive del fiume.
«Il lavoro nelle cave di pietre e sabbia, svolto totalmente a mano, attira lavoratori da ben trentacinque distretti del Nepal che si spostano a Dhading con tutte le loro famiglie, spinti dalle condizioni di vita insostenibili nelle loro aree d’origine – racconta Barbara Monachesi mentre ci avviciniamo alle sponde del fiume –. Molti lavoratori sono qui da tredici anni e circa il 70% di loro è analfabeta».

                  Un lavoro massacrante                        
                    per poche rupie                                              
Per arrivare al cuore della comunità di spaccapietre si devono attraversare le agitate acque del fiume Agrakola, sempre impegnate a trascinare incessantemente pietre dalle pareti delle montagne, quasi per dare lavoro alle donne della comunità.
Mentre i mariti sono camionisti o cercano di trovare fortuna (o rifugiarsi nell’alcol) in città, guardando il piccolo accampamento dall’alto, una moltitudine di veli colorati fa capire come la maggior parte delle spaccapietre siano donne. Le si vede scendere a piedi un percorso fangoso, verso la riva, e raccogliere pietre dal letto del fiume. L’acqua arriva loro alle ginocchia e un bambino si diverte a bagnarle. Dopo aver riempito i coni di bambù, li caricano sulle spalle e vanno a svuotarli davanti alle tende. Qui, con un martello, spaccano i massi in pezzi sempre più piccoli da vendere ai tekadar, compratori di pietre che rivendono i ciottoli al mercato dell’edilizia.
        ogni 15 kg di pietre frantumate sono pagate
      10 rupie (circa 13 centesimi di euro).   
«La giornata lavorativa è di 11 - 13 ore – continua la presidente dell’Onlus italiana –. I lavoratori e le loro famiglie vivono in rifugi precari, senza acqua potabile o servizi igienici. Sono sfruttati dai procacciatori di lavoro e da falsi proprietari terrieri che illegalmente pretendono un affitto per i terreni sui quali vivono e lavorano».
Il reddito medio di uno spaccapietre è di 75 rupie il giorno (0,80 euro), impossibile per sopravvivere anche se accampati con tende di plastica sulle sponde di un fiume. E a farne le spese sono, come spesso accade, i più piccoli.

               Moltissimi bambini                                 
                    senza istruzione                                            
Mentre raggiungiamo l’accampamento di spaccapietre, due bambine giocano a bagnarsi i piedi saltellando tra le rocce scivolose immerse nel fiume. Per qualche minuto si dimenticano di pietre e martelli, per poi essere subito richiamate al lavoro da una ragazza troppo giovane per essere loro madre e per non dover essere a sua volta tra i banchi di scuola.
Il lavoro nelle cave registra la presenza di tantissimi minori. Infatti, nonostante il governo nepalese abbia ratificato la Convenzione 182 dell’ILO (International Labour Organization) per eliminare le forme più dure di lavoro minorile e si sia impegnato a depennarle entro il 2015, in zone come quella di Dhading incontrare bambini lavoratori è una norma che quasi appartiene al desolato paesaggio.
Delle famiglie coinvolte nelle cave di pietre e sabbia, circa il 40% dei bambini in età scolastica non frequenta la scuola perché iscrizione, divise e quaderni sono una spesa insostenibile per chi vive con meno di un euro al giorno. Anche l’abbandono scolastico è provocato nel 40% dei casi dallo stesso problema.
Aiutare questi bambini ad andare a scuola, è stato tra i primi obiettivi della Onlus italiana. «Se far lavorare il proprio figlio in una cava di pietre è indispensabile per la sopravvivenza della famiglia, ogni intervento che si limiti alla scolarizzazione è destinato a fallire», spiega Barbara Monachesi.
Gli obiettivi
dell'associazione
E così il materiale scolastico è stato fornito da Apeiron: quaderni, zainetto, uniforme, pennino e bottiglietta d’inchiostro.  Anche all’iscrizione a scuola si è provveduto. “Una piccola spinta”, quella data dall’associazione italiana. Visto che l’anno successivo le famiglie hanno dovuto pagare il 25% delle spese scolastiche da sole, aumentando di quarto in quarto fino ad arrivare a mantenere da soli l’educazione del proprio bambino.
Quale la soluzione che Apeiron ha trovato per aiutare le famiglie spaccapietre ad aumentare le entrate e iniziare a pensare a un futuro migliore per loro e per i loro figli? Una soluzione  vantaggiosa in Nepal: donare ad ogni famiglia, un maiale.


                 Storia di una ragazza                     
                      tra le tante                      

Gita Rai ha 38 anni e proviene dal distretto di Khotang, nel Nepal meridionale. I suoi genitori non avevano terra a sufficienza per regalarne un fazzoletto a testa ad ogni figlio; conseguenza immediata, Gita Rai ha dovuto uscire di casa giovane e trasferirsi col marito sulle rive del fiume Agrakhola. Gita ed il marito hanno un solo figlio, che è nato poco dopo il loro arrivo tra la comunità degli spaccapietre, nove anni fa.
«Quando siamo arrivati, non avevo idea di come saremmo sopravvissuti. Spaccare pietre è molto faticoso e non è pagato a sufficienza». Gita ha preso parte al progetto dell’associazione italiana, e anche se all’inizio era un po’ scettica e non credeva che i maiali sarebbero stati di grande aiuto, col tempo si è dovuta ricredere. «Grazie al progetto di Apeiron ho guadagnato 400.000 rupie (circa 4.000 euro) in due anni, quando prima facevamo fatica a guadagnarne 30.000 in un anno. Ora, oltre ad avere mille euro in banca, sono anche riuscita a comprare un piccolo appezzamento di terra proprio qui nelle vicinanze. Con i prossimi guadagni io e mio marito contiamo di costruire una piccola casetta.
   La Onlus italiana Apeiron sta aiutando  
    molti bambini ad andare a scuola    
    per toglierli dalle cave     
Mai e poi mai avrei pensato che due maiali potessero cambiare così tanto la vita mia e della mia famiglia».
Mentre Gita ci racconta la sua storia, il classico suono di una rudimentale campanella segnala l’inizio delle lezioni pomeridiane. Sotto la guida di un maestro di Apeiron, mamma e figli tornano a scuola insieme, e mentre le mamme imparano l’alfabeto, i loro bambini cercano di finire il prima possibile i compiti di scuola per correre a giocare.
«Le lezioni pomeridiane hanno avuto un grande successo. La vera innovazione è stata senza dubbio la distribuzione della merenda che ha catturato l’attenzione e l’interesse di molti studenti», spiega Barbara Monachesi mentre racconta di quanto creare uno spazio per mamme e figli sia stato fondamentale per unire le famiglia, in un universo in cui al gioco non sono dedicati che i pochi minuti scampati al lavoro tra le pietre.
Mentre ci allontaniamo dalle tende blu della comunità di spaccapietre per tornare verso Kathmandu, incrociamo due bambini che si schizzano a vicenda con le gambe immerse fino alle ginocchia in quel fiume che è casa e prigione insieme.

Martello e pietre poggiate sulla riva, sembrano ridere come solo i bambini fanno quando stanno giocando insieme.  Un piccolo assaggio di quel che dovrebbe essere tutti i giorni  la loro infanzia. <

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