Nba, tutto il mondo in un campo da basket

di Stefano Ferrio Il canestro perfetto Nba, tutto il mondo in un campo da basket Il campionato “global” perseguito dalla lega amer...

di Stefano Ferrio
Il canestro perfetto
Nba, tutto il mondo
in un campo da basket
Il campionato “global” perseguito dalla lega americana è già in pieno corso con il progetto scolastico “Schools Cup” iniziato due anni fa in Italia. Niente a che fare con quanto succede nel calcio di casa nostra...

Nel 2021, quando avrà poco più di vent’anni, Michele giocherà a basket nell’Nba. Ovvero l’Olimpo della pallacanestro, attualmente illuminato da stelle come LeBron James, 203 centimetri di sconquassante grandezza in forza ai Miami Heat, e da squadre-prodigio come Oklahoma Thunder, nata l’altro ieri, nel 2008, ma già in grado di sognare il titolo grazie alle prodezze di Russell Westbrook e Kevin Durant.
Niente di meglio per chi punta a segnare più canestri degli altri. La sigla Nba (National Basket Association) indica infatti il campionato professionistico americano, famoso come nessun altro al mondo. Lo stesso nobilitato dalle imprese dei più grandi assi di sempre, a cominciare da Michael Jordan e Wilt Chamberlain.


Alla ricerca di talenti
Ma non finisce qui, questa nostra “esclusiva” anticipazione del 2021... Ironia della sorte, nella squadra avversaria della partita di debutto in Nba, Michele troverà Giovanni, che ha conosciuto, quando era un ragazzo, nell’Italia dove sono nati entrambi.
Così, incrociandosi in un palasport che potrebbe essere quello di Portland, Chicago o Dallas, prima del salto a due di inizio gara, Michele e Giovanni troveranno sicuramente il tempo di salutarsi ricordando con emozione “il giorno del loro primo incontro”. Quello avvenuto a Trieste, nel giugno del 2012, in occasione delle prime finali della Schools Cup, torneo scolastico nazionale di pallacanestro, giocato in Italia con il patrocinio della Nba, che così mette assieme due obiettivi: scovare talenti sparsi per il mondo, come i nostri due amici-rivali, e rafforzare la propria immagine in un mercato importante come l’Italia.

Lo scorso anno, in seguito al successo di Trieste 2012, le finali della seconda edizione si sono disputate a Udine, dopo partite che hanno coinvolto quasi tremila scuole superiori sparse per la nostra penisola. Per quest’anno si attendono ancora luogo e data di una terza volta.
Prima di parlare ancora di Michele e Giovanni, proviamo adesso a immaginare due loro coetanei americani, che di nome fanno Larry e Matt. Entrambi giocano con grande passione a calcio, fenomeno meno raro di un tempo negli States dove, negli ultimi decenni, di gol e tiri in porta si è cominciato (moderatamente) a parlare con più trasporto e competenza rispetto al passato. Giocando a fare un po’ di cinema, vi immaginate Larry e Matt che atterrano a Milano o a Roma lo stesso giorno in cui Michele e Giovanni decollano per l’America con due valigioni pieni zeppi di scarpe e maglie da basket? Perché magari la Lega Italiana Calcio si è messa a promuovere la nostra Serie A negli States, organizzando una qualche Milan-Inter o Juventus-Roma allo Yankee Stadium di New York, piuttosto che allo “Stick” di San Francisco?
Se, giunti a questo punto, qualcuno si è messo a sghignazzare, non c’è da biasimarlo. Stiamo infatti parlando della stessa Serie A dominata da presidenti sempre più anacronistici, giocata dentro stadi fatiscenti, e seguita da un pubblico che, oltre a essere in diminuzione, non sembra assolutamente incline ad assimilare quel minimo di cultura sportiva indispensabile per affrontare i contesti globali su cui misureremo le grandi competizioni del futuro.


Un colossale parquet
           Kevin Durant         
A proposito di campi da gioco senza più confini, ve li immaginate i dirigenti del pallone europeo in generale, ma in particolare quelli italiani, a ragionare sulla possibilità di inventare sinergie di marketing e comunicazione con i network televisivi e i grandi investitori americani? La domanda non nasce dal nulla, ma dalla semplice constatazione che, mentre i padroni del calcio nostrano pensano soprattutto a come sopravvivere facendo fruttare fino all’ultimo cent i diritti televisivi, ovvero la loro unica preoccupazione nonché sicura fonte di reddito, negli Stati Uniti si dedicano con entusiasmo e lungimiranza a trasformare il mondo intero in un colossale e multicolore parquet per la pallacanestro.
Come i nostri immaginari amici Larry e Matt sanno molto bene, da alcuni anni la National Basket Association sta dedicando grandi investimenti e campagne di immagine alla conquista dell’Europa. Continente dove il basket è di gran lunga lo sport più condiviso con gli Stati Uniti, molto più delle altre tre discipline per cui impazziscono gli americani: football, baseball e hockey su ghiaccio. Da qui il disegno di arrivare a una “division”, un girone, di squadre europee da far partecipare alcampionato Nba.
Fantascienza? Solo in teoria, se pensiamo che l’idea è stata coltivata con cura da un certo David Stern, per venticinque anni “commissioner” della Nba (massima carica dell’associazione) con un’abilità e una lungimiranza tali da spiegare i cinque miliardi e mezzo di dollari di introiti che l’associazione può attualmente vantare.
   Sono tante le stelle dell'Nba.
 Qui il travolgente LeBron James  
Stern è appena andato in pensione, ma possiamo stare certi che il suo erede Adam Silver ne seguirà con grande dedizione le orme, comprese quelle che, entro il 2030, dovrebbero portare a questa Nba finalmente globale, in grado di catalizzare centinaia di milioni di telespettatori per le dirette televisive dei match più importanti.
Nel frattempo alcune partite si giocano già in Europa, ma con grandi difficoltà a organizzarle negli antiquati e poco mediatici palasport del nostro Paese.


Un confronto impietoso
Ecco, il confronto con quanto si tenta di fare maldestramente in Europa, è impietoso. In particolare se si mette a fuoco l’Italia. Dove l’esperimento della finale di Supercoppa 2012 di calcio, è di desolante chiarezza.
 Basti pensare alla partita Juventus-Napoli giocata a Pechino, e conclusasi con il rifiuto dei giocatori partenopei di sfilare per la premiazione.  Motivo?
 In segno di protesta contro l’arbitraggio del signor Mazzoleni di Bergamo, accusato di avere favorito con i propri errori la vittoria bianconera per 4-2 dopo i tempi supplementari. Con la conseguenza che nel 2013 la finale di Supercoppa è tornata mestamente a essere giocata all’Olimpico di Roma, per essere riconquistata dalla Juve, stavolta vincitrice a mani basse (4-0) sulla Lazio.
Vaghi ricordi nella memoria di Michele e Giovanni, il giorno in cui si incontreranno da avversari al debutto in quella Nba dove già adesso brillano le stelle di Andrea Bargnani (New York Knicks), Marco Belinelli (San Antonio Spurs), Gigi Datome (Detroit Pistons) e Danilo Gallinari (Denver Nuggets).

Quanto a Larry e Matt, non resterà loro che ammirare in Tv i due coetanei italiani. Magari sognando di vedere un giorno una partita di calcio a San Siro o all’Olimpico. Con la speranza che, nel frattempo, non li chiudano per inagibilità. <

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