Responsabilità. "Dici a me?"

di Elena Giordano Perché devo fare le cose? Responsabilità. "Dici a me?" Perché crescendo aumentano i doveri? Perché ...

di Elena Giordano

Perché devo fare le cose?
Responsabilità.
"Dici a me?"
Perché crescendo aumentano i doveri?
Perché le persone si aspettano qualcosa da voi?
Non era meglio rimanere piccoli e farsi i fatti propri?




  A due anni i bambini imparano a rimettere a posto i giochi dopo che li hanno usati. A cinque imparano a inserire nell’armadietto dell’asilo il cappotto e lo zaino. A sette sanno che la cameretta va tenuta in ordine e i denti vanno lavati dopo ogni pasto. A dodici sanno che buttare la carta per terra è sbagliato. Ma lo fanno ugualmente. A quindici sanno che arrivare in ritardo all’ora di cena non piace a mamma e papà, ma non badano all’orologio.
Cos’è capitato ai bambini diventati grandi? Il cervello, dopo aver macinato informazioni e regole, dopo aver messo ogni dato nella sua giusta casella, ha iniziato a dare una bella scossa al tutto, come si fa con lo shaker quando si preparano i cocktail (analcolici). Risultato? Un conto è sapere, un altro è fare. Cioè? Un conto è essere bravi e ubbidienti, un altro è fare come si vuole.
Non è il caso di tirar fuori la storia di Pinocchio e delle orecchie d’asinello, ma il punto è proprio questo, superata la preadolescenza, scatta qualcosa nella testa che fa dire: perché mi devo comportare in un certo modo? Chi mi obbliga?

Giochiamo ai paradossi
Facciamo un gioco: immaginiamo che – felicemente – nella vostra vita non esistano i genitori, cioè i principali “gestori dell’ordine e degli ordini”. Probabilmente, non vi alzereste presto, non ordinereste la camera, mangereste ogni schifezza possibile. Ciabatte e pulizia sarebbero bandite da casa, e la scuola sarebbe un optional, da frequentare quando si vuole, e solo per le materie più interessanti, tipo storia dell’arte o educazione fisica, non certo matematica o fisica.
In questo mondo del “si fa quel che si vuole” la vostra felicità durerebbe però lo spazio di una settimana. Dopo un po’ la casa diventerebbe puzzolente e piena di scarafaggi. Vi ritrovereste a cercare vestiti puliti sotto pile di spazza, e persino le materie scolastiche sarebbero difficili da seguire, perché il cervello, abituato a non fare più nulla, si rifiuterebbe di lavorare anche in modalità “mini”.
È un vero peccato, ma ci tocca dire che la vita è bella proprio perché ci sono persone più grandi di noi che ci indirizzano, e ci sono situazioni - nelle quali siamo inseriti - che puntano a fare di noi persone capaci di diventare adulte e camminare con le nostre gambe.

Un fiore in un giardino
Ok, abbiamo capito che senza regole non si vive… ma chi vi obbliga a seguirle proprio tutte? E soprattutto, perché a mano a mano che si cresce il numero di questi “si deve” aumenta a dismisura, insieme però a una grande voglia di ribellarsi? In realtà non è proprio così. Andiamo con ordine.
Con l’aumentare dell’età anagrafica, il bambino vede allargarsi il suo mondo di riferimento: prima solo giochi e giochi, poi giochi e amichetti, poi ambienti diversi con persone diverse, la scuola, la relazione con gli adulti. Poi “la società” chiama, e  si accorge che non esistono solo i suoi bisogni primari (mangiare, divertirsi, ancora divertirsi) e che il suo comportamento può rendere felici altre persone. In pratica: un bocciolo di fiore inizialmente è tutto chiuso e protetto nel suo piccolo mondo. Quando poi si schiude al Sole, scopre di essere piantato nella terra e di vivere in un giardino che è bello anche per merito suo. Ecco: voi siete fiori appena sbocciati. Tempo un nanosecondo e alla felicità per questa nuova condizione si associa anche la contropartita: “Bene, ora sei grande, devi…”, i diritti vanno a braccetto con i doveri. E con la responsabilità.

Responsabili a 16 anni?
Barack Obama regge il destino del mondo; il Papa si preoccupa delle anime di tutti i credenti. Napolitano ha a cuore le sorti di una repubblica. Per il momento a voi non si chiede nulla di tutto ciò (per ora, poi chi lo sa?), ma di essere fiori che conoscono molto bene il giardino nel quale sono inseriti. Lì siete chiamati a dare il massimo e a fare del vostro meglio. Da lì siete progressivamente stimolati a interessarvi dei problemi del vostro quartiere, della vostra città e della società intera. A vivere da protagonisti, “Uff, ma è difficile”… ma no che non lo è. O meglio, se la parte “lucignola” che è in voi si lamenta e sbraita, allora sì, potrebbe essere complicato alzarsi dal divano dove siete mollemente stravaccati da ore. Ma se lasciate che sia l’energia a guidarvi, farete di certo cose grandi.

Qui non ci sono supereroi
Non vi si chiede l’impossibile, ma una testa fine che ragiona per bene sì. Responsabilità è sapere cosa dire e cosa fare. È non scappare di fronte ai compiti che vi sono stati affidati. I genitori lavorano, voi studiate. Se il genitore non lavora non si mangia, se voi non studiate… l’asineria peggiora solo le possibilità di avere un futuro interessante.
Responsabilità è non essere sempre e solo egoisti: me ne frego se a casa girano pochi soldi, io voglio il nuovo cellulare e non sento ragioni. Con questo approccio non si va da nessuna parte.
Responsabilità è essere furbi e attenti. È sapere che non si può fare tutto, avere tutto ed essere i padroni del mondo. Sarebbe bello, vero? Ma proprio non è possibile.
E  guarda un po’, a peggiorare le cose ci sono pure le punizioni inventate dagli adulti. Cioè, o si seguono le regole, o persino gli adolescenti che vengono beccati a fare qualche marachella sono poi costretti a pagarne le conseguenze. Vi sembra strano, vero? È però l’unico modo per spiegare, specie alle teste calde, che viviamo su un pianeta, tra persone e oggetti che vanno tutelati. Fare i bulli, rubacchiare, imbrattare con lo spray i muri degli edifici sono atteggiamenti che non dimostrano la forza delle persone, ma la loro debolezza.
Responsabilità è ragionare con la propria testa. A 13, 15, 17 anni è bellissimo contestare, porsi di fronte ai genitori e in modo costruttivo dire «io la penso in modo diverso e ora te lo spiego».

Dove sta il bello?
La responsabilità è una forza, non una condanna. È la consapevolezza di poter contare, di essere importanti ed essenziali per gli altri.
Se proprio a voi chiedono un certo favore, o di occuparvi di una certa cosa, significa che si fidano, che vedono in voi persone adulte, autonome. 
Curare il fratellino piccolo, fare una commissione, o organizzare un’uscita con gli amici non sono impegni che pesano sulle vostre spalle, ma occupazioni che sapete gestire. E che vi fanno diventare sempre più grandi.

Tra poco sceglierete il corso di studi, l’occupazione. E non vi sembrerà vero di essere partiti prendendo l’autobus da soli o comperando il pane per la nonna.  Il bello della storia è che la responsabilità è libertà. E più si cresce, più ci si accorge che il mondo ha bisogno di persone intelligenti. Che si alzano una volta per tutte dal divano, spalancano la finestra e dicono: “Eccomi qua, cosa c’è da fare oggi?”. <

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