Erasmus plus
attualità di Leo Gangi Giovani europei in movimento Erasmus Plus In ventisette anni di vita, il progetto di interscambio unive...
https://www.dimensioni.org/2014/12/erasmus-plus.html
attualità
di
Leo Gangi
Giovani
europei in movimento
Erasmus Plus
In ventisette anni di vita, il progetto
di interscambio universitario nei Paesi
a tre milioni di studenti, uno su dieci italiano.
c L’occhio ti cade su
una vecchia foto in birreria. Con te ci sono diversi amici con aria
divertita.
Non è un
pub irlandese qualsiasi, perché ti trovi proprio in Irlanda. E perché, a
riguardare quella foto, dopo anni sorridi ancora. Miracolo dell’Erasmus.
La nascita di un mito
Siamo nel
1984. I capi di Stato si ritrovano a Fontainebleau per il primo appuntamento
del semestre di presidenza francese, ospiti di Mitterand. E subito si accorgono
di un’amara realtà, come una fastidiosa macchia su una bella maglia: al di là
dell’unione monetaria, i cittadini europei non si sentono per nulla
tali. Vedono l’istituzione come un mito lontano.
Si cerca
un modo per far cambiare loro idea e creare un sentimento di appartenenza
alla nuova realtà europea.
Lo si trova, guardando al mondo universitario e approfondendo
esperienze già esistenti come quella dell’associazione studentesca
transnazionale EGEE (oggi AEGEE).
Così, nel
ciclo 1987-88 nasce Erasmus. All’inizio sono undici i Paesi
partecipanti. Il nome gioca su due fronti: da una parte, l’acronimo European
Region Action Scheme for the Mobility of University Students (Programma per
la mobilità universitaria nell’area europea). Dall’altra, il richiamo a Erasmo
da Rotterdam, l’umanista che a cavallo tra il XV e il XVI secolo ha
attraversato in lungo e in largo il Vecchio Continente. Per conoscere idee e
persone.
Lo stile
è quello della “contaminazione culturale” sui banchi di scuola: per
prendervi parte, lo studente si deve iscrivere ad un apposito bando con piano
di studi alla mano, scegliendo la città europea di destinazione e sperando di
essere ammesso al programma. Ogni Ateneo è gemellato con Accademie di
diverse nazionalità. Avuto l’ok, può partire. Il soggiorno, che conta su un
contributo alle spese da parte della Comunità europea, dura dai tre mesi a un
anno. Al ritorno a casa bisogna dimostrare (con l’apposito certificato) di
avere seguito e superato nella città ospitante i corsi delle materie indicate
nel piano.
Oltre l’ora di lezione
La vera
contaminazione si ha però fuori dalle aule di lezione: nelle biblioteche, nelle
case degli studenti e nei locali, o più semplicemente per strada e al
supermercato. L’età media degli “erasmini” (c’è chi li chiama così) è di 22
anni.
«All’inizio
ci si sente soli e sperduti. Ma è una sensazione che sparisce presto. Subentra
la curiosità e il desiderio di fare amicizia. Si impara a farsi capire e si
scoprono nuove abitudini, come il cucinare tutti insieme e il girare
molto a piedi e con i mezzi pubblici. La sensazione più forte è di una libertà
assoluta», spiegano alcuni. Il che, se può trasformare l’Erasmus in
un’esperienza unica, porta però uno squilibrio nella vita delle città
ospitanti, specie con il progressivo allargarsi del progetto.
Notizie
di atti di maleducazione provocati da studenti stranieri fanno parte
della cronaca recente. È l’altra faccia del senso di libertà, quando nasconde
la percezione (sbagliata) di non essere controllati perché si è lontani da
casa. Per fortuna – visto il numero di studenti che girano l’Europa – si tratta
di episodi isolati. La stragrande maggioranza impara da subito a comportarsi
bene.
Il divertimento
si esprime soprattutto davanti a una birra o a una bibita, a un concerto e
nelle feste organizzate. Con gli anni si sono moltiplicate anche le iniziative
dedicate al “popolo dell’Erasmus”. Che è come fare parte di un club esclusivo.
Si vive insomma un’esperienza unica, sentendosi nel contempo in un mondo
a parte e parte della città dove si studia. Per questo chi l’ha provata non la
scorda più.
Più forte dell’euro
Per
decenni questo progetto ha significato certo libera circolazione ma soprattutto
confronto, scambio di esperienze e di culture. Per tanti è stata anche
l’opportunità per trovare il vero amore. La favola del matrimonio
iniziato sui banchi di scuola qui acquista sapore internazionale.
Secondo un recente studio condotto dalla Commissione UE,
in quasi trent’anni l’esperienza all’estero avrebbe portato a un’unione
duratura per circa un quarto dei giovani coinvolti, di nazionalità
diversa, che si sono incontrati nel Paese ospite. Con la nascita di oltre un
milione di bebè. E in molti casi anche con la decisione di andare a vivere in
uno Stato diverso da quello di provenienza dei genitori, pur restando nella
cerchia dell’Unione.
Anche sul
fronte occupazionale, il periodo di formazione all’estero rende più
forti. Secondo la ricerca della Commissione, il rischio di non lavorare a
cinque anni dall’agognata laurea si riduce del 23% per chi inserisce in
curriculum il soggiorno-studio in una città straniera. Un “graduato” che non ha
mai messo il naso fuori casa rischia almeno il doppio.
Il motivo
è intuibile: provare a vivere in un contesto che non si conosce aguzza
l’ingegno. Così, diventa più facile imparare un’altra lingua, relazionarsi con
gli altri, individuare e risolvere i problemi quotidiani, che spaziano dalle
carte bollate a come procurarsi viveri e cure mediche. Ma anche a come occupare
il tempo libero. In due parole: problem solving.
Il tutto, in un ambiente protetto come quello
universitario, in cui sono chiari i riferimenti cui rivolgersi in caso
di necessità.
Il
requisito base per partecipare all’Erasmus è sapersi adattare. Che però è uno skill
fondamentale in qualunque ambiente di vita, la premessa per diventare adulti.
Dettagli
a cui i datori di lavoro prestano molta attenzione, al di là delle nozioni
imparate sui libri.
Un sogno che scricchiola
Oggi a
causa dei problemi economici che hanno scombussolato il mondo anche l’Erasmus
scricchiola un po’. Non è in discussione la sua importanza, né il suo
significato per una vera integrazione dei popoli europei. Il dilemma è riuscire
a mettere insieme le risorse necessarie per far funzionare il
meccanismo.
Nel 2014
il programma ha faticato a trovare il suo spazio nell’agenda europea e per la
prima volta si è presentata la prospettiva di una chiusura. Finora, il vasto
consenso raccolto attorno all’Erasmus ha sempre convinto Strasburgo e
Bruxelles ad andare avanti, dedicandogli un apposito capitolo nel bilancio
dell’Unione. Di recente, la
Commissione ha frenato gli entusiasmi, ipotizzando tagli al
progetto, se non adesso, per il 2015. Poi, però, l’Europa ci ha ripensato.
Anche
perché partire dai banchi di scuola è in effetti un ottimo modo per costruire una
coscienza identitaria dei cittadini europei.
Si tratta
di trovare una formula efficace, creativa e che magari costi meno.
Pronto a diventare Plus
Così si è
giunti a una conclusione: l’addio a Erasmus e il benvenuto a Erasmus+ (Plus),
con una dote di quasi 15 miliardi di euro in sette anni, fino al 2020.
Il nuovo piano, che muove ora i primi passi guardando ai
giovani tra i 13 e i 30 anni, riunisce sette iniziative precedenti tra cui
Comenius, Erasmus e Leonardo (per il lavoro), e guarda oltre.
Le novità
principali sono l’attenzione anche allo sport e l’apertura ad altre
organizzazioni del territorio. Non più solo scuole, quindi. Ma sempre
nell’ambito della formazione, del lavoro e da quest’anno anche
dell’attività fisica.
Un
esempio di come la crisi sia un’occasione di crescita e di trasformazione. Una
opportunità nuova per imparare a sentirsi cittadini europei. <