Imparare a scrivere è il mio mestiere
di Claudia Strà Ci si nasce, e ci si diventa Imparare a scrivere è il mio mestiere Incontro con Filippo Losito e Raffaele Riba...
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di Claudia Strà
Ci
si nasce, e ci si diventa
Imparare a scrivere
è il mio mestiere
Incontro
con Filippo Losito e Raffaele Riba, scrittori,
o
meglio, appassionati dell’apprendere l’arte dello scrivere. Dedicato a tutti
coloro che sognano la stessa carriera.
Si comincia da bambini: le prime prove, i
primi inaspettati successi. Il giornalino scolastico, il professore che ti
chiede di scrivere una storia invece del solito tema. E provi l’ebbrezza di
plasmare un mondo in cui altri possano entrare, e magari riconoscerti: con
un premio in quarta elementare, con una pubblicazione al liceo.
I maestri sono i tuoi cartoni
preferiti; le letture fanno da detonatore alla tua fantasia. Si comincia
così, e poi, il cammino si fa lungo, di tappa in tappa, con gli inevitabili
smacchi e le esaltazioni, fino alla tua prima opera. Pubblicata.
Al
Festival della mente
Raffaele Riba |
L’hanno raccontato a Sarzana,
al Festival della mente 2014, due giovani esordienti nel mondo della carta
stampata: Filippo Losito, classe 1981, e Raffaele Riba, classe
1983, entrambi al loro primo romanzo. Hanno narrato i loro percorsi, in parte
analoghi, in parte segnati da svolte, correzioni di rotta dovute alle vicende
della loro crescita nell’ambito dell’editoria, e a quelle della loro vita
personale.
«Alle elementari – comincia
Filippo – partecipai a un concorso con i miei compagni e il mio lavoro
fu scelto tra quelli di tutti gli altri bambini. Così mi appassionai alla
scrittura. Al liceo scrivevo lettere d’amore immaginarie e storie di un
menestrello. Poi però pensavo di avere una vena comica e con un amico cominciai
a offrirmi per gli spettacoli in vari locali. Bastò – ironizza – perché mi
rendessi conto che la comicità esiste se dall’altra parte c’è qualcuno
che ride».
Filippo Losito |
«Fu quella prima débâcle –
continua – a spingermi a cercare una scuola dove incontrare altri come
me. Il primo corso di scrittura mi servì per scoprire tutti gli altri registri
che avevo trascurato per quello comico. Al terzo anno arrivarono un progetto,
un tutor. Avevo la mia scaletta, dei personaggi; ma quando si ammalò mio padre
lasciai perdere tutto quello che era stato costruito a tavolino. Compresi che
potevo scrivere una storia onesta, cercando di emozionare. Nacque così Daddy
Cool (il romanzo pubblicato da Compagine nel 2014)».
Daddy
Cool: alla ricerca
delle
radici
È la storia di Nicola, una
storia che ha a che fare con la sua. Nicola che parte con lo zio alla
ricerca del padre malato di Alzheimer, che si è perso al festival del
cinema di Cannes. Si dà anche il caso che lo zio sia uno “sciupafemmine” e
durante il viaggio il nipote ha modo di parlare con lui e di smontare ad una ad
una le sue teorie, di ripensare infine alla storia della sua famiglia
nel momento in cui è proprio suo padre a perdere se stesso. Metafora, forse,
della ricerca delle radici in un mondo in cui tutto diventa evanescente?
Fabio Geda |
Filippo si applica a più
riprese al suo scritto: almeno cinque stesure, racconta, sollecitato dal
coordinatore della tavola rotonda Fabio Geda, scrittore non più alle
prime armi (ha pubblicato con Feltrinelli, Instar Libri, Baldini e Castoldi,
Einaudi).
Dopo i primi rifiuti degli editori, continua, c’è
il fortunato incontro con uno scrittore che, con un lavoro di editing, riduce il
suo romanzo del 40%. «Riscrivere – dichiara Filippo – diversamente da come si
potrebbe credere, è inebriante». Già nella seconda fase, la riduzione del testo
è del 50%.
Poi,
arriva la chiamata di Compagine, la sua prima casa editrice. «Non pagate mai per
pubblicare – esorta –. A me non è stato chiesto di pagare, né mi è stato dato
un anticipo. Ho avuto un po’ di copie omaggio. La tiratura? – continua –. Mille
copie. L’editore rischia con te e si vuole tutelare: se va bene, ci sono le
riedizioni».
Cosa ci si può
aspettare, dunque? «Le royalties – risponde –; stare al Salone del Libro, essere
allo stand della Casa Editrice.
Sono i
passi giusti; ti danno la possibilità di avere una storia che circola. Ma a
quel punto – ammonisce – non sei ancora uno scrittore; per diventarlo, devi
scrivere altre storie».
Un’affermazione
che viene ripresa da Raffaele, che con lui ha un tratto in comune: la
pazienza; perché la scrittura – dice – è ri-scrittura. «Tempo di latenza
grandissimo, 160 pagine sono quattro anni di lavoro, lungo ma necessario. Poi
ci sono i tempi editoriali: passano almeno 2-3 anni, prima che tu possa avere
il tuo libro in mano. Si comincia con la lettura da parte delle case editrici
(6 mesi); si procede con il piano editoriale; si esce in libreria a un anno, un
anno e mezzo dalla firma. Tutto questo perché gli editori – ribadisce – devono
fare un investimento sul tuo libro, e su di te».
L’altro ingrediente per raggiungere l’obiettivo,
secondo Raffaele, sono le conoscenze, non nel senso di raccomandazioni, ma nel
senso di esperienze. «Quattro anni in ufficio stampa – spiega – mi hanno
fatto conoscere il mondo dell’editoria. Ho tessuto legami naturali, sinceri col
libro e col mondo che gli ruota intorno. È quello che spesso manca ed è
fondamentale: leggere, imparare, entrare a far parte di un microcosmo.
Così
vengono i contatti, e i concorsi. Uno di questi mi ha portato a
lavorare per le riviste; alla fine è stato un agente letterario che mi ha
proposto di pubblicare il mio primo libro (Un giorno per disfare,
66thand2nd, 2014)».
Quello
dei contatti è un tema ripreso da Fabio Geda, il coordinatore-intervistatore
che, spiega, ha cominciato a pubblicare a 34 anni, ma nei 20 che li hanno
preceduti ha continuato a scrivere. «Avevo frequentato i corsi serali
della scuola Holden (la scuola di scrittura di Torino, diretta da Alessandro
Baricco) mentre lavoravo come educatore
–racconta –. Corsi serali e week end. E avevo capito che con caparbietà
e con sudore uno può far emergere quel po’ di talento. Ho scelto
dieci case editrici, ho mandato dieci manoscritti a dieci case editrici di cui
avevo letto molti libri. Su dieci, sette hanno risposto; cinque hanno detto di
no, due hanno detto di sì. La
Instar Libri torinese mi ha dato 1.000 euro di
anticipo. Così si fa. Si entra in un mercato; il mercato editoriale, che
– conclude – ha tre livelli: i grandi, i piccoli e medi, i truffatori».
Meglio una media
Secondo
Fabio, è controproducente esordire coi grandi editori, perché non è detto che
ti promuovano e un libro esiste se è distribuito e promosso. I truffatori sono
quelli che chiedono dei soldi (e non ti promuoveranno mai), mentre le case
editrici medie vivono sulla capacità di fare scouting.
Possono
essere utili anche le scuole di scrittura (lui stesso ne ha frequentata una), i
premi letterari, i blog, le riviste. Ne cita alcuni. Ma il concetto
fondamentale resta uno: noi italiani, dice, leggiamo meno della metà di
libri della media europea; non siamo né un Paese di scrittori, né un Paese di
lettori. Siamo gente che vuole pubblicare, non gente che ama scrivere. Ma
scrivere è scrivere. Questo è meraviglioso.<