Nutrire il pianeta, energia per la vita

di Carlo Mantovani Autorevoli personaggi a confronto Nutrire il pianeta, energia per la vita Expo Milano 2015 si confronta con i...

di Carlo Mantovani


Autorevoli personaggi a confronto
Nutrire il pianeta, energia per la vita
Expo Milano 2015 si confronta con il problema del nutrimento dell’uomo e della Terra e si pone come momento di dialogo
tra i protagonisti della comunità internazionale
sulle principali sfide dell’umanità.

  Quando ho saputo che il tema dell’Expo di Milano era “Nutrire il pianeta”, mi sono detto: data la vocazione alimentare, quale modo migliore, per prepararsi all’evento, che parlare di cibo? Soprattutto perché ho avuto l’occasione, nel corso degli ultimi mesi, di ascoltare personaggi autorevoli come Michael Pollan, giornalista e scrittore statunitense salito alla ribalta per le sue inchieste sul rapporto tra cibo, agricoltura e salute; Hans Rudolf Herren, entomologo svizzero di fama internazionale e pioniere dell’agricoltura sostenibile; e, last but not least, Cinzia Scaffidi, direttore del Centro Studi di Slow Food e responsabile delle relazioni internazionali dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e Colorno.

Cucina casalinga uguale a salute
Pollan, ospite del Festival Letteratura di Mantova per presentare la sua nuova opera, Cotto, ha chiarito subito l’importanza di imparare a cucinare: a suo parere la chiave per salvare sia l’agricoltura, sia la nostra salute.
Solo cucinando, infatti, possiamo impedire che l’industria alimentare decida quello che finisce nel nostro piatto e interrompere il monopolio delle grandi aziende agricole che soffocano quelle a conduzione familiare, tutrici della biodiversità. Mettersi ai fornelli e trasformare le materie prime avrebbe effetti benefici anche sulla nostra salute: perché, al di là dei grassi e degli zuccheri presenti, il cibo cucinato da una persona sarà sempre più sano di quello, pieno di chimica, prodotto dall’industria alimentare.
Chiariamo subito un concetto, dice Pollan: il pullulare di cuochi nelle trasmissioni televisive e gli stessi talent show culinari non spingono la gente a cucinare di più. Anzi, la scoraggiano: l’idea sdoganata dal piccolo schermo, infatti, è quella che cucinare sia una cosa difficile e costosa, riservata ai professionisti. Siamo di fronte al cosiddetto paradosso culinario: invece di accendere i fornelli e cucinare, preferiamo accendere la tv e guardare cucinare gli altri.

Agricoltura sostenibile
Tra gli ospiti del Festival Letteratura c’era anche Hans Rudolf Herren, paladino dell’agricoltura sostenibile, cioè quella che non danneggia il pianeta, ma lo rende più ricco e vivibile. L’agricoltura attuale, purtroppo, essendo al servizio dell’industria alimentare, non ha nulla di sostenibile: spreca, consuma e inquina. Anche a causa di falsi miti. Non è vero, ad esempio, che occorra produrre più cibo. Di cibo ne produciamo fin troppo: se è vero che, tra Stati Uniti ed Europa, il 40% degli alimenti finisce nella spazzatura.
Insomma: non bisogna produrre di più, ma produrre meglio. La soluzione, assicura Herren, esiste: basterebbe insegnare ai Paesi poveri a coltivare, in modo che raggiungano l’autonomia alimentare. Una cosa che però le multinazionali del cibo vogliono assolutamente impedire, perché minerebbe il loro perverso controllo sul mercato globale. E ci riusciranno senz’altro, se continueremo a permettergli di comprare i terreni liberi dei Paesi in via di sviluppo: come si fa a produrre cibo, se non si hanno terreni da coltivare?
E lo scandalo aumenta, se pensiamo che la terra buona acquistata dalle multinazionali, in genere, non viene coltivata, ma destinata ad altri scopi: come edificare o produrre energia. I pochi terreni destinati all’agricoltura, poi, vengono maisificati, cioè destinati alla produzione di cereali, una materia prima utilissima all’industria alimentare (ci ricavano di tutto), ma che alla lunga danneggia la nostra salute e quella del pianeta, impoverito dalla monocoltura.
Ecco perché l’Onu ha deciso di dedicare il 2014 alle family farm, le aziende agricole a conduzione familiare: solo sostenendo chi pratica l’agricoltura biologica, infatti, potremo avere terreni fertili e cibo sano. E per farlo, dobbiamo cambiare le nostre abitudini di consumatori: disposti a investire mezzo stipendio per uno smartphone, ma non ad aggiungere anche un solo euro per aver alimenti genuini.

Un nuovo vocabolario
alimentare
Cinzia Scaffidi l’ho incontrata a Ferrara, in occasione del Festival di Internazionale, dove presentava il suo libro, Mangia come parli: com’è cambiato il vocabolario del cibo. Quando discutiamo di un piatto, ricorda la rappresentante di Slow Food, è fondamentale distinguere due concetti: se diciamo mi piace/non mi piace, stiamo parlando di noi, se invece diciamo è buono/non è buono, ci riferiamo al cibo. Oggi, però, i nostri gusti sono talmente condizionati dai sapori standardizzati e globalizzati dell’industria alimentare, che abbiamo confuso i due piani: e non è buono, in realtà, significa non mi piace.
E non dobbiamo stupirci, perché nel settore alimentare la confusione, ormai, regna sovrana. Come nella pubblicità: dove il presunto mulino di Banderas, in realtà, è un frantoio per olive; e il formaggio, per sua natura grasso, viene definito magro nella speranza di aumentare le vendite.
A disorientare il consumatore e a confondergli le idee contribuisce anche la legge che, nell’uso delle parole, sembra aver divorziato dal buon senso: e così, dietro il termine aromi naturali, si nascondono sostanze chimiche che riproducono il loro sapore; i cosiddetti gelati artigianali sono semilavorati industriali il cui unico elemento “artigianale” è l’aggiunta di acqua e latte; e, per poter legalmente scrivere made in Italy su un barattolo di macedonia, basta che la frutta, proveniente da chissà dove, sia stata inscatolata nel nostro Paese.
A completare il quadro, ci pensano le etichette: che dovrebbero descrivere la storia e la geografia di un prodotto e invece sono quasi sempre lacunose e incomprensibili. Insomma, un fenomeno piuttosto inquietante. Che noi, tuttavia, possiamo bloccare ricorrendo all’unica ma potentissima arma a nostra disposizione: l’educazione.

Educare al cibo i nostri ragazzi: sfruttando, ad esempio, le enormi potenzialità delle mense scolastiche. Per consentire di riconoscere le materie prime e comprendere come vengono utilizzate in cucina; per dare le informazioni necessarie a capire l’importanza di salvare tesori gastronomici come il pomodoro San Marzano, sempre meno coltivato perché non adatto alla produzione industriale; e distinguere, finalmente, ciò che è buono, da ciò che non lo è. < 

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