ARMI: vergognoso commercio
di Giovanni Godio ARMI: vergognoso commercio La spesa militare globale diminuisce: colpa della crisi. Ma il Sud de...
https://www.dimensioni.org/2015/03/armi-vergognoso-commercio.html
ARMI:
vergognoso
commercio
La spesa militare globale diminuisce: colpa della crisi.
Ma il Sud del mondo spende
sempre di più, e le fabbriche d’armi del Nord si danno alle
esportazioni... Per fortuna ha
funzionato (almeno) il processo di disarmo chimico della Siria.
Dollari e armamenti
Nel 2013 la spesa militare del mondo è stata di 1,747 miliardi di dollari. |
Armi,
dunque guerra. Che banalità, che semplificazione, che
ingenuità. Le armi sono strumenti, e dipende dall’uso
che se ne fa, e fanno da deterrente, e poi bisogna essere realisti, e noi le
usiamo solo nelle missioni di pace... Poi senti papa
Francesco
che in aereo, di ritorno dalla Turchia, dice: «È un’opinione personale, ma
sono convinto che noi stiamo vivendo una terza guerra mondiale a pezzi, a capitoli,
dappertutto. Dietro questo ci sono inimicizie, problemi politici, problemi
economici – per salvare questo sistema dove il dio denaro è al centro, e non la persona umana – e commerciali. Il traffico
delle armi è terribile, è uno degli affari più forti in questo momento. È per questo io credo che si moltiplica questa realtà, perché si danno le armi».
È il mercato, bellezza!
Sarà un’“opinione
personale”, ma papa Bergoglio il concetto l’aveva già espresso senza giri
di parole nell’ufficialissimo messaggio per la Giornata della pace 2014:
«Finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in
circolazione come quella attuale, si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le
ostilità». E
allora? E allora, noi abbiamo sentito il bisogno di saperne qualcosa di più, con i dati e i
trend più
aggiornati.
Abbiamo subito scoperto, come raccontiamo in questo
dossier, che la crisi economica globale ha colpito anche sul business degli
armamenti: nel 2013 la spesa militare nel mondo, qualcosa come 1.747 miliardi dollari, è scesa del 2%
rispetto al 2012. Ma è
cresciuta nell’inquieta Europa orientale (+ 5%), nell’Africa della fame e dell’instabilità (addirittura + 8%),
nell’esplosivo e tumultuoso Medio Oriente (+
4%), in Asia orientale (+ 5%), sudorientale
(+ 5%) e centro-meridionale (+ 1%). Mentre il grosso del business rimane
nelle mani di società e
Paesi del Nord del mondo... Tutto questo, ovviamente, nei limiti del solo
mercato “legale” di armi e servizi militari.
La ricerca della pace passa anche attraverso le tante persone che si battono per il disarmo. |
Un’altra difesa è possibile!
Ma detto questo, e al di là dei dati e delle analisi che abbiamo
raccolto, esistono delle alternative realmente percorribili? La risposta è sì, per fortuna. La
prima che indichiamo è già (quasi) realtà: pur in questi
tempi difficili, l’Onu è
riuscita a far entrare in vigore, giusto alla fine del 2014, un Trattato internazionale sugli armamenti che
potrebbe rivelarsi importante per il controllo e il monitoraggio dei sistemi d’arma
“convenzionali”, causa di 500 mila morti ogni anno in tutto il mondo.
Invece, cittadini e gruppi interessati a tenere d’occhio
ciò che
avviene nel mercato globale (e nazionale) delle armi possono far riferimento al
sito della Rete italiana per il disarmo,
www.disarmo.org. Della Rete fanno parte, tra l’altro, le Acli e l’Associazione
Papa Giovanni XXIII. Due link d’assaggio in homepage? Da non perdere “Rete
Disarmo al Parlamento: perché non
controllate l’export armato?” e “Un’altra difesa è possibile, al via l’iniziativa”.
C’è la
crisi?
Puntiamo
sull’export
Ian Anthony |
Ian Anthony,
inglese, classe 1960, ultima pubblicazione su Africa e mercato globale dell’uranio
naturale, è oggi
direttore del Sipri, lo Stockholm International Peace Research Institute.
Questo istituto indipendente è stato
fondato nel 1966 su iniziativa del Regno di Svezia per ricordare i 150 anni di
pace ininterrotta nel Paese. E lo scorso autunno ha presentato il suo Annuario
2014.
DN ha raggiunto Anthony a Stoccolma, dopo che l’ufficio
stampa del Sipri ci ha ricordato che l’istituto contribuisce al dibattito su
armi e armamenti con fatti e dati, ma
non con “opinioni forti”, cioè con
valutazioni politiche o ideali. Detto, fatto...
Dottor Anthony, qual è il trend del mercato globale delle armi
oggi?
I trend principali sono due: il calo di spesa militare
in Occidente (o meglio nel Nord del mondo), soprattutto per la fine di
conflitti e la crisi economica, e un aumento nel Sud. I due trend spiegano la
diminuzione relativamente modesta della spesa militare globale dal 2010.
L’industria delle armi del Nord rimane la più avanzata a livello
globale. E si rivolge all’export per controbilanciare il calo o la stagnazione
delle commesse nazionali. Perciò nel
settore la competizione è
feroce: nel settore dei trasferimenti, secondo i nostri dati, si registra un
aumento di valore del 14% per il periodo 2009-2013.
Insomma, secondo lei
stiamo andando verso un mondo più o meno sicuro rispetto ieri?
Il
complesso contesto odierno in Asia (Asia
centrale, estremo Oriente e medio Oriente), associato a un’accresciuta
disponibilità di armi, non è esattamente favorevole a una prospettiva di mondo più sicuro...
Si procede allo smantellamento delle armi chimiche |
Non c’è almeno qualche “buona pratica” recente di
disarmo, da qualche parte?
Sì, un
buon esempio di processo di controllo degli armamenti è lo smantellamento
del programma di armi chimiche della Siria, per il suo carattere ibrido. Hanno
collaborato fra loro vari organismi internazionali, con il contributo chiave di
alcuni Stati e in una cornice che ha visto all’opera il Segretario generale e
il Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma anche un trattato multilaterale di
disarmo. Si è
potuto lavorare in una situazione di conflitto in cui le autorità centrali del Paese
hanno perso il controllo del territorio nazionale...
Ma a che punto siamo con
questa faccenda, oggi? Qui in Italia se ne era parlato molto mesi fa, con il
passaggio di un carico di sostanze tossiche siriane a Gioia Tauro, poi tutto è finito nel dimenticatoio.
Le munizioni siriane per ordigni chimici non caricate
(soprattutto bombe aeree) e i contenitori di stoccaggio sono stati resi
inutilizzabili. Le sostanze chimiche dichiarate e i loro precursori sono stati
in gran parte distrutti.
Un posto di blocco dell'ONU per impedire il traffico delle armi. |
Rimangono da distruggere circa 30 tonnellate di sostanze
chimiche della cosiddetta “Categoria 2 - Priorità 2”
(sostanze che fanno da precursori alle sostanze chimiche per uso bellico e che
in gran parte sono di uso industriale civile, ndr), ma oggi si trovano fuori
dalla Siria: sono in via di eliminazione sotto controllo dell’Opcw (l’Organizzazione
internazionale per la proibizione delle armi chimiche).
Si discute ancora, soprattutto nel Consiglio esecutivo
dell’Opcw, sulla completezza e la correttezza delle dichiarazioni della Siria
sul suo programma chimico militare, e in particolare sull’opportunità e il modo per
distruggere gli hangar per lo stoccaggio di armi chimiche, e sulle lavorazioni
con la ricina (una tossina letale, ndr) condotte in un impianto che oggi non è più sotto il controllo
del governo...
Su questo a Damasco cosa
dicono?
All’inizio, che queste lavorazioni erano allo stadio di
ricerche esplorative di laboratorio, abbandonate anni fa. Ma alcuni membri del
Consiglio esecutivo Opcw hanno chiesto ulteriori chiarimenti, anche sullo stato
attuale dell’impianto (o degli impianti) dove si lavorava la ricina. Infine,
sono in questione alcuni dettagli residuali sul numero esatto di luoghi, siti e
impianti chimici, in particolare quelli fuori del controllo del governo.
Italia: F-35, il caccia delle polemiche
Caccia F-35, l’Italia va avanti. Tra poche certezze e
tante polemiche. «In
Parlamento sono state approvate quattro mozioni
impegnative per il Governo: si chiede di andare avanti con il programma, di
ridurre il più
possibile l’impatto finanziario, di massimizzare i ritorni economici,
industriali e occupazionali, avendo sempre come riferimento la sicurezza del
Paese»,
riassumeva in autunno il ministro della Difesa Roberta Pinotti in commissione
Difesa del Senato.
Dunque, affermava il ministro, bisogna che «sia dato mandato di
procedere almeno alla firma dell'impegno relativo all’anno in corso per la
produzione di un lotto di due velivoli...». Una delle quattro mozioni parlamentari
ha stabilito il dimezzamento del budget a
disposizione dei caccia.
L'F-35 è in fase di produzione- Ma molte sono le perplessità nate intorno a questo progetto. |
Quest’affare s’ha da fare
Ma il Joint Straight Fighter F-35 ci serve davvero?
Sempre secondo il ministro Pinotti, questo aereo ci permetterà «ad esempio di
intervenire nella coalizione contro l’Isis (in
Iraq e Siria, ndr) come stanno intervenendo l’Inghilterra, la Francia , la Danimarca... Nel
caso in cui si abbiano obiettivi a terra che possono essere pericolosi (come
pozzi di petrolio o depositi di armi) e che si decida di distruggerli per
evitare che questi possano essere usati contro i curdi, l’Italia ha scelto quel
tipo di velivolo».
Però a
questo punto si impone un riassunto delle puntate precedenti. L’F-35 è un
cacciabombardiere di “quinta generazione” con caratteristiche stealth, cioè di bassa
rilevabilità da
parte dei sistemi radar. Il programma di produzione fa perno sugli Usa
(capocommessa la
Lockheed-Martin ), in collaborazione con altri Paesi fra cui l’Italia,
che ha aderito nel 1998. Da noi la base di assemblaggio è a Cameri, nel
Novarese, con un totale di “ricaduta” in posti di lavoro a règime piuttosto
controverso.
Alla fine del 2014, alla sede del ministero della
Difesa, presente l’ambasciatore americano John Phillips, Roberta Pinotti ha
informato che lo stabilimento di Cameri è stato scelto «per essere il polo di manutenzione di
tutti gli F-35 che voleranno in Europa, sia di quelli che acquisteranno i Paesi
europei, sia di quelli americani: un risultato straordinario che dobbiamo alla
credibilità del
nostro Paese».
Costo stimato medio di un F-35: 120 milioni di euro. Quanti ne
compreremo in tutto? Non si sa ancora, a dispetto delle cifre che rimbalzano di
tanto in tanto sui media (e del “dimezzamento” votato nelle mozioni che
ricordavamo sopra).
Meglio lasciar perdere
Francesco Vignarca |
E oggi dice a DN: «La nostra principale contestazione dal
punto di vista tecnico è che
siamo ormai a 10 anni di produzione...
senza aver completato la progettazione. Non su dettagli, ma su aspetti chiave
come il software, che dovrà fare
la vera differenza tra l’F-35 e i caccia precedenti. È come se comprassi
un’auto e ti dicessero: “Guardi, non sono ancora stati fatti tutti i test, è possibile che la
centralina non funzioni bene. Ma intanto la compri, e poi ce la riporti”. Il
rischio non è solo
quello di comprare aerei costosi e dal nostro punto di vista inutili, ma anche
non “maturi” dal punto di vista tecnico-militare».
Insomma, conclude Vignarca, «questa vicenda può, anzi deve
interessare anche il cittadino che non parte da una prospettiva non violenta,
ma semplicemente desidera capire, da contribuente, come si spendono i suoi soldi.
Peraltro, anche sul versante delle critiche strategiche non ci siamo solo noi,
ci sono fior di generali e analisti militari che confermano le nostre perplessità». <