Gino Bartali
di Elena Giordano Gino Bartali Carta d’identità Paese: Italia Anno di nascita e morte: 1914-2000 Professione: ciclista ...
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di Elena Giordano
Gino Bartali
Carta d’identità
Paese: Italia
Anno di nascita e morte: 1914-2000
Professione: ciclista
I fatti
“Ginettaccio” è stato un ciclista ai tempi in cui correre in bici era
davvero un’impresa: niente doping, niente allenamenti strani, solo tanto fiato e tanta
fatica. Questo toscano doc, molto religioso, ingaggia un duello basato su
amicizia e rispetto con l’altro grande ciclista del tempo, Fausto Coppi.
Durante la
Seconda Guerra Mondiale, in segreto – si scoprirà solo dopo
la morte – aiuta circa 1.000 ebrei a scappare, trasportando sulla sua bici i
documenti. Per questi gesti eroici verrà insignito della medaglia d’oro al
merito civile, e nominato “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il
memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’olocausto.
Cosa
ci dice Gino?
Si fa presto
a dire “sportivo”. Oggi chi si allena può godere di ogni genere di comfort. Il
ciclista che intraprende gare come il Tour de France o il Giro d’Italia ha il
massaggiatore, il tecnico che gli sostituisce la bici in corsa; beve succhi
pieni di vitamine, consuma maltodestrine per avere energia a disposizione
subito. Un pullman lo traghetta comodamente da una tappa all’altra. Ecco,
eliminate tutti questi “benefit”. Togliete proprio tutto, a eccezione di freddo, pioggia, vento, fatica e mal di
gambe. Capirete
cosa significava, nel secolo scorso, essere un vero ciclista.
Quanti amici
“veri” si conoscono, oggi, nel mondo dello sport? Pochissimi. Tutt’al più, i
calciatori aprono insieme dei ristoranti, giusto per spostare il denaro di qua
e di là. Al tempo, Bartali e Coppi erano veri amici. Ma anche nemici. Amici
perché dividevano la stessa fatica e l’amore per il ciclismo. Nemici perché la
vittoria poteva essere solo nelle mani di uno, perché il podio è crudele. Solo grandi amici sanno stringersi quando
la vita si fa difficile, e ritrovarsi dopo una guerra. E scambiarsi la borraccia…
Molti pensano
che nella vita sia sufficiente fare il proprio dovere, per avere la coscienza a
posto. Per Bartali non era così: ci voleva ben altro. I tempi erano molto duri,
e occorreva darsi da fare, anche a costo della vita. E farsi prendere e fucilare, senza tanti processi.
Gino ha saputo andare oltre il suo benessere e la sua comoda celebrità. Ha
messo in pericolo la sua vita per salvare quella di persone perseguitate dalle
leggi razziali. Soprattutto – questo gli fa onore ancor di più – senza che
nessuno mai lo sapesse. Rimanendo “solo” uno sportivo. Davvero un uomo d’altri
tempi.
Oggi? Le persone che fanno del bene in silenzio ci sono ancora, anche se
la tentazione di ritwittare e postare su Facebook queste imprese è fortissima.